Appunti completi sulla disciplina del licenziamento
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La corte dice che, guardata la vicenda per come ricostruita dal giudice, è vero che il giudice rimettente
chiama in causa tante norme della Cost., ma è altrettanto vero che quando rimette la questione lo fa in
riferimento all’art. 4 Cost.
È compatibile l’art. 2118, primo comma, c.c. con l’art. 4, primo comma, Cost ??
La Corte risponde che per come si pone la questione dal punto di vista tecnico non c’è un contrasto.
Il Pretore di Scalea esprime l'avviso che l'inammissibilità di ogni sindacato sull'esercizio del potere di
recesso da parte del datore di lavoro - conseguente alla disciplina dettata dall'art. 2118 del Codice civile,
così come questa é stata ed é interpretata dalla costante giurisprudenza - non é conciliabile con la pretesa
del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro, che nell'art. 4 della Costituzione trova la sua fonte:
dal che discenderebbe l'illegittimità costituzionale della norma impugnata.
Ma la Corte ritiene che il denunziato contrasto non sussista.
Il giudice rimettente dice: la norma dell’art. 2118 impedisce di fare a me giudice un sindacato sull’esercizio
del potere di recesso. Cosa vuol dire? Vuol dire che il giudice controlla il modo con cui il potere si è
esplicato. Vuol dire che il giudice valuta la legittimità del recesso, verificando i modi di esercizio del potere.
Questo giudice dice che non può entrare nel merito, perché l’art. 2118 dice che il recesso è libero e che esiste
la sola regola del preavviso. Quindi può soltanto andare a vedere se il preavviso è rispettato.
Mentre invece l’art. 4 dovrebbe consentire di sindacare proprio quel potere perché se ogni cittadino ha diritto
al lavoro, io giudice devo poter sindacare il potere dell’imprenditore che il lavoro lo toglie. Devo poter
controllare gli atti dell’imprenditore che limitano il diritto al lavoro.
La Corte risponde no, perché dice che:
dal complessivo contesto del primo comma dell'art. 4 della Costituzione - già altre volte interpretato da
questa Corte - si ricava che il diritto al lavoro, riconosciuto ad ogni cittadino, é da considerare quale
fondamentale diritto di libertà della persona umana, che si estrinseca nella scelta e nel modo di esercizio
dell'attività lavorativa. A questa situazione giuridica del cittadino - l'unica che trovi nella norma
costituzionale in esame il suo inderogabile fondamento - fa riscontro, per quanto riguarda lo Stato, da una
parte il divieto di creare o di lasciar sussistere nell'ordinamento norme che pongano o consentano di porre
limiti discriminatori a tale libertà ovvero che direttamente o indirettamente la rinneghino, dall'altra
l'obbligo - il cui adempimento é ritenuto dalla Costituzione essenziale all'effettiva realizzazione del descritto
diritto - di indirizzare l'attività di tutti i pubblici poteri, e dello stesso legislatore, alla creazione di
condizioni economiche, sociali e giuridiche che consentano l'impiego di tutti i cittadini idonei al lavoro.
Da siffatta interpretazione deriva che l'art. 4 della Costituzione, come non garantisce a ciascun cittadino il
diritto al conseguimento di un'occupazione (il che é reso evidente dal ricordato indirizzo politico imposto
allo Stato, giustificato dall'esistenza di una situazione economica insufficiente al lavoro per tutti, e perciò da
modificare), così non garantisce il diritto alla conservazione del lavoro, che nel primo dovrebbe trovare il
suo logico e necessario presupposto.
1. Cos’è il diritto al lavoro? = libertà del singolo che si estrinseca nella scelta e nel modo di esercizio
dell’attività lavorativa.
2. l’art. 4 riguarda lo Stato (interlocutore del cittadino), non riguarda l’imprenditore. Il principio di libertà
di scelta del lavoro impedisce che esistano norme che impediscano l’esercizio di tale libertà. No norme
discriminatorie per il libero esercizio del lavoro. È lo Stato che non può limitare il lavoro dei suoi
cittadini, ponendo limiti discriminatori. Divieto per lo Stato di porre in essere norme che limitano la
libertà di cui al punto 1.
3. Lo Stato deve fare tutto il possibile per creare e indirizzare l’attività dei pubblici poteri per impiegare
tutti i cittadini idonei al lavoro. In termini economici: PIENA OCCUPAZIONE. Far sì che tutte le
persone lavorino.
