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I VOCABOLARI DELL’USO
Novità assoluta dell’Ottocento è il vocabolario dell’uso, la cui esigenza era avvertita da tempo e
che affiora già in vocabolari storici come Alberti, le appendici del Facciolati, Tramater, Tommaseo-
Bellini e nei vocabolari metodici.
Nel 1868 il ministro della Pubblica Istruzione Emilio Broglio istituisce una commissione per trovare
una soluzione al problema dell’italofonia. Anche senza dati statistici precisi (forniti il mese
successivo da De Mauro) c’è la consapevolezza della mancanza di una lingua unita.
Si formano due sottocommissioni: una fiorentina (Tommaseo, poi dimessosi per disaccordo con
Manzoni e gli altri) l’altra milanese (Manzoni). Solo i manzoniani produrranno una relazione,
Dell’unità della lingua e dei mezzi per diffonderla e fissa il modello fiorentino borghese, nonché
quello della Quarantana, come modello linguistico.
Intervento sulla scuola, attraverso maestri toscani e l’obbligatorietà (legge Coppino, 1877), e
realizzazione di due tipi di vocabolari: vocabolari dialettali per apprendere il toscano e vocabolario
dell’uso, non è un caso che si istituisca una commissione per la realizzazione di un vocabolario. Il
vocabolario dell’uso era già nato in Francia e si sarebbe contrapposto a quello della Crusca.
GIORGINI-BROGLIO
Il vocabolario manzoniano sarà realizzato dallo stesso Broglio e da G.B. Giorgini, genero di
Manzoni e letterato, a partire dal 1870: Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di
Firenze. (Novità nel titolo: si usa la forma non dittongata benché non sia del fiorentino letterario,
proprio perché nel fiorentino parlato il fenomeno non presenta il dittongo).
Due grandi novità:
• Eliminazione esempi d’autore.
• Eliminazione della componente arcaica e letteraria, solo uso vivo.
Tommaseo critica la restrizione al solo fiorentino, altri si oppongono in modo più radicale, come
Graziadio Isaia Ascoli, che contesta l’intera operazione nell’«Archivio glottologico italiano» (1873):
i manzoniani hanno sostituito alla vecchia retorica letteraria quella manzoniana, ma non si può
imporre il toscano; la lingua unita deve svilupparsi da sola con il progresso civile (capitale Roma dal
1871); inoltre, Manzoni ha usato il monottongo solo dopo palatale (spagnolo, gioco), non il tipo
fiorentino popolare novo, bono perché predilige il modello borghese che non va incontro alle
forme popolari.
Ì manzoniani e in questo caso Giorgini e Broglio vanno oltre Manzoni stesso convergendo verso il
fiorentino popolare. Non è un caso che nei romanzi successivi come quello di Collodi Pinocchio ci si
rifà al modello popolare.
Dal punto di vista editoriale la pubblicazione di questi fascicoli si prolunga per troppo tempo e
infatti impiegherà 27 anni per essere terminato.
L’opera è in quattro volumi (non molto estesi: 600 pagine): il lemmario è ridotto rispetto a TB o
Crusca perché scompare tutto ciò che è arcaico. Resta solo qualche forma viva nella poesia
dell’epoca (augello, indarno, poscia).
Il modello è l’uso fiorentino. Sono escluse forme di altre aree toscane. Se una parola si è diffusa a
Firenze viene registrata, anche se è un forestierismo (parterre, eccentricità) o una voce popolare
(fistiare, golpe, mana), anche se accanto a bono, novo, omo ci sono fuori, suono, stuolo.
D’altronde Tommaseo nel trattato sui sinonimi sosteneva che bisognava seguire l’uso ma molto
spesso esso stesso era da correggere poiché errato; questo elemento manca in GB pertanto
entrano nel loro vocabolario tanti elementi precedentemente omessi dalla tradizione.
Molto ricco di indicazioni d’uso: sia registro (fam., triv., lett.) sia frequenza (comune, poco usato).
Questo elemento nella lessicografia iniziale era assente o poco curato mentre qui assume una
notevole importanza.
Spesso si guida il lettore presentando confronti con altre forme(detrazione è meno com. di
sottrazione, mese più com. di mesata) e corradicali (incolto è registrato senza indicazioni, mentre
incoltezza è dell’uso letterario).
Abbondanza di fraseologia attinta al parlato quotidiano allo scopo di
mostrare il concreto funzionamento della parola nella lingua.
Analizziamo la voce MESCHINO
1) La definizione è sommaria, ma integrata da un’ampia scelta di esempi che chiariscono tutti i
possibili usi dell’aggettivo
2) Negli esempi c’è una progressione dai sintagmi più elementari ai più complessi
3) Gli esempi mostrano dati più raffinati, anche se non li esplicitano: indicazione della posizione
dell’aggettivo rispetto al nome, segnalazione delle collocazioni, ecc.
Ci fa capir che si può usare sia ‘meschino me’ che ‘me meschino’ inoltre ci sono frasi inventate dal
lessicografo per farci capire come si possono usare le forme nell’uso.
Tutto ciò non viene fatto per tutti i lemmi ma ad ogni modo si testa di dare tutti gli esempi che un
parlante fiorentino contemporaneo userebbe.
In merluzzo si sottolinea che c’è una parola più famigliare dallo stesso significato che è baccalà.
Tuttavia di seguito si sottolinea che si può dire ‘Olio di fegato di merluzzo’ ma non ‘olio di fegato di
baccalà.’
