Appunti del corso di Diritto delle Società
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problema ed ha voluto applicare questa disciplina solo alle S.r.l. (e la disciplina dei gruppi è a sé
stante).
Vi è poi la decisione del Tribunale di Padova del 2011 che per certi versi sconfessa parte delle
cose già dette. Si era detto che le parti del rapporto di finanziamento sono il socio e la società,
quindi se il socio garantisce il finanziamento sarebbe fuori dall’applicazione dell’art. 2467.
Nel caso si è già in proposta di concordato (proposta di accordo che il debitore fa ai creditori, dopo
una procedura in cui il giudice valuta la correttezza e omologa l’accordo, e una volta omologato
l’accordo sono vietate le azioni individuali). Si dovrà verificare la situazione debitoria della società e
si riscontra che vi è un finanziamento effettuato da un socio alla società. Il finanziamento non è
stato effettuato direttamente da un socio, ma questo socio si è avvalso di un'altra società, la quale
ha materialmente effettuato il conferimento (non vi è coincidenza quindi tra il socio che finanzia e
la società finanziata). Per il Tribunale di Padova in teoria si sarebbe fuori dall’art. 2467, tuttavia la
ratio dell’articolo è colpire le sottocapitalizzazioni, quindi in questo modo si rischia di vanificare il
senso concreto dell’articolo.
A questo punto il Tribunale di Padova dice che si intendono finanziamenti dei soci “in qualsiasi
forma effettuati” sia i finanziamenti diretti sia quelli indiretti. Quindi in pratica ha ragionato sulla
base di una nozione economica di finanziamento. Quindi sono compresi anche i finanziamenti
effettuati tramite garanzia oppure messa a disposizione di risorse finanziarie. Anche la prestazione
di garanzia deve essere considerata finanziamento.
In realtà questa estensione analogica nasconde un ragionamento di abuso del diritto. La
giurisprudenza si è resa conto che lasciare fuori il finanziamento tramite prestazione di garanzia
era un facile modo per eludere la ratio, quindi la giurisprudenza vuole colpire un uso non corretto
del diritto, tuttavia preferisce utilizzare la via più sicura dell’applicazione analogica. Al contrario
della giurisprudenza tedesca, si considerano solo i finanziamenti del socio e non dei suoi stretti
congiunti.
Il Tribunale ha affermato che ciò che conta è il momento in cui viene effettuato il finanziamento o la
prestazione della garanzia.
Il Tribunale di Milano 2013 è interessante perché si era verificata una situazione particolare di
ristrutturazione del debito, erano cambiate le condizioni. La società successivamente va in crisi e ci
si chiede se nel 2004, la garanzia prestata resti in piedi quindi il socio abbia diritto o meno alla
restituzione.
Il Tribunale dice che le operazioni del 2004 e del 2009 sono operazioni distinte. Si dovrebbe
dimostrare che già nel 2004 vi era la crisi perché il Tribunale aderisce all’orientamento per cui il
momento in cui verificare se c’è la situazione di crisi è il momento del finanziamento. Nel 2004 va a
ricostruire la situazione del tempo e fa la c.d. riclassificazione dei bilanci applicando gli indici
adottati nel corso delle procedure fallimentari per verificare il pericoloso indebitamento e dice che
la situazione di indebitamento grave vi era già nel 2004 e quindi l’operazione era soggetta all’art.
2467. Si vede come in realtà ci si appoggi alla tecnica aziendalistica per capire lo stato di
situazione debitoria che determina l’eccessivo squilibrio.
FINANZIAMENTO DEI TERZI
Nella S.r.l. abbiamo una grossa novità: prima del 2003 per le S.r.l. era vietato da un’espressa
previsione emettere il prestito obbligazionario. Oggi non abbiamo più quell’indicazione, inoltre l’art.
2483 dice che se l’atto costitutivo lo prevede, la società può emettere titoli di debito. I titoli di
debito sono la categoria generale in cui stanno le obbligazioni, sono titoli che rappresentano il
debito della società nei confronti dei terzi. Il prestito obbligazionario è rappresentato da titoli
standardizzati, molto simili alle azioni, che però tuttavia non attribuiscono la qualità di socio, ma di
obbligazionista quindi di finanziatore della società.
Per il prestito obbligazionario è previsto il soggetto che ha diritto all’emissione, limiti all’emissione e
situazioni in cui il creditore può diventare socio della società, mentre qui nulla è previsto. Se la
S.r.l. vuole emettere titoli di debito deve darsi integralmente la disciplina. L’atto costitutivo deve
prevederlo.
Supponendo che l’atto costitutivo non preveda nulla, eppure l’assemblea dei soci che corrisponde
agli amministratori, decida l’emissione del prestito e qualcuno lo sottoscrive. In questo caso in
dottrina si sono poste due diverse posizioni: una prima tesi dice che siamo di fronte a un atto
estraneo ai limiti legali della rappresentanza, per cui il sottoscrittore avrà sempre diritto di
pretendere il rimborso della somma versata; dall’altra parte la società non sarà tenuta rispetto alle
condizioni fissate nel prestito (x es. se fosse stato previsto un tasso del 20% la società non
dovrebbe comunque dare quel tasso), in pratica si tratta di un indebito. Secondo altri l’unica
soluzione è impugnare la delibera, perché in realtà la delibera che ha dato origine al prestito è la
vera fonte che va fatta cadere. In questa seconda ipotesi si può applicare anche una disposizione
prevista per l’invalidità delle delibere di S.p.A., cioè che sono fatti salvi i diritti dei terzi di buona
fede, quindi l’annullamento della delibera determinerebbe l’annullamento dei titoli ma il terzo
dovrebbe restituire solo gli interessi percepiti in malafede. 15/10/2015
Competenza all’emissione. L’atto costitutivo deve prevedere la possibilità di emettere titoli di
debito. Può succedere che non venga previsto nulla nell’atto costitutivo, in questo caso chi è
competente all’emissione? Nelle S.p.A. vi è netta differenza tra gestione degli amministratori e
soci, quindi quando si tratta di prestito obbligazionario, il legislatore individua come organo
competente l’organo gestorio. Nelle S.r.l. no, perché nelle S.r.l. non vi è la regola per cui la
gestione spetta in via esclusiva agli amministratori. Vi è poi la regola per cui i soci devono
rispondere agli illeciti compiuti in sede di gestione se hanno concorso all’illecito degli
amministratori, acconsentendo determinate operazioni. Quindi secondo la dottrina bisognerebbe
fare attenzione a come è strutturato il modello dal punto di vista dell’articolazione della gestione,
nel senso che se la S.r.l. è strutturata in modo molto simile alla S.p.A., in quel caso si può
ipotizzare una competenza degli amministratori. In realtà un’altra dottrina dice che se non è
individuata la competenza all’emissione del titolo di debito si è voluta prevedere una competenza
alternativa, quindi possono deciderlo tanto gli amministratori, quanto i soci.
In ogni caso questa decisione, ai sensi del comma 3, art. 2483, prevede le condizioni del prestito e
le modalità del rimborso e questa decisione è iscritta presso il registro delle imprese. Queste
decisioni relative a condizioni e modalità del rimborso sono decise dalla società ma una volta che i
titoli di debito sono stati sottoscritti, la società non può modificarli a suo piacimento. Secondo la
dottrina è possibile modificare le condizioni ma occorre il consenso della maggioranza dei
possessori dei titoli di debito (una regola simile vi è per il prestito obbligazionario, che prevede
l’assemblea degli obbligazionisti, anche se in questo caso non deve essere costituito un organo
apposito. La maggioranza si calcola per quote.
Legittimazione. Il comma 2, art. 2483, dice che i titoli possono essere sottoscritti solo da
investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali (x es. banche e
intermediari finanziari), sono quindi soggetti dotati di una particolare professionalità e sono
sottoposti ad una particolare vigilanza che è disciplinata sia nel TUF che nel TUB. Ciò significa che
il singolo consumatore non può sottoscriverli.
Questo fa capire perché il legislatore si è disinteressato delle garanzie del prestito, infatti non sono
previsti limiti all’emissione, né la delibera di emissione deve prevedere le garanzie, perché deve
essere l’intermediario, dotato di professionalità, a capire se vale la pena sottoscriverli.
Trasferimento. Sono destinati alla circolazione, e chi li trasferisce risponde della solvenza della
società nei confronti di chi non è socio o investitore professionale. Sono trasferibile a qualunque
soggetto, anche un consumatore li può acquistare, sul mercato secondario della circolazione (non
dell’emissione). Il legislatore introduce una sorta di garanzia personale prevista dalla legge
dicendo che laddove l’acquirente non abbia le medesime caratteristiche di professionalità, in caso
di insolvenza della società, il primo sottoscrittore o il cedente deve mantenere indenne l’acquirente
non professionale.