4. Da questo possiamo dire che l’art. 4 non garantisce al singolo un lavoro e allo stesso modo non
garantisce il singolo rispetto alla conservazione del lavoro che egli abbia raggiunto.
La Corte ci sta dicendo che il principio dell’art. 4 cost. Vincola il potere pubblico a determinati obiettivi, ma
che non è tale da essere letto come un principio che obbliga lo Stato a trovare a tutti i cittadini un lavoro.
Tutela i cittadini rispetto al lavoro che hanno. 3
Sentenza che ha fatto la storia della giurisprudenza perché la corte costituzionale aggiunge qualcosa altro.
4. - Con ciò non si vuol dire che la disciplina dei licenziamenti si muova su un piano del tutto diverso da
quello proprio dell'art. 4 della Costituzione.
Se, infatti, é vero che l'indirizzo politico di progressiva garanzia del diritto al lavoro, dettato nell'interesse di
tutti i cittadini, non comporta la immediata e già operante stabilità di quelli di essi che siano già occupati,
ciò non esclude, ma al contrario esige che il legislatore nel quadro della politica prescritta dalla norma
costituzionale adegui, sulla base delle valutazioni di sua competenza, la disciplina dei rapporti di lavoro a
tempo indeterminato al fine intimo di assicurare a tutti la continuità del lavoro, e circondi di doverose
garanzie - particolarmente per quanto riguarda i principi fondamentali di libertà sindacale, politica e
religiosa, immediatamente immessi nell'ordinamento giuridico con efficacia erga omnes, e dei quali, perciò,
i pubblici poteri devono tener conto anche nell'interpretazione ed applicazione del diritto vigente - e di
opportuni temperamenti i casi in cui si renda necessario far luogo a licenziamenti.
Questi ultimi (passaggi) dimostrano che le condizioni economico-sociali del Paese consentono una nuova
disciplina, verso la quale l'evoluzione legislativa viene sollecitata anche da raccomandazioni
internazionali —> consentono una nuova disciplina = SENTENZA MONITO al legislatore, nella quale la
Corte dichiara non fondata la questione, ma rispetto alla quale di fatto suggerisce al Parlamento di intervenire
e di cambiare la disciplina. Sentenza apparentemente di non accoglimento, ma allo stesso tempo avvisa il
Parlamento di cambiare la legislazione.
Il Parlamento cambia subito la disciplina. Nel 1965 c’è questa sentenza della Corte costituzionale; nel 1966 il
legislatore provvede con una nuova legge sui licenziamenti, che integra e sostituisce in buona parte la norma
del codice civile.
La Corte esige dal legislatore un cambiamento di disciplina, per tutelare il lavoratore. La corte chiede al
parlamento di cambiare la regola del recesso libero (2118). Quella regola è troppo libera. Garantisce troppo il
datore di lavoro. L’ordinamento esige una regola più rigorosa e protettiva. 15/02
Art. 2118 —> recesso libero —> no controllo sui motivi, sulle ragioni che stanno alla base dello
scioglimento del vincolo.
Norma pensata come residuale. Poco applicabile (considerando il momento in cui è stata emanata).
Aggiungiamo altri due tasselli:
- norme del codice
- Legge del 1966 —> legge sui licenziamenti (l. 604/1966) —> cuore della disciplina in materia di
licenziamento.
Guardiamo il 2118 in relazione all’art. 2119:
Il codice civile parla di RECESSO (sia nel 2118 che nel 2119) —> cosa differenzia il recesso dal
licenziamento?:
- Recesso = istituto che riguarda lo scioglimento del contratto da ambo le parti, qualunque sia il soggetto
che recede (datore di lavoro o lavoratore)—> situazione nella quale si ha lo scioglimento del vincolo
contrattuale; RECESSO COME POTERE = potere negoziale di sciogliere il vincolo. Da quale contratto?
Il contratto di lavoro a tempo indeterminato (2094).
- Licenziamento = ipotesi in cui a sciogliere il vincolo contrattuale sia il datore di lavoro
- Dimissioni = ipotesi in cui è il lavoratore a sciogliersi dal vincolo contrattuale.
Secondo comma, art. 2118, c.c. —>
Terzo comma —> se c’è l’evento morte del prestatore del lavoro, il datore di lavoro dovrà compensare
qualcun altro dell’indennità.
Dicono qualcosa di coerente con il principio della libertà del recesso. Dicono qualcosa sulla monetabilizzità
del preavviso. Il preavviso è monetizzabile —> se io non ti do il preavviso non succede niente; dovrà
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soltanto darti un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di
preavviso.
