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Sviluppo della storiografia nei secoli V a.C.

Tucidide si rivolge a quel genere di fonti: fonti che raccontano a lui delle cose e che sono fonti oratorie, quindi orali, da lui ascoltate o trasmesse da altri.

In Tucidide, da una parte c'è il lavoro sulle fonti e, dall'altra, vi è una grande attenzione per la verità dei fatti, ossia la veridicità, che è fondata proprio sulla pratica e sulla "acribìa", cioè sulla precisione. Questa attenzione filologica e critica, ossia attenta al dato trasmesso dalla fonte che si intende utilizzare, è finalizzata a verificare la veridicità dei fatti, che si fonda prevalentemente sulla coerenza logica, ossia ciò che la fonte racconta può starci o meno in un determinato discorso; andando a verificare se gli elementi tengono o meno sul piano logico.

Ovviamente, la natura della storia che vuole trattare Tucidide è ancora...

Una storia dall'alto, ossia la storia dei grandi eventi, narra di fatti e personaggi rilevanti, coloro che hanno lasciato una traccia. Narrare la storia con uno sguardo dall'alto significa trattare la storia che racconta i fatti dei protagonisti, quindi è fortemente intenzionale come racconto. Di questo Tucidide ne è consapevole e infatti utilizza il confronto, che è un'altra pratica del metodo storico: usare solo una fonte è pericoloso perché può essere "macchiata" da notizie false; per cui, la veridicità di una fonte, la si verifica se si compara questa fonte con notizie che affiorano da altri fonti vicine. In Tucidide, vi è una rigorosità scientifica, accompagnata da un'indagine delle cause dei fatti, ricondotte in un ambito puramente umano. Infatti, un elemento molto importante in Tucidide - e anche in Erodoto - è il ricondurre tutto ciò che viene.

narrato ad un piano di storie e forze umane, in questo modo l'elemento trascendente e divino viene totalmente annullato, cioè il Fato non viene considerato come elemento che guida le azioni dell'uomo. Quindi, i moventi che spingono gli esseri umani a compiere determinate azioni sono moventi/spinte umani, anzi "molto umani", come sottolinea Tucidide, riferendosi ad esempio alla brama di potere, alla realizzazione della legge del più forte (quindi la violenza), alla ricerca dell'utile e così via. In Tucidide, perciò, c'è una grande attenzione al mondo psicologico, c'è proprio un'introspezione psicologica che riguarda sia la psicologia individuale, sia la psicologia collettiva: si lascia proprio trasportare dalla descrizione di spinte derivate da mondi psicologici di alcuni personaggi importanti e cerca anche di definire alcune inclinazioni collettive, cioè popoli che condividono un certo tipo di.sistema di pulsioni e valori, che spiega le loro azioni. Percui, vi è un approccio estremamente moderno in Tucidide, in quanto il metodo storico inizia a definirsi e in lui è molto netta la dimensione umana, perché narra di eventi passati in cui si è mosso l’uomo e le motivazioni di quelle azioni umane derivano dall’uomo stesso, non ci sono entrate in campo di altri elementi. Ma la cosa interessante da sottolineare, che ci fa capire come la storia dell’uomo non è sempre un progresso che va verso l’evoluzione, è il fatto che questa netta divisione tra piano umano e piano trascendente, che in Tucidide è molto evidente, dopo qualche secolo tornerà di nuovo ad impastarsi: nella storiografia del Cristianesimo, l’ingresso della divinità è costante, addirittura la visione stessa della storia è fortemente condizionata dal fatto di appartenere ad una civiltà cristiana. Tucidide, come

Abbiamo già detto, si colloca nel periodo che va dal IV secolo a.C. al I secolo a.C., cioè durante l'Età Ellenistica, che è un'età caratterizzata da un grande vigore filologico (filologia = disciplina che, attraverso una serie di approcci, si occupa di ricostruire la dimensione originaria dei testi), cioè da una pratica di ricostruzione dei testi nella loro versione primordiale. La filologia nasce proprio in questo periodo e arriva già a dei livelli di altissima pratica: il filologo Aristarco di Samotracia porta proprio la disciplina filologica a livelli di alta scientificità e pratica la sua filologia, principalmente, sui due poemi omerici, Iliade ed Odissea, e infatti è con lui che si apre la "questione omerica", ossia capire se Omero è stato veramente l'autore di questi due grandi poemi oppure se non è mai esistito (Aristarco, ad esempio, riscontra delle differenze linguistiche nei due poemi).