Esiste un’eccezione a questa regola, per cui il sottoscrittore sia socio della società, perché egli sa
benissimo la condizione finanziaria della società.
Laddove è il socio ad acquistare titoli di debito, in sostanza fa un finanziamento alla società. In
questo caso si applica la postergazione? La giurisprudenza non è ancora arrivata su questa cosa.
La sentenza del Tribunale di Milano del 2014 nel caso di una S.p.A. che ha emesso un prestito
obbligazionario, si trasforma poi in S.r.l., il socio chiede il rimborso e visto che si è in S.r.l. e vi era
crisi al momento dell’emissione, viene applicata la postergazione, secondo la società. Il Tribunale
ha tuttavia detto che le cose non stanno così perché al momento dell’emissione si trattava di
S.p.A. e non di S.r.l., ciò ci fa capire che se fosse stata una S.r.l. la giurisprudenza aveva applicato
l’art. 2467, inoltre ci fa capire che la giurisprudenza non acconsente l’applicazione analogica
dell’art. 2467 alla S.p.A.
Per quanto riguarda la disciplina del prestito bisogna tener conto che vi sono regole che integrano
la delibera o lo statuto, presenti in una deliberazione del Comitato interministeriale per il credito e il
risparmio (CICR). È una delibera del 19 luglio 2005 e dice che per strumenti finanziari si intendono
obbligazioni, titoli di debito e altri strumenti finanziari che contengono obbligo di rimborso (quindi
disciplina tutte le forme di raccolte del risparmio fuori dai mercati regolamentati).
Con riferimento all’art. 5 gli strumenti vanno emessi con un taglio unitario non inferiore a 50.000€.
QUOTE
La disciplina parte all’art. 2468. Ogni socio è titolare di una quota, indipendentemente dalla
percentuale di partecipazione al capitale sociale. Eventuali aumenti o riduzioni della partecipazione
incideranno solo sul valore della quota, che è sempre e comunque 1. Le quote possono essere
diverse tra loro, mentre le azioni sono standardizzate, avendo tutte lo stesso valore nominale.
Le quote possono essere espresse o in una frazione rispetto al capitale o in misura percentuale o,
anche se meno frequente, nel valore nominale.
Le quote sono diverse dalle azioni anche perché sono divisibili. Peraltro le quote possono essere
oggetto di comproprietà. La quota non può essere rappresentata da azioni. E non può essere
oggetto di sollecitazione, con l’eccezione per le start-up innovative.
Normalmente le quote non sono rappresentate da un documento fisico. Il certificato di quota non è
la quota, è solo un documento di legittimazione, quindi individua il soggetto che può beneficiare di
una certa posizione o di un certo status.
Si è molto discusso sulla natura giuridica della quota. Si è arrivati a dire che si tratta di un bene
immateriale. Si è discusso perché vi era il problema della pignorabilità della quota, ammissibile
solo se si tratti di un bene. Dicendo che è un bene immateriale se ne consente la pignorabilità.
Il punto da cui partire è l’art. 2468, in particolare il comma 2. Vi sono due aspetti che vengono in
rilievo: i diritti sociali, che di regola, spettano in misura proporzionale alla partecipazione posseduta
dal socio. Unica eccezione è quella dei diritti particolari dei soci. I diritti particolari sono indicati nei
commi 3 e 4 che fa salva la possibilità che lo statuto riservi a soci diritti riguardanti
l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili. L’eccezione è quella che lo statuto
preveda particolari diritti che possono riguardare solo l’
amministrazione della società o la
distribuzione degli utili. Come regola generale fa riferimento ai diritti amministrativi, mentre come
deroga ai diritti di amministrare. Le due cose si combinano dicendo che con riferimento ai diritti di
amministrare lo statuto potrebbe ad esempio prevedere che il socio si attribuisca il diritto di essere
amministratore a vita della società. Questa clausola è valida.
Altra cosa che potrebbe prevedere l’atto costitutivo è che uno o più amministratori verranno scelti
da un particolare socio. Questa potestà di scelta è una deroga all’esercizio del diritto di voto. Gli
amministratori verrebbero nominati in sede decisoria da parte dei soci, invece il socio deroga i
diritti di esercizio del voto attraverso una facoltà che deriva dall’atto costitutivo. Oltre a questi
potrebbe poi avere anche ulteriori diritti, per esempio legati al riservarsi un diritto di veto rispetto a
determinate operazioni.
Altro aspetto è la distribuzione degli utili. Potrebbe voler dire che si potrebbe prevedere una
postergazione nelle perdite a favore del socio o una non proporzionalità tra la sua quota e il diritto
di partecipare agli utili.
Si è discusso su una particolare questione, cioè, essendo gli utili uno dei diritti patrimoniali
(assieme al rimborso delle quote), ci si chiede se questi diritti possono riguardare il rimborso delle
quote, parlando di utili in senso ampio. La soluzione starebbe nel fatto che in ogni caso questi diritti
particolari non potrebbero incidere sul rimborso del valore nominale della quota, ma solo
sull’eventuale surplus .
Il comma 4 dice che salvo diverse disposizioni dell’atto costitutivo e quanto previsto dal comma 1,
art. 2473, i diritti particolari possono essere modificati solo con il consenso unanime dei soci. Vi è
la regola per cui i diritti particolari possono essere modificati solo all’unanimità. Vi è una possibile
eccezione del “salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo” che può quindi prevedere che siano
modificati a maggioranza.
Inoltre viene fatto salvo quanto di sposto dal comma 1, art. 2473, che si occupa di recesso. Il diritto
di recesso scatta quando vi è una decisione che riguarda una delle ipotesi previste dove c’è
qualcuno che non ha partecipato alla decisione perché astenuto, assente o dissenziente. Ci si
troverebbe a poter modificare i diritti comunque a maggioranza, salvo il diritto di recesso del
dissenziente (perché se c’è unanimità non c’è diritto di recesso). La tesi maggioritaria sostiene che
il rinvio all’art. 2473 si riferisca al caso in cui lo statuto preveda la modificabilità a maggioranza. La
dottrina sostiene che si fa riferimento alle ipotesi in cui la modificazione sia indiretta. X es. se
vengono attribuiti altri diritti ad altri soci. In questo caso non si intaccano i diritti del primo socio, ma
magari così facendo si incide indirettamente sui suoi diritti particolari. 20/10/2015
Trasferibilità delle quote. Mentre le azioni sono cose, quindi vi è la materialità; le quote non
hanno una loro fisicità, non sono beni materiali. Per quanto riguarda la trasferibilità delle quote ci
riferiamo all’art. 2469, che dà la regola generale per cui le partecipazioni sono liberamente
trasferibili per atto tra vivi o mortis causa, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo.
Al comma 2 si fa riferimento alla possibilità che l’atto costitutivo prevede l’intrasferibilità assoluta
della partecipazione, cioè alla circostanza che l’atto costitutivo vieti il trasferimento della
partecipazione.
Una regola molto diversa la troviamo nella S.p.A. (art. 2355 bis, comma 2) per cui l’intrasferibilità
assoluta non si può prevedere, a meno che non si preveda anche un obbligo d’acquisto da parte
della società o un diritto di recesso da parte del socio, per consentire comunque al socio di uscire
dalla società.
Nella S.r.l., invece, le cose stanno diversamente perché nel caso in cui si preveda l’intrasferibilità
assoluta, il socio può esercitare il diritto di recesso, quindi intanto la clausola è valida ed efficace e
la legge consente il diritto di recesso.
Lo statuto nelle S.r.l. può prevedere che comunque il recesso non sia esercitato prima di due anni.
Nelle S.r.l. è possibile chiudere la compagine societaria.
La dottrina ha interpretato questa disposizione in modo rigoroso nel senso che questa regola si
applichi solo ai casi di intrasferibilità assoluta. Non rientrerebbe in quest’ipotesi l’intrasferibilità
temporanea della partecipazione e nemmeno l’intrasferibilità solo a favore di determinati soggetti o
limitazioni legate all’onerosità dell’atto di trasferimento. Tarando la clausola in modo che
l’intrasferibilità non sia assoluta, si sarebbe fuori da questa disposizione.