Non c’è molta attenzione per la definizione ma ce n’è molta per l’uso vivo attraverso gli esempi.
La vera novità del GB è quella di fornire dettagli di un repertorio al lettore e si mette a conoscenza
il parlante di come possono essere usate le parole.
ALTRI VOCABOLARI DELL’USO
Il Giorgini-Broglio non ebbe fortuna editoriale a causa della lunga gestazione, dal 1870 al 1897.
Viene battuto sul tempo da altri due vocabolari, che ne imitano le innovazioni ma riescono a uscire
completi prima del Giorgini-Broglio.
Il primo è il Vocabolario italiano della lingua parlata di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani (detto
Rigutini-Fanfani), pubblicato nel 1875 in un solo volume (anche questo ne determina il successo
commerciale). Il vocabolario esce non a fascicoli ma completo e nel momento della sua
pubblicazione il Giorgini Broglio arriva solo alla lettera B, dunque gli acquirenti preferiscono un
vocabolario completo. Non è un caso che l’editore Barbera fosse particolarmente affascinato
dall’idea di Rigutini.
Riproduce le due innovazioni del GB (l’uso vivo e la soppressione degli esempi d’autore), ma se ne
distacca per alcune scelte sul toscano:
• L’uso non è solo fiorentino ma più ampiamente toscano (non canocchiale ma cannocchiale).
Rigutini preferisce la variante più estesa geograficamente e numericamente.
• Sono escluse le voci popolari, come mana ‘mano’, gna ‘bisogna’, ecc.
Nasce una particolare polemica tra Rigutini e Broglio perché quest’ultimo sostiene di essere stato
sottratto dell’idea e accuserà il vocabolario di essere sbagliato di sana pianta è molto lontani
dall’idea manzoniana. Sebbene infatti sia un vocabolario della lingua parlata, non è manzoniano
perché non è fiorentino ma della lingua toscana.
Altri due punti di distacco riguardano la letteratura e i neologismi:
• Si dichiara che l’uso parlato deve essere temperato dall’uso dei buoni scrittori, quindi non si
tagliano i ponti con la letteratura. Ciò era stato eliminato completamente da Broglio e sebbene
intitolasse il vocabolario ‘della lingua parlata’ sostiene che le scelte linguistiche devono essere
valutate anche sulla base degli scrittori. Ciò sarà ben criticato da Broglio perché il vocabolario va
contro un principio manzoniano nonché quello di non considerare la letteratura precedente.
• C’è una componente prescrittiva assente nel GB (entrambi autori di repertori puristici): si
sconsigliano molti francesismi sebbene siano registrati (esternare, massacrare, purè), anche se
spesso sono accolti perché ritenuti necessari (canapè, cupè).
Inoltre, Rigutini-Fanfani accentuano molto l’elemento pratico e didattico, e infatti avranno molta
fortuna anche nelle scuole:
• Indicazioni di pronuncia e di grafia
• Eliminazione dei doppioni fonomorfologici (edificio/edifizio)
• Inserimento dell’etimologia in una edizione successiva
In partenza si rasenta come molto vicino al GB per l’eliminazione degli esempi letterari e per
l’attenzione all’uso; tuttavia diverge dal GB per il richiamo alla lingua letteraria e per le tendenze
puristiche.
Se prima sarà Rigutini a ricopiare Broglio, poi sarà Broglio a riprendere il secondo lemmario di
Rigutini; non sarà un caso che i due si accuseranno di plagio.
Le definizioni dei lemmi sono molto più ridotte rispetto a GB dunque la lunga serie di esempi è
notevolmente ridotta
PETROCCHI
L’altro vocabolario dell’uso che riprenderà il modello di GB ma riuscirà a essere pubblicato prima è
il Nòvo dizionàrio universale della lingua italiana in cui richiamando il GB si riferisce direttamente
al fiorentino dell’uso, di Policarpo Petrocchi (1887-91). Contempla anche parole toscane e non solo
fiorentine.
Documenta la lingua d’uso; più vicino al modello del GB (monottongo nel titolo). Broglio sul
mercato era completamente fuori gioco.
Anche in questo caso grande successo editoriale, che deriva da una trovata: per conservare il
lessico letterario e arcaico, utile nel contesto scolastico, divide il vocabolario in due fasce: fascia
superiore documenta solo l’uso vivo, seguendo il modello manzoniano, con molti neologismi
(bocciare); fascia inferiore comprende arcaismi, toscanismi non fiorentini, lessico scientifico.
La fascia inferiore comprende anche accezioni arcaiche, quindi una voce può trovarsi in entrambe
le fasce: BARBIERE: fascia alta ‘chi fa per mestiere la barba’, fascia bassa ‘chi faceva salassi’. Utile
per studi diacronici.
Le voci sono organizzate secondo il modello di Rigutini- Fanfani perché l’opera di Petrocchi ha
bisogno di ridurre la voce nelle sue dimensioni.
La collocazione nella fascia inferiore offre delle varianti spesso uscite dall’uso. L’idea di dividere la
pagina in due gli consente di ricavare spazio poiché non ha bisogno di dire se una voce è arcaica o
dell’uso comune.
VOCABOLARI E RICERCA
Giovanni Nencioni, Lessicografia e letteratura italiana, «Studi linguistici italiani», 1980, pp. 5-30.
Nencioni indaga alcuni casi nei quali gli scrittori si sono serviti attivamente del vocabolario, poiché
non essendo toscani si interrogano su quale