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M

 ercato è l’espansione della piazza a una dimensione maggiore e spersonalizzata, dove

venditore e acquirente spesso non si conoscono o nemmeno si vedono.

Polanyi nega la naturalità della società di mercato. Secondo lo studioso è un’anomalia della specie

umana, che si è integrata e radicata all’interno della nostra società.

Il ruolo dell’economia nella società non è uguale per tutti: l’economia è una delle funzioni umane, è

embedded, integrata all’interno di un sistema. Embedded significa che il valore economico non è

l’unico esistente nell’affare, che non è il più importante. Esistono altri valori che visti con occhio

utilitarista ci sembrano strani perché non appaiono convenienti.

In alcune società l’economia è disembedded, scollegata: per noi occidentali l’economia non è

morale, è come la guerra. Per altri è incastonata, embedded, in altri sistemi di valori e il profitto non

è l’elemento principale.

Esiste una dicotomia tra due paradigmi, ovvero formalisti e sostanzialisti.

I formalisti sostengono che l’economia ha lo stesso ruolo all’interno di ogni società: avviene

❖ un calcolo tra costi e benefici, e le scelte avvengono in base all’interesse. L’economia è quindi

razionale.

I sostanzialisti sostengono che l’economia non è universale, ma che esistono varie

❖ declinazioni: le economie non seguono tutte la logica utilitarista, e subentrano altri valori nel

sistema, e quindi sono embedded.

Sfera di scambio

Quasi tutto oggi è sul mercato. Ci sono cose che non si possono comprare però, come medaglie e

l’istruzione. Alcuni elementi esulano dal mercato, ma il resto è monetizzato. Non tutto può essere

scambiato con tutto, esistono sfere ipotetiche.

Pecore e zappe sono “imbarattabili”, incompatibili, poiché in genere chi usa uno dei due elementi

ha bisogno dell’altro. C’è una classificazione di tipo morale e l’economia non è sempre uguale

all’interno delle società.

Alcuni valori, come quelli relazionali e affettivi, sovrastano il valore economico. L’economia degli

affetti privilegia il valore affettivo su quello monetario/utilitarista (prezzi di favore ad amici o in caso

di difficoltà dell’altro).

In alcune società esiste il big-man, ovvero una persona di carisma che sovrasta/colpisce

(positivamente) gli altri con le sue azioni. In molte comunità il big-man è colui che mostra generosità

più di tutti: per diventare il capo si indebita, ci rimette, e così facendo dimostra il suo legame con il

popolo. Quindi il prestigio prevale sull’aspetto economico. Però spesso il big-man è qualcuno capace

e abile: se voglio essere il più generoso per diventare il capo, devo essere capace a contrattare e a

procurarmi ciò che serve alla società con la mia minor perdita. Devo essere abile a tessere relazioni.

Dono

Il dono è economia o no? Ha un’utilità materiale? Il dono si basa sul concetto che ogni oggetto ha

uno spirito. Tale spirito si lega a quello del proprietario, secondo la credenza hau polinesiana dei

Maori. Il dono quindi risalirebbe a quando i popoli di marinai non potevano navigare a causa di

condizioni impervie. Qualcuno però partiva sempre, quindi si usava dare a questo un oggetto da

portare a qualcuno. Con questo dono, era come se il corpo di chi non è andato fosse partito per

davvero, e avesse fatto visita veramente.

Il dono non è uno scambio utilitaristico, bensì ritualistico. Non porta guadagno.

Mauss riflette sul dono e capisce che è un gesto materiale. Si interroga su come è costituito l’atto

del donare e carpisce tre funzioni cicliche:

1: atto del donare 2: ricevere il dono e accettare (o rifiutare) 3: ricambiare il dono

Mauss quindi si chiede perché doniamo e chi ce lo imponga, e perché se ricevendo un dono ci si

senta in dovere di ricambiare.

La differenza tra un dono e uno scambio commerciale sta nel fatto che uno scambio commerciale

implica un pagamento e uno scambio immediato tra due parti, mentre il dono è fatto da uno senza

che l’altro abbia potere decisionale di avviare la “transazione” (anche se può scegliere di rifiutarlo).

C’è una differenza anche di tempistica: in uno scambio commerciale c’è un tempo definito in cui

chiudere la transazione. La quantità da scambiare e la cifra da pagare è stabilita sono invariabili,

mentre nel dono il valore e le tempistiche possono variare senza problemi.

Il dono ha una duplice libertà: c’è liberta di non contraccambiare e di scegliere come e quando farlo.

Mauss individua che il dono è un’azione rischiosa: si rischia di perderci e non ottenere niente in

cambio. Ma perché si dona? Lo si fa per avviare una relazione o per mantenerne viva una.

Con il dono si innesca una relazione, poiché il dono è il motore principale con cui creiamo un

rapporto e le relazioni, e quindi per estensione la società. Ogni relazione è frutto di un dono.

Ci sono due valori, a cui Mauss aggiunge un terzo:

valore d’uso: necessità, bisogno dell’oggetto.

- valore di scambio: potere d’acquisto dell’oggetto.

- valore di legame: potere di creazione di relazioni di un oggetto. Il dono crea qualcosa di più

- importante del dono stesso.