Le limitazioni sono l’intrasferibilità ed il problema del gradimento. Il gradimento mero è la
subordinazione del trasferimento alla mera volontà di un soggetto, che potrebbe essere un socio, il
consiglio di amministrazione oppure gli altri soci. Si parla di mero gradimento anche se vi è un
obbligo di motivazione. Perché non sia mero gradimento bisogna che vi sia una predisposizione ex
ante di determinati criteri (ma non è previsto quali siano. C’è poi un’altra ipotesi di gradimento,
detto “gradimento alla francese”, una particolare ipotesi che non rientra tra le ipotesi di mero
gradimento, laddove nel caso in cui si neghi il gradimento vi è l’obbligo di indicare un soggetto
disposto ad acquistare la partecipazione entro un determinato termine ed a parità di condizioni.
Altre ipotesi sono le clausole di prelazione. La clausola di prelazione nelle S.r.l. può avere una
regola particolare. In generale la prelazione implica che a parità di condizioni un soggetto sia
preferito rispetto a un altro. Nella S.r.l. questa prelazione può essere prevista a favore di un
determinato socio. Questo lo si ritiene ammissibile considerandolo un particolare diritto del socio. Il
fatto che vi sia diritto di recesso significa che vi è un dovere di comunicazione agli altri soci nel
caso il socio volesse vendere la partecipazione. Il singolo socio ha quindi sempre il diritto di
vendere la partecipazione, ma hanno diritto di acquistare gli altri soci, di qui l’obbligo di
comunicazione indicando tutti i termini della cessione. Si distingue poi tra prelazione propria e
impropria nel senso che se la prelazione è propria gli altri soci sono preferiti ai terzi acquistando
alle stesse condizioni che avrebbe acquistato il terzo, mentre la prelazione impropria implica che
nello statuto siano indicate già condizioni o prezzo a cui i soci possono acquistare le partecipazioni
indipendentemente dal prezzo a cui voleva vendere il socio. In ogni caso non siamo di fronte a
limitazioni assolute al trasferimento, quindi non c’è mai il diritto di recesso assoluto da parte del
socio.
Nel caso in cui siano previste limitazioni al trasferimento della partecipazione o ne sia disposta
l’intrasferibilità, cosa accade se il socio subisce un’esecuzione mobiliare?
[Può accadere che un socio abbia creditori particolari, laddove non adempia alle sue prestazioni, il
creditore può fare affidamento al suo patrimonio, in cui c’è la quota di partecipazione. Può il
creditore monetizzare questa quota oppure no?]
Nel caso della S.r.l. molte volte sono presenti queste clausole di intrasferibilità. Il legislatore ha
cercato una soluzione intermedia, art. 2471, comma 3, per cui se la partecipazione non è
liberamente trasferibile, se non si trova un accordo in cui si prevede o il trasferimento o il modo di
liquidarlo in altre forme, la vendita ha luogo all’incanto (vendita coatta), ma la vendita non ha
effetto se entro 10 giorni la società presenta un altro acquirente che compri allo stesso prezzo. Di
fatto il creditore particolare del socio non ha molte prospettive di soddisfazione per ciò che riguarda
la partecipazione.
La disciplina del trasferimento è contenuta all’art. 2470, rubricato efficacia e pubblicità e lascia
capire quanto sia complicato trasferire le quote perché si richiede un formalismo legato sia all’atto
di trasferimento, sia all’efficacia del trasferimento. Questo perché l’atto di trasferimento va fatto in
una particolare forma di cui al comma 2, ma l’effetto del trasferimento rispetto alla società è
subordinato alla pubblicità nel registro delle imprese. Quindi due sono gli adempimenti formali:
contratto di cessione e deposito del contratto presso il registro delle imprese. Qui non vi è il libro
soci, per le S.r.l. è stato abolito per legge. L’abolizione era legata a un idea di semplificazione, ma
in realtà ha provocato diverse problematiche. L’atto di trasferimento deve essere fatto a cura del
notaio rogante o autenticante.
A questa disposizione va affiancato l’art. 36 del d.l. 112/2008, comma 1 bis
, che dice che l’atto di
trasferimento può essere sottoscritto con firma digitale e depositato entro 30 giorni a cura di un
intermediario abilitato (dottore commercialista o perito commerciale o ragioniere). Significa che il
trasferimento può avvenire sia a cura del notaio sia a cura del dottore commercialista. In realtà
l’art. 36, comma 1 bis non fa riferimento alla forma dell’atto, si occupa della sottoscrizione con
firma digitale dell’atto e trasferimento dello stesso al registro delle imprese. Secondo i notai il
commercialista può fare solo la trasmissione al registro delle imprese, non l’autentica. È quindi
arrivata un’interpretazione autentica che chiarisce che il dottore commercialista può fare anche
l’autentica. Il trasferimento della quota di S.r.l. può essere fatta sia dal notaio, sia dal dottore
commercialista o esperto contabile iscritto all’ordine.
Vi è poi un problema legato all’efficacia del trasferimento, perché il comma 1, art. 2470 dice che il
trasferimento ha effetto dal deposito. Quindi l’efficacia è legata al deposito telematico dell’atto. Si
parla dell’effetto della vendita rispetto alla società. Rispetto alle parti è una vendita, contratto
consensuale che si conclude subito ed è subito efficace inter partes. Il contratto si sottoscrive
davanti al notaio o commercialista che poi hanno 30 giorni di tempo per comunicarlo al registro
delle imprese. Inoltre il deposito non è iscrizione nel registro delle imprese.
[Certi atti vanno solo depositati presso il registro delle imprese, altri vanno iscritti. Quelli che vanno
iscritti vanno sempre preceduti dal deposito. X es. il bilancio è solo depositato; le modifiche
dell’atto costitutivo delle società di capitali vanno anche iscritte nel registro delle imprese.
L’iscrizione prevede un ulteriore controllo formale da parte del conservatore del registro delle
imprese.]
L’effetto ex lege ha efficacia dal momento del deposito, tuttavia il deposito non è pubblico, come
invece lo è l’iscrizione. A questo problema ovviava il libro soci perché la legge diceva che il
trasferimento aveva effetto verso la società dal momento in cui era annotato nel libro soci. Di fatto
la società non sa chi sia il titolare della partecipazione, tanto che la dottrina ha cercato di dire che
l’efficacia della cessione è subordinata all’iscrizione, primo atto visibile. In ogni caso, secondo la
dottrina, il socio che ha ceduto la partecipazione ha comunque un dovere di comunicazione alla
società.
La pratica ha suggerito di adottare il libro soci su base volontaria, che può essere prevista in
statuto. Per il Consiglio Notarile di Milano (massima del marzo 2009) si può fare e si può
prevedere che l’esercizio dei diritti sociali sia subordinato all’aggiornamento del libro soci.
Un notaio veronese ha provato a sostenere questa tesi ma il Tribunale di Verona (settembre 2009)
ha detto di no, perché per il Tribunale vietando il libro soci lo ha vietato con norma imperativa,
quindi la clausola che lo reintroduce è nulla.
Vi è un ulteriore problema legato al trasferimento della partecipazione e a questa forma di
pubblicità. Se la partecipazione venisse ceduta a più soggetti contemporaneamente, chi sarà
socio? La soluzione è data dal comma 3, art. 2470 per cui se la quota è alienata a più persone si
preferisce quella che in buona fede abbia effettuato per prima l’iscrizione. Questo porta una
complicazione perché per prima cosa si parla di iscrizione, non di deposito, in pratica è il
conservatore che decide chi prevale, iscrivendolo per primo. Inoltre si pone il problema della buona
fede, ma ci si chiede se la buona fede si riferisca al momento della stipulazione del contratto, della
richiesta di deposito o dell’iscrizione?
Il legislatore ha mischiato la disciplina dei beni immobili e quella dei beni mobili. Tutto si
complicherebbe in caso di clausole di intrasferibilità, se viene ceduta la partecipazione e dall’altra
parte vi è un divieto di ricevere. Questo provoca anche l’instabilità delle decisioni che vengono
assunte.