Nessun limite al recesso, se non quello di pagare. Questo vale per entrambi i contraenti.
Questo istituto viene chiamato RECESSO AD NUTUM = recesso con preavviso monetizzabile.
Art. 2119 Recesso per giusta causa —>
Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo
determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che
non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al
prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità indicata nel secondo comma dell'articolo
precedente. Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell'imprenditore o la
liquidazione coatta amministrativa dell’azienda.
Il 2119 distingue due ipotesi:
• Se contratto a tempo indeterminato —> ipotesi del 2118 e del 2094; recesso senza preavviso (per
ciascuno dei contraenti)
• Se contratto a tempo determinato —> recesso prima della scadenza del termine —> se contratto con
termine finale, allora ciascuno dei contraenti può recedere prima quando si verifica una giusta causa.
Questa regola serve a dirci che i contratti a termine non sono oggetto di recesso (infatti il 2118 parla di
contratto a tempo indeterminato). Eccezione alla durata predeterminata, al principio dell’irrecedibilità per
il periodo che le parti hanno convenuto (quando si presenta la giusta causa).
Quando si verifica una causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto.
Norma che serve a giustificare in alcuni casi il recesso senza preavviso. Serve a rendere il recesso ancora
più libero, ancora più semplice. Nemmeno l’obbligo di monetizzare il preavviso. RECESSO PER GIUSTA
CAUSA = c’è un motivo che non consente di proseguire nemmeno per il tempo di preavviso (una causa
molto grave).
Esempio: imprenditore trova un suo dipendente a rubare denaro dalla cassa = ipotesi in cui ci può essere il
recesso senza preavviso.
Oltre a questo il 2119 aggiunge un’ulteriore regola —> se contratto a tempo indeterminato al prestatore di
lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’art. 2118 —> il
prestatore diventa titolare del diritto al preavviso. Penalità del datore di lavoro = versare l’indennità per il
preavviso. Regola molto liberale.
Che cos’è la giusta causa per il codice civile? È una regola che serve:
- a eliminare il preavviso,
- ovvero a sciogliere ante tempus un contratto a termine.
Queste due norme sono scritte dallo stesso legislatore che ha codificato il resto, quindi vanno prese pensando
al resto.
A questo punto guardiamo la Legge n. 604/1966
Norme sui licenziamenti individuali
Questa legge guarda solo a uno dei due contraenti. Guarda all’ipotesi in cui il recesso sia posto in essere dal
datore di lavoro. È come se si ponesse l’obiettivo di dare maggiore precisione alla disciplina del codice, da
uno dei due punti di vista.
Risposta alla sentenza della corte costituzionale.
Questa legge è una legge in cui il recesso viene trasportato dall’area della libertà all’area della vincolatività.
Dopo questa legge il recesso del datore di lavoro non è più libero, ma diviene vincolato. Non è più
INSINDACABILE, ma diviene SINDACABILE —> consentire al giudice di controllare il recesso, di
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sindacare l’atto di recesso. Di verificare che il recesso abbia dei presupposti di validità, di razionalità, di
efficacia.
È un cambio di paradigma. Idea del controllo giudiziale.
Art. 1
Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o con enti pubblici,
ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento, e di contratto collettivo o individuale,
il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell'articolo 2119 del
Codice civile o per giustificato motivo.
Per sciogliere il contratto di lavoro, quando a sciogliere sia il datore di lavoro, devo avere due possibili
ipotesi, due casi:
1. O una giusta causa (ex art. 2119 c.c.) —> la norma del codice civile non viene abrogata. Il modello del
codice viene superato attraverso la sua integrazione. Viene portato dentro una legge che ne cambia la
funzione. Tecnica legislativa molto particolare. Operazione molto significativa.
2. O un giustificato motivo —> il giustificato motivo è descritto nell’art. 3 l. 604/1966
Dunque il recesso del datore di lavoro a partire da questa legge si chiama LICENZIAMENTO e quest’ultimo
è vincolato a due alternative (suddette).
Art. 3 GIUSTIFICATO MOTIVO
Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da:
1. un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro —> questo tipo di
motivo viene normalmente chiamato GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO, perché guarda al
soggetto, guarda agli obblighi contrattuali del soggetto.
5. ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare
funzionamento di essa. —> questo motivo riguarda l’impresa. Normalmente viene chiamato
GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO, cioè non dipendente dal soggetto.
L’art. 3 disegna due fattispecie di licenziamento per giustificato motivo.
