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MORFOLOGIA
Si occupa dei meccanismi che regolano la struttura interna delle parole. È la forma delle parole che mi fanno flettere una forma.
L’unità fondamentale è il morfema. E. gatt-o, gatt-e, la parte “fissa” indica il significato delle parole, morfema lessicale (morfologia
lessicale è lo studio dell’uso nella parola), la parte “mobile” parta le informazioni grammaticali, morfema grammaticale (morfologia
flessiva, studi a formazione di nuove parole, desinenza grammaticale che si flette). A determinare la marca grammaticale è un
morfema grammaticale.
Due tipi di morfemi: flessivi quando determinano la variazione di una parola in tutte le sue forme possibili secondo le categorie del
genere, del numero, del tempo ecc.., derivativi quando danno la possibilità di creare nuove parole.
Due i procedimenti fondamentali della morfologia lessicale (formazione nuove parole): la derivazione e la composizione. La
derivazione si ottiene con l’aggiunta di affissi (prefissi, infissi, suffissi) es. bello + ezza, bellezza, suffissato; la composizione consiste
nella combinazione di due parole autonome, apribottiglie.
I morfemi lessicali sono un inventario aperto, i morfemi grammaticali un inventario chiuso. Il morfo è il significante, il morfema è
ciascuna unità di significato grammaticale individuabile in un morfo.
I morfemi liberi sono quelli che possono costituire una parola da soli, quelli legati sono quelli che si trovano in unione con altri
morfemi, quelli semiliberi sono quelli che pur costituendo un’entità autonoma esplicano la loro funzione in combinazione con
un’altra parola. Gli allomorfi sono le diverse forme che un morfema può assumere in dipendenza da vincoli di vario tipo.
Morfologia flessiva
La morfologia dell’italiano è costituita da una parte più antica ereditata dal latino e da innovazioni romanze.
Il paradigma flessionale in base alla classe morfologica può contenere più caselle : es. il paradigma di un nome ha di norma due
caselle, singolare e plurale.
Morfologia nominale: nei nomi la flessione riguarda il numero (singolare/plurale). I nomi posseggono anche un genere, ma si tratta
di una categoria che non comporta la possibilità di flessioni, nei nomi inanimati l’assegnazione del genere è immotivata, nei nomi
riferiti ad esseri umani il genere è di norma attribuito in base al sesso. La formazione del plurale non avviene attraverso l’aggiunta di
un morfema ma attraverso la modificazione del morfema del singolare; per quel che riguarda la formazione del plurale i nomi italiani
si possono raggruppare in 6 classi. Per gli aggettivi la classe principale prevede 4 uscite. Il sistema dei pronomi personali è
caratterizzato da paradigmi complessi che prevedono forme distinte in base alla funzione sintattica svolta (soggetto/complemento). I
pronomi tonici si caratterizzano per avere un accento proprio; i pronomi atoni (o clitici) devono appoggiarsi foneticamente alla parola
precedente o a quella seguente, morfemi semiliberi. Il paradigma dei pronomi relativi presenta 3 forme principali: che invariabile;
articolo + quale; prep.+ cui; la prima è sintetica (formata da un solo elemento), le altre due sono analitiche (formate da più di un
elemento).
Morfologia verbale: nei verbi sono soggetti a flessione il tempo, il modo, la persona. È inoltre codificato un numero. La distinzione
tra presente e passato si ritrova in tutti i modi verbali (escluso l’imperativo); il futuro si ha solo all’indicativo. I modi del verbo
italiano sono sette: 4 finiti (indicativo, congiuntivo, condizionale e imperativo), 3 infiniti (infinito, gerundio e participio). Rispetto al
latino si vede la creazione di un nuovo modo finito, il condizionale. L’alternanza tra indicativo e congiuntivo è esclusivamente legata
ad una scelta di registro. L’aspetto è la possibilità di distinguere tra azioni concluse e non concluse.
Morfologia lessicale
La morfologia lessicale studia i meccanismi che rendono possibile l’ampliamento del lessico attraverso la derivazione e la
composizione,
La derivazione: avviene in genere per mezzo dell’aggiunta di un affisso (morfema legato) ad una parola base (morfema libero).
Gli affissi si distinguono in prefissi se precedono la base, suffissi se la seguono, se l’affisso è inserito nel mezzo della parola si parla
di infissi.
La suffissazione presenta due proprietà che la differenziano dalla prefissazione: la transcategorizzazione (o cambio di categoria
morfologica) e la ricorsività (da un derivato se ne può ottenere un altro). Esempio: fiore-!fiorista,
fossile!fossilizzare!fossilizzazione.
La conversione consiste in un processo di cambiamento della categoria morfologica di una parola non segnalato da affissi. Esempio:
abbasso!
La derivazione a suffisso 0 è la creazione di una parola senza l’aggiunta di alcun suffisso ma della sola desinenza grammaticale
(tendenza burocratica).
I verbi parasintetici sono quelli derivati da un nome o da un aggettivo tramite l’aggiunta simultanea di un prefisso e della desinenza
dell’infinito (Esempio: vecchio!invecchiare). La retroformazione inverte la normale direzione della derivazione, dal verbo
privandolo della parte finale viene fuori un nome.