Espropriazione della partecipazione. Il codice se ne occupa all’art. 2471. Anche nella procedura
esecutiva è fondamentale la pubblicazione al registro delle imprese. La procedura ha rilevanza
anche per i terzi, che si ha con l’iscrizione del registro delle imprese. L’ordinanza del giudice che
dispone la vendita della partecipazione va notificata alla società (che viene a conoscenza delle fasi
della procedura, pur non essendone parte). 22/10/2015
OPERAZIONI SULLE PROPRIE PARTECIPAZIONI
La S.r.l. non può né comprare azioni né sottoscriverle (art. 2474). L’art. 2474 dice che sono vietate
tutte le operazioni sulle proprie quote, senza eccezioni. Non può acquistarle, accettarle in
garanzia, dare prestiti o garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione. Nella pratica, tuttavia spesso
finisce per essere un’operazione mascherata da altri tipi di accordi. Molte volte si vuole ottenere
questo, altre volte invece le parti non vogliono arrivare al fine vietato. X es. un’operazione che si fa
soprattutto ai fini fiscali è il leasing sulle proprie quote . Il leasing è un contratto in cui un soggetto
cede un bene in locazione a un altro soggetto che può entro un termine riscattare la proprietà del
bene. Il leasing può intercorrere anche tra società e socio e avere ad oggetto le quote della
società. Il socio proprietario della quota cede in leasing la quota alla società. La società paga un
canone periodico per il godimento della quota, finchè restiamo in questa fase il contratto va bene
perché la società non compra le quote, né finanzia l’acquisto. Il problema nasce se la società
riscatta le quote, perché quello è il momento in cui passa la proprietà della quota. Questa
operazione si tende a fare spesso per quanto riguarda le azioni.
Altro tipo di operazione potrebbe riguardare il caso in cui la società si accolla il pagamento dovuto
da un socio che ha acquistato ma non pagato le partecipazioni. Anche in questo caso in sostanza
è la società che si paga le partecipazioni, realizzando un finanziamento indiretto al socio per
l’acquisto delle partecipazioni.
Operazioni che invece è sicuramente ammesse sono le acquisizioni mediante indebitamento,
nate nel contesto americano. Vi è una struttura particolare per cui vi è una società piuttosto ricca
che diventa la società target, all’interno di questa società ci sono soci che vogliono escludere la
minoranza. Per farlo costituiscono un’altra società (B) in modo che questa società con capitale
minimo si vada a comprare la società ricca. Per questo in banca che finanzia la società B,
prendendo in pegno le quote della società obiettivo. La società B si compra le azioni della società
obiettivo, una volta comprate, la società target diventa della società B al 100% e fa una fusione
con la società obiettivo, realizzando la confusione di patrimoni. Questa operazione è lecita e
prevista dall’art. 2501 bis fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, purché il progetto di
fusione indichi le risorse finanziarie per soddisfare le obbligazioni della società risultante dalla
fusione. Va poi giustificata la finalità d’impresa per l’operazione.
Altra ipotesi in cui l’operazione sulle proprie quote è lecita si ha nell’ambito delle start-up, in cui è
possibile acquistare le proprie quote da parte della società solo laddove serva per l’attuazione di
piani di incentivazione, con l’assegnazione di quote a favore dei dipendenti (art. 26, d.lgs.
179/2012).
RECESSO
Il recesso nella S.r.l. ha delle regole autonome rispetto alla S.p.A., c’è infatti un apposito articolo,
l’art. 2473 come norma base. È una sintesi di tutti gli articoli per la S.p.A.
Il comma 1 dice che l’atto costitutivo determina quando il socio può recedere e le relative modalità,
quindi la prima fonte del recesso è l’atto costitutivo. Nel 2437 per le S.p.A. è ribaltata la situazione,
infatti si indicano le ipotesi legali di recesso. Nelle S.r.l. la prima regola è invece che l’autonomia
privata è la prima fonte a disciplinare le cause di recesso. Questo va collegato all’idea che il
recesso sia espressione della contrattualità tra i soci di S.r.l. che si evidenzia in altri aspetti della
disciplina. Per es. al comma 3 che riguarda la determinazione del valore di recesso, dice che la
determinazione del valore si determina prima di tutto sulla base di accordi tra i soci. Un’ulteriore
indice della contrattualità si trova anche al comma 4 che si riferisce al rimborso della
partecipazione. Il rimborso della partecipazione a favore del recedente può avvenire per effetto
dell’acquisto degli altri soci o di un terzo comunemente individuato. Questo socio che va
individuato d’intesa tra i soci è così indipendentemente dal fatto che vi siano o meno clausole di
limitazione alla circolazione della partecipazione. Se un socio esce e gli altri non sono in grado di
acquistare la partecipazione possono accettare che entri un terzo, che deve essere scelto
comunemente. In realtà pur essendo il diritto di recesso un diritto potestativo, trova molti momenti
contrattuali.
Limiti all’autonomia statutaria. Un primo limite dottrinale è che non sono previste forme di
recesso generico. Per es. non si può dire “ciascun socio può recedere per giusta causa”, perché
per la dottrina determinerebbe una situazione di incertezza.
La dottrina nega che sia ammissibile una clausola che consenta il recesso ad nutum
, ossia il diritto
di andarsene quando si vuole, se sono a tempo determinato, nemmeno se con preavviso (per la
società a tempo indeterminato è invece previsto per legge, con preavviso). Si rischia che la società
diventa ostaggio di un socio.
Altro limite è la inderogabilità delle ipotesi legali per cui l’autonomia statutaria non le può derogare.
Recesso parziale. Nelle S.p.A. la legge consente il recesso parziale, mentre nelle S.r.l. non si
prevede nulla. qualcuno ha detto che si può introdurre in via statutaria, altri invece (dottrina
maggioritaria) dicono di no, in base a due argomenti: per le S.p.A. è espressamente previsto,
mentre per le S.r.l. non si è previsto nulla; inoltre si parla della indivisibilità della quota. In realtà
anche questo argomento non ha tutte le caratteristiche logiche per stare in piedi perché una delle
caratteristiche della quota è la sua divisibilità. Tuttavia non si potrebbe avere che un socio esca
solo per un pezzo di quota, perché ne rimarrebbe un pezzo sospesa. Vi è poi l’argomento per cui
nelle S.p.A. si investe in una società di capitali in cui si valorizza l’investimento, più che le persone,
mentre nella S.r.l. si condivide un progetto di impresa.
Ipotesi legali di recesso. Sono per lo più previste all’art. 2473. In ogni caso (ipotesi legali non
derogabili) il recesso compete
• ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell'oggetto o del tipo di società: nelle
S.p.A. non qualsiasi mutamento dell’oggetto consente il recesso, ma solo se significativo
mutamento dell’attività della società (art. 2437, lett. a). Nelle S.r.l. la dottrina è abbastanza
spaccata ma tende a prevalere che non qualunque modifica dell’oggetto sociale determini
un diritto di recesso, ma che debba essere significativo (x es. mutamento di sede,
mutamento di attività).
• I soci che non hanno acconsentito alla fusione o scissione, che invece nella S.p.A. non
sono considerate ipotesi di recesso. Questo perché sono casi in cui si fanno entrare nuove
persone nella compagine. Questo dimostra sensibilità del legislatore a tenere la S.r.l. come
società chiusa.
• Alla revoca dello stato di liquidazione. Dal momento in cui si verifica una causa di
scioglimento si parte con la procedura di liquidazione per tradurre in liquido il patrimonio
della società, pagare i creditori e ripartire il residuo ai soci. Tuttavia può accadere che la
società transiti per la liquidazione ma il fine non sia di liquidare la società. X es. la società è
in perdita, con una perdita che incide sul minimo legale, se i soci non ricapitalizzano o si
scioglie o si trasforma. I soci possono non avere al momento i soldi per ricapitalizzare, ma
vogliono andare avanti con l’impresa. Possono far accertare la causa di scioglimento e la
società decide di entrare in liquidazione e appena vi sono soldi si delibera la rimessa della
società in ordinaria attività. In questo modo non si passa dalla liquidazione per arrivare a
liquidare la società, ma solo per non rischiare la responsabilità degli amministratori in sede
di eventuale fallimento. Può accadere che quando si decida di revocare lo stato di
liquidazione un socio voglia recedere.
• Trasferimento della sede all’estero , come per le S.p.A., perché con il trasferimento si
modifica la disciplina applicabile perché la sede individua la disciplina applicabile alla
società.
• Eliminazione di una o più cause di recesso previste dall'atto costitutivo , mentre nelle S.p.A.
anche per l’eliminazione di quelle previste dalla legge
• Nel caso in cui si abbia il compimento di operazioni che comportino sostanziale
modificazione dell’oggetto della società. Qui bisogna capire che tipo di operazioni. Per
alcuni queste sono le modificazioni di fatto dell’oggetto sociale , senza preventiva delibera
dell’assemblea. In realtà si parla delle modifiche indirette dell’oggetto sociale ossia delle
modifiche che pur non avendo come oggetto l’attività della società vengono ad incidere sul
tipo di attività che fa la società. Si pensi ad esempio al caso in cui gli amministratori
decidano di vendere integralmente l’azienda: l’oggetto rimane lo stesso, ma la società non
fa più nulla. Questo tipo di operazioni dovrebbe essere oggetto di una decisione da parte
dei soci. L’art. 2479, n.5, dice che in questo caso l’operazione deve transitare dai soci.