Tre ipotesi di licenziamento:
- giusta causa
- giustificato motivo soggettivo
- giustificato motivo oggettivo
Tre situazioni diverse, anche se hanno qualcosa di simile.
Esempio 1: io prendo a schiaffi il mio capo —> giusta causa = causa che non consente la prosecuzione,
anche provvisoria, del rapporto. Licenziamento per giusta causa.
Esempio 2: io arrivo tardi a lavoro. Orario 8-12. Io arrivo alle 9 ripetutamente, tutti i giorni —> giustificato
motivo soggettivo = notevole inadempimento degli obblighi contrattuali.
Che differenza c’è con l’ipotesi di prima? È un’ipotesi diversa dal punto di vista qualitativo.
Esempio 3: l’università di Trento decide di eliminare la facoltà di giurisprudenza —> giustificato motivo
oggettivo = ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regola funzionamento di
essa.
Sono ragioni che riguardano l’impresa, il datore di lavoro (non riguarda i dipendenti).
È l’ipotesi più complicata, perché c’è una scelta imprenditoriale a cui consegue una decisione di licenziare.
Due valori che vanno bilanciati:
- libertà di iniziativa economica
- diritto al lavoro 6
Dobbiamo capire che cosa rende legittimo il licenziamento nei tre casi —> il giudice di fronte a questi casi
può andare a guardare se effettivamente c’era la giusta causa, il giustificato motivo soggettivo od oggettivo.
Il giudice controlla queste situazioni, per il fatto di aver reso il recesso da libero a vincolato. Prima non c’era
controllo; dopo c’è il controllo: il giudice ha il potere di verificare che queste situazioni siano effettivamente
esistenti.
Le tre ipotesi di licenziamento prendono forma nella casistica. La catalogazione dei casi dentro le tre figure
dipende dai giudici, da come essi considerano le fattispecie generali.
La legge 604 aggiunge molti altri requisiti:
- Formali
- Procedurali
Per quanto riguarda i requisiti formali:
Art. 2
1. Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al
prestatore di lavoro.
2. [Il prestatore di lavoro può chiedere, entro 15 giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno determinato
il recesso: in tal caso il datore di lavoro deve, nei sette giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto].
La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno
determinato (legge 92/2012)
3. Il licenziamento intimato senza l'osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace.
4. Le disposizioni di cui al comma 1 e di cui all'articolo 9 si applicano anche ai dirigenti
In questo modo la legge 604/1966 precostituisce l’accertamento e il sindacato del giudice. Il licenziamento
deve essere fatto per iscritto. Il datore di lavoro deve mettere nero su bianco le ragioni del licenziamento.
Comma 3: se ti licenzio e non giustifico i motivi —> INEFFICACIA DEL LICENZIAMENTO
(improduttivo di alcunché).
l’art. 2 serve per presidiare il controllo giudiziale. Serve per mettere chiarezza.
Art. 5 (regola processuale)
L'onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al
datore di lavoro.
Questo è ciò che rafforza il controllo giudiziale. Io so che se licenzio qualcuno dovrò poi dimostrare in
giudizio o la giusta causa o il giustificato motivo che sorregge quel licenziamento.
Attraverso la tecnica dell’onere della prova questa legge rende i licenziamenti più difficili.
- recesso vincolato a tre ipotesi, che devono essere provate dal datore di lavoro.
- recesso formalizzato. Necessariamente rispettoso di regole formali.
Art. 8
Quando risulti accertato che non ricorrono (sono insussistenti) gli estremi del licenziamento per giusta
causa o giustificato motivo, il datore di lavoro é tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine
di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un
minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al
numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di
lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può
essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino
a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai
venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.
Passiamo a valle, a ciò che il giudice fa quando accerta che il recesso non è legittimo. Che cosa fa il giudice?
Questo è indicato nell’art. 8. 7
La legge 604/1966 è anche una legge che contiene una disciplina che si occupa della tutela, fissata nell’art. 8
—> non si guarda soltanto alla giustificazione causale del licenziamento (ciò che il datore di lavoro deve
mostrare al giudice), ma si guarda anche a cosa farà il giudice, quando accerta che il recesso è privo di
giustificazione.
Il giudice condannerà il datore di lavoro ad una misura di ripristino e di risarcimento. “Riassumere il
lavoratore (ripristino) o in mancanza risarcire il danno (risarcimento)”.
Quindi il giudice quando accerta l’illegittimità ha a disposizione due misure:
- Ripristinatoria
- Risarcitoria
Quando mancano i presupposti per il licenziamento, il giudice condanna il datore di lavoro:
• a riassumere il prestatore di lavoro.