L’alterazione è un procedimento di formazione delle parole a metà strada tra la flessione e la derivazione, un affisso si aggiunge ad
una parola base modificandone alcuni tratti semantici accessori (Esempio: librino, librone). Nel caso in cui l’alterato assume un
significato distinto rispetto alla parola base, siamo di fronte ad un processo di lessicalizzazione, specializzazione del significato
(calza!calzino).
La composizione: la creazione di una parola nuova a partire da elementi preesistenti. Possono essere scritti: uniti, staccati, uniti dal
trattino. L’italiano può creare composti a partire da parole appartenenti a diverse classi, nella maggior parte dei casi il processo di
composizione da origine ad un nome.
Esistono diversi criteri per classificare i composti: una prima distinzione tra composti endocentrici (uno dei due elementi costituisce
la testa del composto; capo stazione) ed esocentrici (la testa non coincide ne con A ne con B; casco blu).
Una seconda distinzione riguarda il rapporto di significato tra gli elementi del composto: coordinativi, i componenti contribuiscono
paritariamente alla creazione del significato; nei composti subordinativi il significato di A è sovraordinato a B (pesce gatto). Esistono
poi composti come cassaforte che sono detti attributivi o appositivi (C è un A che assume B).
Gli elementi che danno luogo alla composizione neoclassica (non del tutto composto, non del tutto derivato, è un ibrido), composti
che vengono dalle lingue classiche che però sono riconducibili nella lingua, ci danno il senso, presentano alcune caratteristiche
proprie degli affissi: per tale motivo si definiscono confissi oppure prefissoidi o suffissoidi (cineteca).
Al giorno d’oggi si registra una certa fortuna dei composti nominali misti anglo-italiani. Produttivi anche i composti N+N con ellissi
della proposizione o di elementi di collegamento (effetto serra). Vitalità del tipo V+N per creare composti inanimati (salvagocce).
Capacità di perifrasi: la perifrasi è una frase lunga per non dire una parola diretta. È l’atto finale della competenza linguistica, dare
definizioni di parole semplici.
SINTASSI
La sintassi studia la modalità con cui le parole si combinano in unità maggiori.
Le frasi prendono vita nel momento in cui sono calate in un contesto. La frase ha un nucleo di significati invariabile, ma una parte
del suo senso può esserle assegnata solo sulla base della conoscenza delle coordinate contestuali. Una frase collocata in un contesto
comunicativo e dotata di significato prende il nome di enunciato. Il testo è un atto linguistico realizzato in forma orale, scritta o
trasmessa. Esso deve essere dotato di senso, collocato all’interno di opportune coordinate contestuali e svolgere una funzione
comunicativa. Nella comunicazione l’emittente ed il ricevente entrano in contatto. Il testo costituisce il punto di raccordo tra il
sistema linguistico e la realtà extralinguistica. Per interpretare un testo dobbiamo compiere delle operazioni di decodifica e delle
operazioni di inferenza. È l’insieme del testo che consente di attribuire ai suoi componenti un senso univoco, un processo globale
simultaneo in cui tutti i livelli della competenza interagiscono. Perché si comunichi ci vuole l’emittente, il ricevente e il messaggio.
Qualsiasi enunciato con un messaggio è un testo (prospettiva testuale). La componente testuale è la capacità di saper gestire testi
diversi.
Un testo può svolgere la sua funzione comunicativa se gli si può attribuire continuità di senso (coerenza) e se ben formato dal punto
di vista delle relazioni grammaticali (coesione). Coerenza e coesione cooperano per tenere insieme un testo ma solo la prima è
condizione necessaria perché il testo funzioni.
Nella comunicazione reale ciascuna nostra produzione è calata in un contesto enunciativo. Per interpretarla ricorriamo a due livelli di
informazioni contestuali: il contesto situazionale (condividiamo con chi parla il luogo ed il tempo dell’enunciazione), il contesto
linguistico o cotesto (costituito da ciò che è presente nel testo). Alte conoscenze condivise sono quelle della conoscenza del mondo.
Solo parte del contenuto informativo è espresso in maniera esplicita, il resto è lasciato alla capacità del ricevente di ricavare i
significati impliciti; abbiamo una sorta di suddivisione del lavoro tra emittente e ricevente. Possiamo distinguere presupposizioni,
implicazioni e inferenze. Le presupposizioni si hanno quando una certa informazione ricavabile sulla base del significato di uno degli
elementi della frase, le implicazioni ci consentono di attivare significati impliciti del testo a partire dalla nostra conoscenza del
mondo e da eventuali elementi linguistici. Le implicazioni valide in assoluto sono chiamate implicazioni convenzionali, le
implicazioni valide entro determinate condizioni contestuali sono chiamate non convenzionali.
Le inferenze sono il risultato di un ragionamento probabilistico che sulla base della nostra conoscenza del mondo e a partire da
premesse ritenute vere, ci consente di ricavare una conclusione statisticamente vera.
Anafora, catafora e deissi: un rinvio anaforico, cioè la forma di ripresa si riferisce ad un elemento precedentemente menzionato, un
rinvio cataforico, la forma di ripresa si riferisce ad un elemento non ancora menzionato. L’elemento a cui si riferisce il pronome si
chiama punto di attacco. I rinvii anaforici assicurano la continuità del riferimento cioè consentono di capire se in un testo stiamo
continuando a parlare dello stesso referente o no. La continuità del rife