Inoltre, Aristarco è uno dei bibliotecari della grande Biblioteca di Alessandria d'Egitto (sarà distrutta nell'incendio del I secolo d.C. e purtroppo grande parte del suo prezioso materiale andrà perso) e citiamo le biblioteche proprio perché, nell'età ellenistica, si sviluppa una cultura fortemente attenta alla conservazione dei saperi, e infatti queste enormi biblioteche sono costruzioni straordinarie, e anche alla ricostruzione dei testi, perché tutto ciò che viene letto, deve essere letto nella sua versione originaria, ossia il pensiero dell'autore non deve essere travisato. Per cui, questo lavoro filologico diventa proprio una forma mentale: gli uomini di cultura di quei secoli sono proprio legati agli approcci scientifici del testo. P (III-II . . C.) OLIBIO SEC A Il grande lavoro filologico e la grande attenzione al metodo critico rientrano anche nelle operazioni storiografiche: una ricerca storica, prodotta dentrouna certa temperie culturale, è certamente un prodotto culturale altamente critico, ossia altamente orientato ad un uso attento e ad una acribia (= precisione) molto elevata. Un prodotto che rientra in questa temperie culturale sono le Storie di Polibio: Polibio è uno storico greco, anche se vive buona parte della sua vita a Roma, che scrive, forse, il testo più importante antecedente alla nascita di Cristo, ossia le "Pragmateia" (= Storie), che hanno una vocazione universale. Mentre Tucidide ed Erodoto si occupano di descrivere ampi spazi geografici-temporali in modo circoscritto, come ad esempio il racconto delle Guerre Persiane o della Guerra del Peloponneso, Polibio ha un respiro molto più ampio, perché il suo scopo è quello di scrivere una storia universale. In realtà, la scelta di Polibio di scrivere una storia universale deriva direttamente dal suo oggetto storiografico, che è la Roma repubblicana, che, nel II secolo a.C.

dominava sulla porzione d'oro dell'ecumene.; per cui, con le sue Storie, Polibio vuole scrivere una storia universale che celebri la grandezza della Roma repubblicana. Inoltre, Polibio è molto attento alle descrizioni militari e alla questione bellica, ossia alle tecniche militari che possono spiegare il successo di Roma, e anche ad una serie di considerazioni legate alla politica, ossia a quali sono i sistemi di governo che possono essere più o meno efficaci. Roma è stata grande, perché è stata in grado di mettere insieme tutta una serie di eccellenze, sia sul piano militare sia sul piano politico, proprio anche per quanto riguarda la scelta di governo repubblicana, che si è rilevata vincente. Polibio vive proprio sulla sua pelle la grandezza di Roma, in quanto ci vive, ossia vive nel cuore di questa esperienza politica straordinaria. Attraverso la storia di Roma, perciò, vuole sviluppare una lettura universale, ossia descrivere

Questa grandezza insuperabile che non ha avuti confronto e che ha portato alla conquista di tutte le terre. C'è una grande attenzione per i dettagli militari e politici, infatti Polibio sviluppa una riflessione di tipo politico e militare sull'ascesa della potenza romana, di cui fu, appunto, un osservatore. A differenza di Erodoto, invece, Polibio è molto meno attento a tutto l'aspetto erudito ed etnografico, ossia non fa delle grandi descrizioni ad esempio sui popoli, perché la sua ottica è tutta incentrata sulla grandezza di Roma, ossia è Roma che agisce. Polibio ha una visione "pragmatica": vuole fornire una storia molto concreta della grandezza di Roma, occupandosi di quegli elementi che per lui sono centrali per la grandezza di Roma, soprattutto la politica, alla quale dedica un libro intero delle sue Storie; infatti, il VI libro è dedicato alla "Teoria delle Costituzioni", con cui cerca di capire quale

c'è l'idea di "Historia magistra vitae", in quanto da essa si possono trarre degli insegnamenti. La storia può essere una maestra di vita perché, secondo Polibio, ha una esistenza umana, ossia è come un organismo animale che ha un ciclo vitale: si genera/nasce, ha cioè un momento aurorale, poi ha una fase di sviluppo, in cui tocca la sua fase di massimo splendore, e poi inizia una lenta o veloce fase di decrepita/declino, fino ad arrivare ad una morte/sostituzione; poi, ricomincia un'altra fase di genesi di uno sviluppo storico. Questo ciclo vitale della storia, secondo Polibio, ha toccato tutte le società: anche la società romana, in cui sta vivendo e ne sta descrivendo la grandezza, in realtà, farà parte di un processo per cui, ad un certo punto, rischierà una curva discendente. Polibio innesca un'idea di ciclicità della storia e, quindi, una sorta di determinismo storico:

Ciò che è accaduto, in qualche modo, riaccadrà di nuovo all'interno di un nuovo ciclo. Questa concezione ciclica delle civiltà avrà lunga vita, perché avrà un grande successo anche nei secoli successivi (Machiavelli, Montesquieu).

Dettagli
Publisher
A.A. 2022-2023
144 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher s.filia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Metodologia della ricerca storica e didattica della storia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Rosso Paolo.