• A risarcire il danno
Questa norma prevede una sanzione, prevista con un’alternativa:
- riassumere il lavoratore —> tecnica ripristinatoria (ripristino il rapporto)
- o, in mancanza, risarcire il danno —> tecnica risarcitoria
Il giudice accerta l’illegittimità del recesso e dunque condanna a riassumere o risarcire. Due possibili
sanzioni che il giudice ha a disposizione con la legge 604/1966.
Una tecnica di forfettizazzione del risarcimento che sale al salire dell’anzianità.
Questo tipo di disciplina normalmente si chiama TUTELA IN CASO DI LICENZIAMENTO
ILLEGITTIMO.
Presupposti del licenziamento —> art. 1 + art. 3
Tecniche di tutele in caso di licenziamento —> art. 8
Questa tecnica di tutela negli anni successivi al 1966 si è arricchita. Ci sono state altre norme successive.
Questa disciplina è stata poi toccata anche dalla legislazione Jobs Act.
La legge 604 si chiude con una serie di previsioni che riguardano altri aspetti, tra cui le previsioni contenute
negli artt. 11 e 12
Art. 12
Sono fatte salve le disposizioni di contratti collettivi e accordi sindacali che contengano, per la materia
disciplinata dalla presente legge, condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro.
Contrattazione collettiva applicata alla materia dei licenziamenti. Questa legge viene applicata quando non
sussistono discipline migliori, più protettive.
Art. 11
La materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale é esclusa dalle disposizioni della presente
legge.
I licenziamenti collettivi sono i licenziamenti che riguardano un numero grande di persone. I licenziamenti
collettivi sono vicende che anziché toccare uno o pochi dipendenti, toccano un numero cospicuo di persone.
Questo tipo di licenziamento è trattato da altre norme. 20/02/2018
La legge 604/1966 contiene dei principi cardine che fanno parte ancora oggi dell’istituto del licenziamento.
Un principio di giustificazione del licenziamento: a partire da questa legge (art. 3) i licenziamenti sono i
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recessi posti in essere dal datore di lavoro e hanno una giustificazione casuale = devono essere
sostanzialmente giustificati (tre tipi di giustificazione: giusta causa + giustificato motivo soggettivo od
oggettivo).
Da recesso libero (codice civile) —> a recesso causale (giustificato dal datore di lavoro davanti al giudice:
deve provare al giudice la giustificazione del recesso —> art. 5)
Poi c’è un profilo di forma: la legge 604/1966 prevede delle formalità che servono a rendere il recesso più
difficile. Servono a fissare i paletti dell’eventuale giudizio sul recesso stesso —> requisiti:
- comunicazione per iscritto (art. 2)
- obbligo di mettere per iscritto i motivi laddove richiesti
- obbligo posto in capo a chi deve provare il recesso di aver rispettato questi requisiti formali che
costituiscono la base su cui si svolge il controllo giudiziale (art. 5).
La legge 604/1966 contiene una disciplina che si occupa della tutela e questa disciplina è fissata nell’art. 8 —
> non si guarda soltanto alla giustificazione formale del licenziamento (ciò che il datore di lavoro deve
mostrare al giudice), ma si guarda anche a ciò che il giudice farà una volta che abbia accertato che il recesso
è privo di giustificazione —> condannerà il datore di lavoro ad una misura che l’art. 8 prevede:
• come misura di ripristino (riassumere il lavoratore)
• e come misura di risarcimento (o in mancanza, risarcire il danno).
Tracciamo qualche altro passaggio storico. Dopo il 1966 un altro episodio legislativo molto significativo
tocca la materia dei licenziamenti = legge 300/1970 = Statuto dei lavoratori
Codice 1942
Corte costituzionale 1965
Legge 604/1966
Statuto dei lavoratori legge 300/1970
Lo Statuto disciplina un’ampia gamma di materie. Tra queste norme vi è l’art. 18 (Reintegrazione nel posto
di lavoro), che si trova subito dopo le norme che riguardano le norme sulla libertà sindacale (artt. 14-17) e
subito prima le norme che riguardano l’attività sindacale.
Perché è collocato lì, ma riguarda invece la materia dei licenziamenti? C’è una ragione storica legata al fatto
che la prima versione dell’art. 18 riguardava il licenziamento dei dirigenti sindacali. Riguardava il solo
profilo dei lavoratori sindacalisti.