Ma esistono anche forme di dono spersonalizzato, in cui non si creano relazioni, come:

donazione del sangue.

- beneficenza a terremotati, bisognosi, poveri.

- carità: ferisce chi la riceve, poiché è un dono asimmetrico a cui una delle due parti non potrà

- mai ricambiare. Una relazione è ha bisogno di simmetria.

Anche senza che si parli di carità, ci deve essere un certo equilibrio però: non bisogna esagerare con

doni troppo grandi perché chi non può contraccambiare viene ferito.

Il dono crea un debito morale, e si può dire che la nostra esistenza sia basata sul debito. Il dono crea

in continuazione uno squilibrio, a cui segue un riequilibrio. Mantiene aperte le relazioni, personali

o commerciali che siano.

La condivisione è un dono senza perdita. Può essere fatta sia online sia offline: esistono banche del

tempo in alcuni quartieri in Inghilterra, in cui ci si basato sullo scambio locale di servizi. È

un’economia senza moneta: si offre tempo agli altri e si richiede tempo ad altri ancora, in modo

asimmetrico, a vantaggio della comunità. Si creano quindi legami anche al di fuori del contesto di

bisogno/servizio.

Crescita e risorse

Le risorse tendono a diminuire perché il loro consumo è più rapido della velocità alla quale si

generano o riproducono. Questo porta a un impoverimento o all’esaurimento della tale risorsa.

Il sistema industriale è irrazionale e irragionevole: il nostro consumo è aumentato nel tempo e la

distribuzione delle risorse è incongrua tra i popoli del pianeta.

Molti sono coinvolti nel movimento della decrescita, ovvero nel tentativo di ripensare lo sviluppo.

Negli ultimi anni si è spesso parlato di sviluppo sostenibile, durevole, umano: la necessità di

aggiungere alla parola “sviluppo” un aggettivo attenuante è emblematico. Serve ripensare il

concetto di sviluppo.

Si pensava che la globalizzazione avrebbe portato alla scomparsa della cultura, ma in realtà ha

portato all’accentuazione delle differenze e a una mescolanza: si riteneva anche che il terzo mondo

sarebbe potuto arricchirsi, ma il divario (eccezion fatta per i paesi emergenti) si è solo allargato.

È avvenuta poi una deterritorializzazione, che ha comportato l’indebolimento del potere politico

degli Stati. Quando è decentrata, un’azienda è difficile da controllare. La politica una volta regolava

e determinava l’economia: oggi è il contrario.

Rete, spazio, comunità

Quale può essere il legame tra Facebook, Google, etc… e il territorio? Va a mancare un politica

statale e nazionale, e bisogna creare altre norme politiche per capire e regolare questi nuovi

fenomeni (che ancora non hanno trovato regolamentazioni globali). Nessuno è fuori dal mercato e

con la rete il concetto di spazio è totalmente cambiato. La rete non è un centro, ma un’area fatta di

nodi e collegamenti tra di essi.

Nella storia dell’umanità le più grandi invenzioni sono state la stampa, che ha portato ai

nazionalismi, all’alfabetizzazione, alla cultura e alla letteratura, e l’elettricità, che ha permesso di

diffondere con i decenni luci, energia e motori. Il web è la terza invenzione fondamentale, ed è un

po’ il risultato della somma delle prime due. Il web ha portato a una nuova percezione e a grandi

nuove narrazioni, divise tra apocalittici e integrati: c’è chi lo vedeva/vede come una disgrazia, e c’è

chi può solo elogiarlo per come ha semplificato la vita delle civiltà più tecnologiche.

Come ogni invenzione, non è “buona” o “cattiva”: questo dipende dall’uso che se ne fa. La rete ha

creato un nuovo spazio, un luogo immaginario in cui si può comunicare. E come al solito, la comunità

predominante ha la meglio, e in questo caso si parla di comunità linguistica: la lingua di internet è

l’inglese.

Nel web si ricreano delle comunità che fanno riferimento alla lingua più che alla nazione: la lingua

determina il punto di incontro.

La rete ha creato nuove forme di comunità, spesso basate sulla lingua, ed è un ottimo terreno di

ricerca antropologica. Il limite della lingua restringe però l’ampiezza delle comunità.

Le comunità possono essere:

territoriali: c’è un legame e una vicinanza con il territorio.

▪ d’interesse: c’è un legame tra persone che, anche se non per forza nello stesso posto, creano

▪ una comunità perché condividono uno stesso interesse (comunanza d’interessi).

L’uso della rete va contestualizzato all’offline: si vive anche nella realtà. Il vantaggio della rete è che

si possono creare facilmente contatti. Tuttavia, nascono contatti deboli (che possono essere

approfonditi, ma in linea di massima il contatto è molto superficiale). La rete si coniuga in base agli

interessi, alle necessità e agli scopi.

Potenzialmente, la rete annulla lo spazio. Inoltre, può dar risalto contestazioni e movimenti, facendo

nascere rivolte, che però non si attuano finché non si convertono nell’offline.

È ne

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Publisher
A.A. 2017-2018
48 pagine
22 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher steeeegtfo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Genova o del prof Aime Marco.