Partecipazioni in altre imprese. All’art. 2361 si dice che l’assunzione di partecipazioni in altre
imprese non è consentita se comporta una sostanziale modifica dell’oggetto sociale, mentre nelle
S.r.l. la sostanziale modifica comporta l’obbligo degli amministratori di far decidere i soci, che,
eventualmente possono recedere. L’art. 2361 si applica alle S.r.l.? è diverso l’approccio del
legislatore nelle due situazioni perché nelle S.p.A. il legislatore lo vieta e se lo vieta si dovrebbe
dire che si tratti di un limite al potere di agire degli amministratori. Incide sul potere rappresentativo
della società, è un limite legale al potere di rappresentanza della società. Nella S.r.l. non c’è
nessun limite al potere rappresentativo da parte degli amministratori. Vi è solo l’obbligo di
sottoporre a decisione dei soci con loro diritto di recesso.
Il diritto di recesso spetta nel caso di modifica dei diritti dei soci.
Nel caso di società a tempo indeterminato il diritto di recesso compete al socio in ogni momento
e può essere esercitato con un preavviso di almeno centottanta giorni; l'atto costitutivo può
prevedere un periodo di preavviso di durata maggiore purché non superiore ad un anno. Una
prima questione è quando si intende a tempo indeterminato. X es. se la società ha scadenza nel
2100 si può dire sia a tempo determinato? Da un punto di vista formale vi è una data di scadenza,
ma altri dicono che in questi casi siamo di fronte a una società sostanzialmente a tempo
indeterminato perché i soci nel 2100 saranno morti; questo perché nelle società di persone vi è
una regola in materia di recesso (art. 2285) che dice che il recesso ad nutum opera se la società è
a tempo indeterminato o stipulato per un tempo che supera la vita dei soci. Alcuni sostengono che
si tratti di un principio generale dell’ordinamento. Questa è la posizione che ha assunto la
Cassazione (Cass. 22 aprile 2013, n. 9662) in una sentenza del 2013. La sentenza è stata molto
criticata perché argomenta in modo particolare. 27/10/2015
Essendo il recesso atto recettizio, nella sentenza il socio chiede al tribunale l’accertamento del
recesso. La Cassazione sostiene che, essendo il termine molto lungo, era equiparabile alla società
a tempo indeterminato. Ci si chiede se questo possa valere anche per la S.p.A.
Il socio dichiara il suo recesso e chiede al giudice di dichiarare l’avvenuto recesso. Quando si
impugna una sentenza si deve essere tra i soggetti legittimati, tra i legittimati per far valere
l’annullabilità vi sono soggetti che hanno una relazione con la società. Se si recede si perde la
qualità di socio, quindi non si può impugnare la delibera (diverso sarebbe il discorso in caso di
nullità). Dalla lettura della sentenza sembra che i giudici e la Cassazione abbiano deciso il risultato
e poi cercato la motivazione. Questo perché guardando le parole usate dalla Cassazione si parla a
un certo punto di un intento elusivo degli altri soci: essi erano d’accordo di mettere un termine
lontano del 2100, per non dover rinnovare alla scadenza, e tacitamente vi è l’accordo della
possibilità di recesso (perché sostanzialmente è come fosse a tempo indeterminato). La
cassazione individua un possibile abuso del diritto perché quando un socio vuol far valere quel
diritto gli altri ribattono rifacendosi all’accordo formale (cioè che sia una società a tempo
determinato). La Cassazione si rifà invece alla sostanza, dicendo che i soci possono recedere ad
nutum in questi casi . La società è quindi formalmente a tempo determinato, ma sostanzialmente a
tempo indeterminato, quindi va ammesso il diritto di recesso del socio. La Cassazione deve però
superare un eventuale ostacolo, perché i soci passano dal 2100 al 2050 che sarebbe un tempo
determinato. La Cassazione trova conferma alla sua idea che gli altri soci vogliano fregare il socio
che vuole recedere. La riduzione del termine conferma l’intento di precludere il recesso al socio
che vuole recedere. La Cassazione vuole consentire al socio di uscire. L’art. 2473 prevede che vi
sia recesso nel caso di eliminazione di un’ipotesi statutaria di recesso. Introducendo il termine di
durata si rende inapplicabile l’ipotesi statutaria di recesso legata al tempo indeterminato. La
Cassazione deve superare un ulteriore ostacolo: equiparare le cause legali di recesso a quelle
statutarie. Per superare questo empasse la Cassazione dice che l’argomento che si tratti di ipotesi
legale e non statutaria è inconsistente. Tuttavia vi sono contraddizioni perché per le S.p.A. è
previsto il recesso sia nel caso di eliminazione di cause legali, sia statutarie, mentre per le S.r.l.
solo nel caso di recesso statutario. Tuttavia per la Cassazione non vi è differenza. Si tratta di
un’ipotesi di analogia con la disciplina delle S.p.A. e pensandoci vi sono i presupposti: vi è una
lacuna e la Cassazione individua la stessa ratio . Tuttavia la Cassazione non nomina l’analogia
perché dice: che comunque l’art. 2285 ha una valenza generale e in secondo luogo dice che la
società opera in funzione del progetto di impresa che si intende realizzare e questo significa che la
società ha valenza strumentale rispetto all’attività e che l’impresa è un’attività programmata dai
soci, quindi un insieme di atti preordinato a un certo risultato, quindi argomenta sul versante
dell’equiparazione tra tempo indeterminato e altri modelli legali, per le società di persone e sul tipo
di attività che si può fare.
La Cassazione non usa il termine “abuso del diritto”, ma spesso è su questo che si basano le
decisioni.
Questo pone il problema di quando il socio recedente cessa di essere socio. Vi sono varie fasi di
un procedimento di recesso:
- comunicazione di recesso del socio alla società,
- periodo di tempo in cui la società può revocare la delibera che ha dato la possibilità di
recesso,
- vera e propria liquidazione della quota. La tesi che attualmente sembra più diffusa è quella
che vede il socio cessare di essere tale solo nel momento in cui gli viene liquidata la quota.
La comunicazione del recesso impone solo di attivare la procedura che porterà alla liquidazione,
ma il socio non cessa di essere tale in quel momento. Questo in concreto comporta che, per
esempio il socio va convocato per tutte le assemblee finchè non si liquida la quota del socio.
Per quanto riguarda il recesso è da tener conto che l’applicazione delle regole sulla S.r.l. non
esclude l’applicazione delle regole sull’attività di direzione e coordinamento che prevede ulteriori
casi di recesso. L’art. 2497 quater enuncia altre 3 cause di recesso che sia applicano a tutte le
società (inizio o cessazione di d&c o condanna della capogruppo), comprese le S.r.l.
Un'altra causa di recesso è l’introduzione di limiti alla trasferibilità della partecipazione (se viene
prevista l’intrasferibilità assoluta).
Altra ipotesi di recesso è quella del recesso in caso di aumento del capitale sociale perché nel
caso di aumento del capitale a pagamento può essere previsto nell’atto costitutivo il diritto di
recesso. In sostanza si tratta di un’ulteriore ipotesi statutaria che è diretta essenzialmente a far sì
che vengano tutelati i soci attuali. In caso di aumento del capitale sociale si può prevedere che non
sia ammessa la sottoscrizione a favore di soggetti terzi, prevedendo che, in tal caso, chi non è
d’accordo possa esercitare il diritto di recesso (art. 2481 bis).
Un’ulteriore ipotesi di recesso per le società di capitali si trova all’art. 34, d.lgs. 5/2003 (c.d. vecchio
processo societario) che dice che l’introduzione o soppressione di clausole arbitrali, giustifica il
diritto di recesso.
ESCLUSIONE
L’esclusione si trova solo nella S.r.l. all’art. 2473 bis che statuisce che l’atto costitutivo può
prevedere espresse cause di esclusione. L’esclusione non è regolata, tuttavia vi sono ipotesi di
esclusione.
Uno è il caso della mora del socio: il socio che si obbliga a effettuare un conferimento e non lo
effettua, obbliga gli amministratori ad attivare un certo procedimento per l’incasso del dovuto
oppure la riduzione del capitale sociale se gli altri non vogliono sottoscrivere l’aumento.
Un’altra ipotesi di esclusione è quella della riduzione a zero del capitale sociale e contestuale
aumento del capitale sociale. Un ipotesi particolare è l’azzeramento del capitale sociale per
perdite, gli amministratori dovrebbero convocare l’assemblea, prendere atto della riduzione e
aumentare subito il capitale per una quota non inferiore al minimo. Se il socio non sottoscrive la
sua quota rimane pari a zero ed è automaticamente escluso dalla società.