Poi nel dibattito parlamentare la norma fu portata ad un campo di applicazione più vasto, diventando una
norma che valeva per tutti i lavoratori e non solo per i sindacalisti.
Art. 18. Reintegrazione nel posto di lavoro —> prima versione 1970
1. Ferma restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il
giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta
legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la
nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in
ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento
occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore
agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
Si tratta di una norma che guarda al giudice, che parla al giudice. Quando il giudice accerta […] ordina al
datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
È una norma che si colloca sullo stesso binario dell’art. 8 legge 604/1966: è una norma sulla tutela, non è una
norma sulla giustificazione del recesso.
L’art. 18 continua a fare riferimento ai concetti di giusta causa e di giustificato motivo —> stessi concetti che
erano stati definiti dalla legge 604.
Che cosa cambia rispetto alla legge 604/1966? 9
Art. 8 legge 604/1966 art. 18 legge 300/1970
Quando risulti accertato che non ricorrono gli Ferme restando l'esperibilità delle procedure
estremi del licenziamento per giusta causa o previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n.
giustificato motivo, il datore di lavoro é tenuto a 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara
riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2
tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno della predetta legge o annulla il licenziamento
versandogli un'indennità di importo compreso tra un intimato senza giusta causa o giustificato motivo,
minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge
dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto stessa, ordina al datore di lavoro di reintegrare il
riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle lavoratore nel posto di lavoro.
dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del
prestatore di lavoro, al comportamento e alle Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
condizioni delle parti. La misura massima della subito per il licenziamento di cui sia stata accertata
predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 l’inefficacia o l’invalidità a norma del comma
mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità precedente. In ogni caso la misura del risarcimento
superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il non può essere inferiore a cinque mensilità di
prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti retribuzione.
anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa
più di quindici prestatori di lavoro.
Cambia innanzitutto una parola.
• Art. 8 legge 604/1966 —> tecnicamente si parla di “riassunzione”
• Art. 18 legge 300/1970 —> tecnicamente si parla di “reintegrazione”
Non cambia soltanto la parola, ma il modello:
• Legge 604/1966 —> l’invito è rivolto dal legislatore al datore di lavoro, tenuto a riassumere o a risarcire il
danno. “Qualora risulti accertato” (formula impersonale). In questo modello la scelta è rimessa al
DATORE DI LAVORO: è quest’ultimo che sceglie se riassumere o risarcire.
• Legge 300/1970 —> non è più il datore di lavoro a scegliere. È il giudice che ordina al datore di lavoro di
reintegrare il lavoratore. Non c’è più l’alternativa fra le due tecniche ripristinatoria e risarcitoria, ma c’è
l’ordine del giudice di reintegrare. La reintegrazione è una tecnica molto più forte rispetto alla
riassunzione, perché la riassunzione è rimessa alla volontà del datore di lavore, mentre la reintegrazione è
rimessa alla discrezionalità del giudice, il quale, una volta accertata l’illegittimità, ORDINA.
Reintegrazione —> rimessa alla discrezionalità del giudice. Reintegrazione= aggiustare, rimettere il
rapporto per come era prima. È una specie di concezione proprietaria (ti rimetto nel tuo posto). Ripristino la
situazione precedente —> la legge 300/1970 impone al giudice di ricostituire il rapporto, reintegra il
lavoratore nel posto di lavoro. Non è una nuova situazione negoziale, ma è il ripristino della situazione
precedente.
Riassunzione —> è una scelta del datore di lavoro. Riassumere = ricostruire un rapporto, farne nascere uno
nuovo —> la legge 604 impone di RINNOVARE IL CONTRATTO e lascia la scelta al datore di lavoro.
Nel modello dell’art. 18 la tecnica risarcitoria si aggiunge alla tecnica ripristinatoria. Non è più
un’alternativa, come nell’art. 8 della legge 604, ma diventa una tecnica cumulativa —> il giudice ordina la
reintegrazione e in più il prestatore di lavoro ha diritto ad un risarcimento per lo meno di 5 mensilità.
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La tecnica legislativa, nel tempo, aumenta il suo substrato protettivo (la legge 300 è il culmine di questa
protezione). È chiaro che l’art. 18 segna un punto di tutela molto significativo.
In quegli anni questa legge 300/1970 è considerata la legge più protettiva d’Europa. È frutto delle conquiste
che il lavoro e la sua rappresentanza riescono ad ottenere. Nasce come norma per tutelare i dirigenti
sindacali, ma viene estesa a tutti. Ogni prestatore di lavoro che venga licenziato, nel caso in cui il giudice
accerti l’illegittimità del licenziamento, ha diritto a questa tutela.
