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Le imprese private si avvicinano al modello anglosassone, dominate dagli azionisti (sindacati, banche e per-‐
sone hanno importanza limitata). La borsa ha acquisito negli anni recenti una crescente importanza, favorita
da leggi e provvedimenti del Governo.
Capitalismo Italiano: il contesto politico-‐economico italiano, forgiato dalla costituzione del 1948 è, secondo
• alcuni, definibile come social-‐dirigista ed il suo modello economico è stato fino ai primi anni ’90 del secolo
scorso, un’economia mista di mercato.
Fino agli anni ’80, il mercato era percepito utile solo a regolare l’interesse privato (con un che di antisociale).
L’intervento dello Stato nell’economia è stato rilevantissimo fino all’inizio degli anni ’90, quando cominciò il
processo di privatizzazione.
Negli anni 70 e 80 la grande impresa pubblica e privata subì forti crisi ed il sistema diffuso delle piccole e me-‐
die imprese e dei distretti industriali seppe ampliamente compensare la perdita di competitività e portò l’Ita-‐
lia tra i primi paesi industrializzati.
Il sistema finanziario asfittico è un’altra peculiarità italiana. Dai primi anni ’90 tuttavia interventi legislativi
hanno modernizzato il settore. La Borsa, significativa fino ai primi anni 60 è stata “cannibalizzata” dal debito
pubblico (investimento in titoli di stato più accessibile e vantaggioso di quello azionario).
Lunedì 4 Dicembre 2017
Distretti, Pilastri e Reti
La struttura produttiva italiana oggi
Oggi, tra i paesi avanzati, l’Italia rappresenta un caso peculiare:
un numero esiguo di grandi gruppi industriali
• ancor meno “Pilastri” (gruppi di grandissime dimensioni, con un fatturato superiore ai 20 miliardi di euro)
• concentrazione elevata di imprese piccole e medie (meno di 250 addetti)
• specializzazione manifatturiera incentrata sui settori del Made in Italy (moda, arredo-‐casa, alimentare, meccanica
• collegata)
141 distretti industriali (secondo la definizione Istat e l’ultimo censimento 2011; il numero varia dai 100 ai 200 a
• seconda dei criteri di calcolo) spesso leader nel loro settore o in nicchie di attività (fenomeno assente in altri paesi
a vocazione manifatturiera) danno lavoro a circa due milioni di addetti
La grande impresa entra in crisi negli anni ‘70
La conflittualità sindacale che comincia con le lotte studentesche e nelle fabbriche a partire dal ‘68-‐’69 porta le
• imprese a cominciare a fare outsourcing (spostare le attività in Paesi in cui si risparmia sui costi di manifattura)
I due grandi shock petroliferi del ‘73 e ‘78 determinano un aumento del costo delle materie prime rilevantissimo
• Cambiamenti nei modi di produzione: si passa dal modello fordista della catena di montaggio a quello toyotista.
• Anche
la grande impresa pubblica (delle grandi partecipazioni statali IRI, ENI e EFIM)
entra in profonda crisi per la
• cattiva gestione, a sua volta determinata da un’ingerenza negativa della politica che utilizzava le imprese pubbli-‐
che per creare consenso, per clientelismo e come ammortizzatore sociale per attutire le richieste sociali
Le grandi imprese italiane così come quelle di tutto l’occidente, cominciano a fare outsourcing delle produzioni
• non strategiche (cedere ad altre aziende parti di attività) e a creare unità produttive all’estero in paesi a basso
costo del lavoro (prima est Europa, poi anche Nord Africa e far East soprattutto Cina): quindi la dimensione media
delle grandi imprese cala
30
Nel grafico si mostra la capacità di assorbire occu-‐
pazione da parte delle grandi imprese: dagli anni
’70 ad oggi è drammaticamente calata.
Si aggiungono i cambiamenti dei
modi di produrre.
Ohno inventa la produzione
snella, che aveva l’obiettivo di
comprimere al massimo gli scarti
(cioè gli errori). Egli riteneva che
“una squadra vincente combina
un buon lavoro di gruppo con le
capacità ed il talento dei singoli”;
Ford invece pensava che l’operaio
medio desiderasse un lavoro non
troppo faticoso dal punto di vista
fisico, ma soprattutto nel quale
non fosse necessario pensare.
Segue: la struttura produttiva italiana oggi
I distretti costituiscono circa un quarto del sistema produttivo del nostro Paese, in termini sia di addetti (il 24,5%
• del totale), sia di unità produttive locali (il 24,4% del totale).
L’occupazione manifatturiera distrettuale rappresenta oltre un terzo di quella complessiva italiana, in linea con
• quanto osservato 10 anni fa.
All’interno dei distretti industriali risiede circa il 22% della popolazione italiana: è probabile che chi vive nel di-‐
• stretto lavori anche alle produzioni di tale distretto.
Ogni distretto, in media, è costituito da 15 comuni (13 nel 2001), abitato da 94.513 persone (67.828 nel 2001) e
• presidiato