Oltre a queste ipotesi, l’art. 2473 bis prevede, solo per le S.r.l. la possibilità di introdurre cause di
esclusione. Esse devono però essere appunto previste dall’atto costitutivo, inoltre, la legge dice
che l’atto costitutivo può prevedere specifiche ipotesi di esclusione e deve trattarsi di giusta causa.
Per es. “specifiche” significa che l’atto costitutivo deve declinare alcune ipotesi da considerarsi
giusta causa di esclusione. Per es. potrebbe essere considerata giusta causa l’ipotesi del socio
che fa concorrenza alla società. Se il socio si limita a fare concorrenza sleale, se non è prevista la
clausola, cosa si può fare? Si deve attivare l’art. 2598 che indica le ipotesi di concorrenza sleale
che porta a una tutela di tipo risarcitorio, ma il socio continua a rimanere tale.
Giusta causa si ritiene essere un’ipotesi molto più ampia rispetto al grave inadempimento.
Un’ipotesi che non c’entra con il grave inadempimento potrebbe essere il fallimento personale del
socio. Un’ipotesi di questo tipo potrebbe essere prevista perché se il socio fallisce, tutto il suo
patrimonio sarà messo a disposizione dei creditori per quel fallimento, nel patrimonio vi è anche la
quota di partecipazione in S.r.l. il curatore può agire esecutivamente sulla quota e si ricade nella
espropriazione della partecipazione.
Il legislatore non dice che tipo di procedimento si attiva per l’esclusione. Nulla esclude che l’atto
costitutivo attribuisca ai soci la decisione di escludere i soci (anche nelle società di persone sono i
soci a decidere l’esclusione). La decisione di esclusione può essere rimessa ai soci, oppure agli
amministratori, ma tutto è lasciato all’atto costitutivo. È lì che si individueranno le possibili forme di
tutela. Se l’esclusione fosse rimessa ai soci si potrebbe anche pensare all’impugnazione della
delibera, che sarebbe stata assunta in violazione della legge o dello statuto perché ha deciso
l’esclusione senza i presupposti per poterla dichiarare.
Il socio escluso ha diritto a una somma di denaro, in particolare si applicano le disposizioni del
recesso, esclusa la possibilità di rimborso mediante riduzione del capitale sociale.
Nel caso del recesso vi è un procedimento di liquidazione della quota, che prevede la possibilità di
acquisto in proporzione alle quote possedute, la possibilità di acquisto dei terzi o il rimborso
andando ad intaccare i valori patrimoniali della società (prima con riserve o utili disponibili, poi
riducendo il capitale sociale).
Per l’esclusione vi è un ragionamento diverso. Il legislatore dice che è escluso il rimborso della
partecipazione con riduzione del capitale sociale. Nel caso in cui non vi siano utili o riserve per
liquidare il socio non si può ridurre il capitale per trovare valori utili alla liquidazione. Il recesso è il
diritto del socio ad uscire, il socio fa valere un’idea di libertà; per l’esclusione la prospettiva è
diversa: i soci che vogliono escludere un altro socio, devono avere le risorse per pagarlo, senza
pregiudicare il capitale sociale. Mentre per il recesso vi è un diritto assoluto del socio, a costo di
mandare in liquidazione la società; nel caso dell’esclusione non si può arrivare a questo punto:
prevale l’interesse della società a vivere.
Per quanto riguarda la valutazione della quota, si seguono le regole previste per il recesso, per cui
la quota andrà valutata al valore di mercato, in cui si comprenderà anche l’avviamento della
società. L’avviamento della società che è scritto in bilancio è quello comprato, che può essere
scritto come un ammortamento, mentre l’avviamento al momento dell’esclusione va calcolato in
quel momento, non si trova scritto in bilancio.
È possibile prevedere anche in materia di esclusione degli specifici criteri di determinazione della
quota, che non necessariamente devono essere quelli previsti per il recesso. In caso di esclusione,
per la società è sempre possibile chiedere il risarcimento del danno. 29/10/2015
DECISIONI DEI SOCI
L’art. 2479 e ss. fa riferimento alle decisioni dei soci mentre nelle S.p.A. si parla delle delibere
dell’assemblea.
Nelle S.r.l. il metodo assembleare non è l’unico modo con cui i soci prendono decisioni. Ci sono
decisioni che i soci possono prendere senza il metodo assembleare.
L’art. 2479 è fatto in un modo particolare perché il suo contenuto si ispira a due criteri diversi. Il
primo criterio si basa sulla divisione di competenza tra gli amministratori e i soci.
Il secondo criterio opera all’interno della competenza dei soci e dice quali tra le decisioni vanno
decise con il metodo assembleare.
Nelle S.p.A., invece, ex art. 2380 bis gli amministratori compiono tutti gli atti necessari per il
conseguimento dell’oggetto sociale. Tutto ciò che riguarda l’aspetto gestorio è riservato agli
amministratori ed i soci intervengono solo sulle materie indicate di competenza dell’assemblea.
Nelle S.r.l. non vi è questa regola, quindi bisogna capire chi può fare cosa.
L’art. 2479, comma 1 ci fa capire che i soci potrebbero decidere potenzialmente su tutto non vi è
distinzione tra gestione o non gestione. In sostanza i soci possono decidere su ogni questione, e
quindi astrattamente potrebbe anche non esserci un organo amministrativo. Il Legislatore nell’art.
2475 ha indicato al comma 5 che la redazione del progetto di bilancio e altre sono in ogni caso di
competenza dell’organo amministrativo, che deve esserci e deve essere distinto dai soci. Il
pericolo è a questo punto il contrario, ossia che possa esservi solo l’organo amministrativo.
Tuttavia il comma 2 dice le competenze esclusive dei soci.
Quindi il legislatore dice in sostanza che deve esservi sia un organo amministrativo e una forma
con cui i soci possono esprimere la loro volontà. Tutto il resto si può spostare tra amministratori e
soci.
All’art. 2476, comma 2, si evidenzia la responsabilità non solo degli amministratori, ma anche dei
soci (diversamente dalla S.p.A.), che possono avere responsabilità da gestione. Nelle S.r.l. si può
avere non solo l’amministratore di fatto, ma anche una responsabilità dei soci, legata alla singola
decisione di gestione. Diversamente dalla S.p.A. in cui vige il principio della irresponsabilità dei
soci.
Competenze esclusive dei soci. Il comma 2, art. 2479, dice che sono imperativamente riservate
ai soci l’approvazione del bilancio (mentre il progetto di bilancio va fatto tassativamente dagli
amministratori) e la distribuzione degli utili. In più, se previsto dall’atto costitutivo, la nomina degli
amministratori (competenza eventuale perché potrebbero esservi amministratori nominati a vita,
oppure esservi un diritto particolare di un socio).
L’organo di controllo è necessario solo in alcuni casi, solo se si superano determinate soglie o si
abbia una determinata struttura organizzativa.
Il numero 4 parla delle modificazioni formali dell’atto costitutivo, ossia le decisioni che hanno ad
oggetto la modifica dell’atto costitutivo.
Il numero 5 ci dice che sono di competenza esclusiva dei soci le operazioni che non hanno ad
oggetto la modifica dell’atto costitutivo, ma sostanzialmente determinano una modifica dell’atto
costitutivo, modificazioni gestorie che incidono sull’atto costitutivo. Per es. se si decide di vendere
completamente l’azienda, la società non è più operativa, non può più perseguire l’oggetto sociale,
che indirettamente risulta modificato. Questo determina anche che i soci hanno il diritto di recesso.
Il legislatore ci dice poi le decisioni necessariamente in forma assembleare, quelle indicate ai nn. 4
e 5, nonché il caso previsto dall’art. 2482 bis oppure quando lo richiedono uno o più amministratori
o almeno un numero di soci che rappresenti almeno 1/3 del capitale sociale.
L’ipotesi dell’art. 2482 bis è la riduzione del capitale sociale per perdite.
Il comma 3, art. 2479 parla delle modalità alternative all’assemblea: consultazione scritta e
consenso dato per iscritto. La consultazione scritta è il c.d. metodo referendario per cui un
qualsiasi socio o amministratore scrive una proposta immodificabile e gli altri soci esprimono sì o
no
Nel consenso dato per iscritto non c’è una proposta fissa, anziché parlare, si scrive.