1. Primo piano di ragionamento —> a partire dal 1966 il licenziamento è sorretto da una ragione che lo
giustifica (giusta causa + giustificato motivo) —> PIANO DELLA GIUSTIFICAZIONE
2. Secondo piano di ragionamento —> cosa fa il giudice quando accerta che il licenziamento è privo di
una ragione che lo giustifica —> PIANO DELLA TUTELA (dopo la legge 300/1970 il giudice ordina
la reintegrazione e condanna al risarcimento del danno).
Questa disciplina rimane così almeno fino al 1990, quando la
legge n. 108/1990
la rafforza ancora, cambiando il primo e il secondo comma dell’art. 18 legge 300/1970.
"Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il
giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta
legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la
nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in
ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento
occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore
agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di
lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici
dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti,
anche se ciascuna unita' produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al
datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori
di lavoro.
La legge 108/1990 stabilisce un requisito dimensionale, ossia che la reintegrazione si applica a tutte le
situazioni (a prescindere dalla forma giuridica “impresa") che occupino più di 15 prestatori di lavoro o più di
5 se si tratta di un’impresa agricola.
La legge 108 stabilisce una soglia dimensionale e utilizza quella formula “sede, stabilimento, filiale, ufficio o
reparto autonomo” che verrà poi condensata nell’espressione “unità produttiva”.
Significa creare una diversità di disciplina per le imprese medie/medio-grandi e per le imprese
piccole/medio-piccole e questa diversità di disciplina ci accompagnerà fino ai nostri giorni.
• Per le imprese medio-grandi (più di 15 dipendenti)—> applicazione dell’art. 18
• Per le imprese piccole, medio-piccole (meno di 15 dipendenti nell’unità produttiva)—> si applica la legge
604/1966.
Quello che accade è una sorta di divisione fra tecniche di protezione, legata all’idea che nelle imprese più
piccole ( < 15) sia più coerente un modello di tutela in cui la tecnica è più blanda, in cui esiste la
riassunzione, la facoltà di scelta per il datore di lavoro;
mentre nelle imprese medio-grandi si dà discrezionalità al giudice (tutela di tipo reintegratorio nelle imprese
con più di 15 addetti).
Ma soprattutto la legge 108/1990, oltre a questa bipartizione, aggiunge un’ulteriore specificazione al modello
dell’art. 18, aggiungendo un’opzione per il prestatore di lavoro —> facoltà di chiedere al datore di lavoro in
sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione
globale di fatto —> con la legge 108/1990 la situazione si ribalta: tecnica ripristinatoria, ma tecnica nella
quale è il prestatore di lavoro che ad un certo punto può decidere di optare, in alternativa alla reintegrazione,
per un risarcimento cumulativo che sostituisce la reintegrazione = Indennità sostitutiva della
reintegrazione (15 mensilità, fermo restando il diritto al risarcimento di 5 mensilità).
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Quindi … un modello di tutela ascendente —> il lavoratore è via via maggiormente protetto. La protezione
si sostanzia in una tecnica di tipo reintegratorio a cui si aggiunge il risarcimento, con l’opzione che risale alla
legge 108/1990 per un’alternativa alla reintegrazione monetizzata (15 mensilità).
Questa disciplina rimane intoccata fino ai nostri giorni. Anni 2000 —> la situazione cambia (Fornero 2012 +
Jobs Act 2015 = disciplina attuale in materia di licenziamento)
Art. 18 legge 300/1970 è stato modificato soltanto da un governo tecnico (Governo Monti, legislazione
Fornero). La norma della legge 108/1990 rimane così fino ai nostri giorni.
Aggiungiamo il pezzo relativo ai LICENZIAMENTI COLLETTIVI
Legge n. 223/1991
Riguarda i licenziamenti che riguardano un numero consistente di persone.
Titolo della legge: Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione,
attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di
mercato del lavoro.
Questa è una legge che si occupa di tutti quegli aspetti che non riguardano il rapporto come relazione fra
datore di lavoro e un prestatore.
Questa legge tocca e regolamenta i profili che hanno riflessi sul mercato del lavoro = situazione più o meno
regolata nella quale si trovano le persone in cerca di lavoro, che perdono il lavoro, che hanno bisogno di
incontrare l’offerta di lavoro.