L’assemblea resta la regola generale che può essere derogata se lo statuto prevede le modalità
diverse di decisione e non per tutte le decisioni dei soci. La disciplina dell’assemblea è prevista
dall’art. 2479 bis
. Al comma 1 per la convocazione introduce la regola che sia lo statuto a
prevederla. È lo statuto che decide come si opera la convocazione dell’assemblea. Se lo statuto
non prevede nulla, la convocazione è fatta tramite lettera raccomandata. Non si dice da chi sia
spedita, inoltre è strano anche il fatto che sia spedita.
Nella S.p.A. la convocazione spetta sempre e solo agli amministratori, salvo casi particolari (i soci
possono chiedere la convocazione, ma non convocarla essi stessi). Nelle S.r.l. non vi è questa
distinzione precisa, quindi sicuramente possono convocare direttamente l’assemblea, gli
amministratori oppure 1/3 del capitale sociale, sulla base di quanto previsto dal comma 4, art.
2479.
Se viene spedita entro 8 giorni prima, che succede se non arriva in tempo? Nelle S.p.A. si dice che
deve essere giunta entro 8 giorni prima. Nelle S.r.l. se anche non fosse giunta è stato comunque
convocato regolarmente. Negli atti costitutivi si introduce spesso la convocazione tramite PEC.
Oltre alla convocazione c’è poi il diritto di intervento che è previsto dal comma 4. Non vi è
differenza dalla S.p.A. Il socio moroso per la legge non ha diritto di intervenire, perché in base
all’art. 2466 non c’è diritto di intervento del socio in assemblea, esattamente come per le S.p.A.
Altra cosa è la rappresentanza in assemblea, perché il comma 2, art. 2479 dice che se l’atto
costitutivo non dispone diversamente il socio può farsi rappresentare in assemblea. Il socio non
pone limiti al potere rappresentativo. È sempre utile precisare nell’atto costitutivo i limiti di questo
potere. Normalmente si prevedrà che la delega possa essere attribuita soltanto a un altro socio.
Per quanto riguarda il diritto di voto abbiamo già anticipato la regola del principio di
proporzionalità (di cui abbiamo già parlato in due sensi: tra la quota di partecipazione e i diritti del
socio e tra conferimenti e capitale, il socio può avere diritti particolari che non gli spetterebbero in
base alla quota di capitale sottoscritto), tra la quota di capitale sottoscritto e i diritti che egli
esercita.
La dottrina maggioritaria ritiene che ciò non sia possibile e che le uniche deroghe al principio di
proporzionalità sarebbero quelle che il legislatore ammette con riferimento ai diritti particolari del
socio. Da questo punto di vista sarebbe illegittima una clausola statutaria che attribuisse il voto per
teste.
Per quanto riguarda le maggioranze, non vi è una prima e una seconda convocazione.
Il comma 3 dice che il quorum costitutivo è almeno la metà del capitale sociale. E il quorum
deliberativo è la maggioranza assoluta, salvo nei casi previsti dai numeri 4 e 5. In questi ultimi casi
servono i voti favorevoli di tanti soci che rappresentino la metà del capitale sociale. La
giurisprudenza ha detto che si deve comunque far riferimento a una maggioranza, è una regola
base degli organi collegiali.
Se non si raggiunge il quorum costitutivo, più volte, si ha impossibilità di funzionamento
dell’assemblea, una delle cause di scioglimento. La giurisprudenza, tuttavia dice che debba essere
un’impossibilità strutturale.
Non vi è nemmeno distinzione tra assemblea ordinaria e straordinaria.
Assemblea totalitaria. Il comma 5, art. 2479 bis dice che la deliberazione si intende adottata se è
presente tutto il capitale sociale e tutti gli amministratori sono informati; se nessuno si oppone alla
trattazione dell’argomento, chiedendo il rinvio.
Nelle S.p.A. deve partecipare anche la maggioranza degli organi di amministrazione e controllo,
mentre nelle S.r.l. tutti gli amministratori devono essere “informati”, non necessariamente presenti.
Invalidità della delibera (art. 2479 ter). Non si parla di annullabilità o nullità, si parla
semplicemente di invalidità. Si ha l’impressione che si tratti di annullabilità (stessa forma del 2377,
c.2).
Possono essere impugnate dai soci che non vi hanno consentito, non vi è una soglia. Si dice che il
Tribunale può assegnare un termine non superiore a 180 per assumere una nuova decisione
idonea ad eliminare la causa di invalidità.
Al c.2 è indicata una particolare ipotesi di annullabilità: socio in conflitto di interesse .
Al comma 3 si parla di un’ipotesi di nullità (anche se non la definisce), per le decisioni con oggetto
nullo o impossibile oppure quelle assunte in assenza assoluta di informazioni (si ritiene che sia in
assenza di convocazione). L’impugnazione è entro 3 anni e senza limiti per le modifiche
dell’oggetto sociale che lo rendono illecito o impossibile. 03/11/2015
CONTROLLI
Per quanto riguarda i controlli nelle S.r.l. ci sono due disposizioni: artt. 2476 e 2477. Nelle S.r.l. si
mettono insieme i diritti di controllo da parte del socio nelle società di persone e un organo di
controllo come nelle S.p.A. Nelle S.r.l. c’è sia diritto di controllo del socio non amministratore, sia
un organo di controllo che può essere composto da un soggetto o da un organo collegiale. Vi è il
controllo sia come diritto di controllo, sia come funzione di controllo. Sono due aspetti molto
diversi: uno è un diritto soggettivo che spetta al socio, l’altro si articola come una funzione, ossia
c’è un apposito soggetto, individuale o collegiale, che svolge un ufficio e ha delle competenze e dei
poteri.
Per quanto riguarda il controllo come diritto è indicato all’art. 2476, comma 2, che descrive il diritto
dei soci non amministratori. Questa regola richiama l’art. 2261 in materia di società semplice.
Abbiamo nella S.r.l. il diritto di controllo del socio non amministratore modellato sul diritto di
controllo del socio non amministratore nella società semplice. Si pongono una serie di problemi
nella S.r.l. perché è una società di capitali e questo diritto di controllo del socio si pone in stretta
correlazione con il diritto che il socio ha di far valere la responsabilità degli amministratori. Non a
caso il comma 3 art. 2476 dice che l’azione di responsabilità è esercitata da ciascun socio. Il socio
acquisisce informazioni, valuta e promuove l’azione di responsabilità. Quindi il diritto di controllo è
volto a ottenere le informazioni necessarie per agire in responsabilità nei confronti degli
amministratori. Non vi è la denuncia di gravi irregolarità di cui all’art. 2409, ma c’è la possibilità di
chiedere la revoca cautelare dell’amministratore in presenza di gravi irregolarità. I procedimenti
cautelari sono i procedimenti che si fondano sul fumus boni iuris e il periculum in mora. Il fumus
boni iuris vuol dire che c’è il fondato diritto, il periculum è legato al fatto che se la situazione non si
fa cessare immediatamente può provocare dei danni. Quando ci sono questi elementi che
giustificano un rimedio rapido, vengono concessi questi tipi di rimedi. In questo caso abbiamo il
socio che a seguito delle verifiche effettuate ricava una serie di elementi da cui si può capire che
l’amministratore ha commesso delle irregolarità che potrebbero determinare danni alla società. In
quel caso chiede la revoca cautelare (oltre all’azione di responsabilità che porta al risarcimento del
danno).
Il controllo da parte del socio è un diritto che hanno verso gli amministratori (non verso la società).
Ciò significa che non può essere fatto valere nei confronti dei terzi (x es. il socio non può rivolgere
la domanda ad esempio alla banca informazioni sul conto intestato alla società).
I soci hanno diritto ad avere notizie sullo svolgimento dell’attività e di consultare i libri sociali. Ci si
è chiesti se si possa avere copia, oltre a consultare. Ciò significa vedere anche le condizioni che
vengono praticate ai vari clienti e sapere la strategia di mercato della società. La giurisprudenza è
molto divisa, anche se quella maggioritaria sembra consentire la copia, ciò significa che le tutele
viaggiano su binari diversi: se la società dovesse poi avere un danno dalle informazioni che il socio
ha estratto dalla consultazione può chiedere il risarcimento del danno al socio ex art. 2043 .
È un diritto del socio, per cui ci possiamo chiedere se sia comprimibile: potrebbero i soci nell’atto
costitutivo rinunciare a questo diritto? La dottrina è per la tesi negativa per cui non sarebbe un
diritto rinunciabile perché si tratta di un diritto del socio che qualifica anche il modello sociale S.r.l.
Sarebbe un aspetto che attiene al modello sociale di equilibrio di poteri e diritti nelle S.r.l. Si
tratterebbe di una norma imperativa.
Il socio non amministratore quando esercita questo diritto di controllo esercita un controllo molto
invasivo. Da un punto di vista operativo determina che il socio vada nello studio del commercialista
e gli imponga di esporre tutta l’attività della società. Di fatto blocca l’attività, potrebbe essere
esercitato per disturbare.
Se il socio utilizza abusivamente questo diritto di controllo si configura un vero e proprio abuso del
diritto, perché il suo diritto non sarebbe più funzionale alla conoscenza dei fatti dell’impresa, ma
solo per creare fastidi.
Funzione di controllo (art. 2477). Prima della riforma era previsto il collegio sindacale solo se si
superavano determinate soglie. Una delle soglie era che il capitale sociale delle S.r.l. superava i
120.000 €. Negli anni 2007-2008 si è cercato di trovare soluzioni per ridurre l’onere del controllo. Si
era parlato di abolire l’organo di controllo nelle S.r.l. Si è deciso di non abolirlo, ma di renderlo
obbligatorio solo in determinati casi e in ogni caso che questo possa anche non essere un collegio
(per es. essere una sola persona).
È l’atto costitutivo eventualmente a prevedere l’organo di controllo e a determinarne competenze e
poteri, compresa la revisione legale dei conti (che quindi non per forza deve fare la revisione legale
dei conti; potrebbe occuparsi solo del c.d. controllo di legalità). Si tratta di poteri che possono
anche essere gli stessi riservati al socio. Il diritto di controllo del socio potrebbe anche sovrapporsi
alla funzione di controllo, oppure si potrebbe prevedere che questo soggetto curi esclusivamente la
revisione legale dei conti (verifica periodica della contabilità durante l’esercizio, corretta
trasposizione dei dati nel bilancio di esercizio, relazione in occasione del progetto di bilancio). In
ogni caso è obbligatoria la nomina dell’organo di controllo quando la società è tenuta alla
redazione del bilancio consolidato; quando controlla una società obbligata alla revisione legale dei
conti o se per due esercizi consecutivi ha superato due dei limiti indicati all’art. 2435 bis.
Quindi quando abbiamo una capogruppo, quindi esercita attività di direzione e coordinamento;
quando controlla un’altra società. L’art. 2435 bis è quello che consente il bilancio in forma
abbreviata. Ulteriore aspetto è l’obbligo di nomina del revisore cessa se per due esercizi successivi
non supera i limiti.
La denuncia di cui all’art. 2409 non è prevista nelle S.r.l., ma si dice che si applicano le regole sul
collegio sindacale, quindi per qualcuno se è nominato l’organo di controllo, il soggetto nominato
può attivare l’art. 2409. Si è detto che l’art. 2409 è un procedimento che ha senso nella S.p.A.
mentre nella S.r.l. il legislatore non ha voluto inserirlo perché ha attribuito al singolo socio di
chiedere la revoca cautelare dell’amministratore in presenza di gravi irregolarità. Quindi nemmeno
in presenza di un collegio sindacale si applica l’art. 2409. Il comma 6 dice che l’assemblea che
approva il bilancio deve provvedere alla nomina dell’organo di controllo. Se l’assemblea non
provvede, ciascun socio (addirittura ciascun interessato) può chiedere al tribunale la nomina. Gli
interessati sono sicuramente i soci, può essere un soggetto interessato anche un terzo, per es. la
banca finanziatrice (è l’unico caso in cui il Tribunale nomina un organo sociale, nelle S.p.A. ciò non
è previsto). 05/11/2015
Società Cooperative
Le cooperative sono diverse per ragioni di tipo storico e per come si strutturano. Dal punto di vista
storico perché le cooperative nascono su un principio di solidarietà, cioè sulla base di mettersi
insieme per venire incontro alle proprie esigenze. La tesi più accreditata vede nascere le
cooperative tra i minatori inglesi dell’inizio della rivoluzione industriale che si rendono conto che il
lavoro è particolarmente pericoloso. Se uno muore la sua famiglia rimane senza nulla e quindi
decidono di devolvere una piccola parte del salario per costituire un fondo: nascono così le casse
mutue per cui tutti si privano di qualcosa in vista del fatto che potrebbe succedere qualcos’altro. In
realtà ciò che caratterizza le cooperative moderne è l’idea della mutualità. La mutulità oggi è molto
più diffusa di quanto si pensi, alcuni economisti sostengono che abbia caratterizzato la terza
rivoluzione industriale perché la tecnologia permette di realizzare realtà basate sulla mutualità. Per
es. vi sono piattaforme per mettere a disposizione la propria stanza. Primo presupposto è la
disponibilità di venire incontro alle esigenze di altri soggetti con ritorno economico, normalmente il
pagamento è molto minore di quello che si pagherebbe per avere lo stesso servizio sul mercato.
Mettendo insieme la piattaforma digitale e chi materialmente offre il servizio vi sono due attività di
para-impresa. Chi fa la piattaforma è un’impresa commerciale, perché svolge l’attività di mettere in
contatto soggetti con interessi omogenei ma reciproci, ma non offre materialmente il servizio. Chi
offre il servizio è di solito una persona normale, non un’impresa. Sono forme di impresa che hanno
alla base l’idea della mutualità.
Le cooperative che sono da noi le imprese mutualistiche per eccellenza hanno avuto una storia
molto travagliata e continuano ad essere trattate in modo particolare perché vengono ricondotte a
una certa ideologia politica, ma comunque hanno intrinseca valenza giuridica che prescinde da
ogni valutazione politica. La nostra Costituzione si occupa specificamente dello scopo mutualistico:
all’art. 45 si dice che la repubblica riconosce e garantisce la funzione sociale della cooperazione.
Non abbiamo una stessa regola per l’impresa lucrativa. La legislazione in materia di cooperazione
è vastissima. Noi ci occuperemo quasi solo della disciplina codicistica, non di quella speciale. In
realtà troviamo varie regole in base all’attività svolta. Per es. regole per le cooperative agricole, per
le cooperative edilizie, ecc. Questo si trova testualmente affermato all’art. 2520 c.c. per cui le
regole indicate nel codice valgono per tutte le cooperative anche se hanno una disciplina speciale.
L’art. 2511 dice che le cooperative sono società a capitale variabile con scopo mutualistico.
Tutte le altre società di capitali hanno il primo articolo che si chiama nozione e quell’articolo dice
semplicemente la regola sulla responsabilità, mentre nella cooperativa non si parte con quella
regola, si mette in primo piano lo scopo mutualistico e il capitale variabile, quindi la responsabilità
non caratterizza nemmeno la definizione delle cooperative perché fino al 2003 le cooperative
potevano anche essere a responsabilità illimitata, mente dal 2003 sono sempre e tutte a
responsabilità limitata (art. 2518). Non può essere costituita da un solo socio, richiede un numero
minimo di soci, può avere forma di S.p.A. o S.r.l., ma sempre a responsabilità limitata.
La cooperativa si caratterizza per essere una società con scopo mutualistico, ma cosa significhi
non è definito da nessuna parte. L’art. 2545 dice che gli amministratori e i sindaci devono indicare i
criteri per il perseguimento dello scopo mutualistico. L’unica definizione di mutualità compare nella
relazione al codice civile (che non è un testo legislativo) che dice che consiste nel fornire beni,
servizi o occasioni di lavoro a membri dell’organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle
che otterrebbero sul mercato. La legge non la definisce, perché il Legislatore ha preferito non
ingessare il concetto di mutualità, lasciandola libera di esprimersi in relazione a quello che è il
concetto di base sottostante della solidarietà, che varia nel tempo.
Non è da considerare mutualità il perseguimento del fine di lucro tipico delle società di capitali. Il
fine di lucro è una forma di remunerazione del capitale investito, quindi l’utile viene attribuito ai
singoli soci in proporzione alla quota di capitale sottoscritta perché è il compenso che il socio trae
dal fatto che ha messo a disposizione della società una somma, accettando il rischio d’impresa.
Nelle cooperative la parte di capitale sottoscritta non conta nulla ai fini della divisione dell’utile,
nemmeno ai fini dell’assunzione delle decisioni nella società infatti il voto è capitario. Il capitale è
residuale anche ai fii dell’attribuzione dei diritti. Nella cooperativa possono esserci anche utili
perché la cooperativa oltre all’attività tra i soci può svolgere anche un’attività sul mercato. Da ciò
scaturisce un ricavo, che non viene ripartito tecnicamente come un utile, ma viene ripartito in base
alla quantità e qualità degli scambi mutualistici. La mutualità consiste nel trovare nell’ambito della
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