Quindi questa legge 223/1991 non è una legge sul contratto, sulla relazione negoziale (come la legge 604;
art. 18, legge 1990). È una legge più ampia che regola diversi istituti, che sono collegati a queste situazioni,
in cui gioca un ruolo il mercato, la domanda e l’offerta di lavoro, le istituzioni pubbliche, i soggetti che
interagiscono quando si hanno situazioni di crisi, di difficoltà occupazionale.
"Cassa integrazione” = istituto che nel nostro ordinamento esiste da prima degli anni ’90, ma era per lo più
regolato da disposizioni sparse, che serve a far transitare per un certo periodo le persone che lavorano
verso il sostegno pubblico. È una integrazione salariale (soldi) che lo Stato, per il tramite dell’INPS, versa
alle imprese in difficoltà. Se un’impresa è in difficoltà chiede allo Stato un aiuto, un’integrazione salariale,
per mettere in cassa alcuni dei suoi dipendenti. Integrazione dello stipendio da parte dello Stato (se l’impresa
ha i requisiti per ottenerlo).
Lo Stato si sostituisce agli imprenditori e li aiuta a mantenere l’occupazione.
È una situazione di generalità. Queste norme cercano di regolare questo fenomeno, che può portare a
licenziamenti. Molto spesso la cassa integrazione è ciò che avviene prima di un licenziamento collettivo.
Molto spesso lo Stato ha pagato imprese che non erano poi in grado di riassorbire quelle persone, ha ritardato
i licenziamenti —> qui c’è una doppia anima:
• per un verso ritardare i licenziamenti significa sostenere quelle persone in difficoltà;
• per altro verso ritardare i licenziamenti significa sostenere un’impresa che non riesce a vivere e che non
vivrà. I meccanismi di cassa integrazione tengono in piedi imprese che non sono in grado di stare sul
mercato.
La legge 223/1991 è una legge che regolamenta:
- Fenomeno della crisi di impresa
- Fenomeno della cassa integrazione
- Fenomeno della mobilità (una delle fasi possibili della cassa integrazione)
- Fenomeno dei licenziamenti collettivi = licenziamenti che talvolta seguono la cassa integrazione.
La disciplina fondamentale si regge su un’idea: quando l’impresa si trova in una situazione di difficoltà deve
informare i sindacati. Questa è la regola base. Regola di tipo procedurale.
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La legge 223/1991 si regge sull’idea che ciò che conta in questi casi è la giusta informazione ai soggetti
sindacali.
Una tecnica di tutela che non si basa sulla protezione dei singoli in quanto tali, ma si basa sul coinvolgimento
sindacale —> Cuore di questa legge = coinvolgimento sindacale.
Art. 4 legge 223/1991 (Procedure per la dichiarazione di mobilità) —> legge che stabilisce regole
procedurali
1. L'impresa che sia stata ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, qualora nel
corso di attuazione del programma di cui all'articolo 1 ritenga di non essere in grado di garantire il
reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative, ha facoltà di avviare
le procedure di mobilità ai sensi del presente articolo.
Questo comma stabilisce le condizioni per la mobilità e da questo primo comma capiamo che la condizione è
trovarsi all’interno di una procedura di cassa integrazione. L’impresa che abbia fatto domanda allo Stato per
ottenere la cassa integrazione ed avendo i requisiti sia stata ammessa.
Durante questa fase posso avviare le procedure di mobilità, quindi avviare le procedure per il licenziamento
collettivo. Mobilità = licenziamento collettivo
Primo elemento —> la disciplina in materia di licenziamento collettivo nasce come disciplina interna alla
procedura di cassa integrazione. È un succedaneo della cassa integrazione.
Il legislatore immagina che il licenziamento collettivo segua un intervento di integrazione salariale.
Di solito la crisi è progressiva, di solito avviene una richiesta di cassa integrazione, di solito durante la cassa
integrazione il datore di lavoro si rende conto che dovrà licenziare, che non riuscirà più ad integrare i
dipendenti per cui la cassa integrazione è stata richiesta —> a questo punto procederà al licenziamento
collettivo.
2. Le imprese che intendano esercitare la facoltà di cui al comma 1 sono tenute a darne comunicazione
preventiva per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell'articolo 19 della legge
20 maggio 1970, n. 300, nonché alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette
rappresentanze la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle
confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione alle associazioni di
categoria può essere effettuata tra il tramite dell'associazione dei datori di lavoro alla quale l'impresa
aderisce o conferisce mandato.
L’imprenditore che vuole procedere al licenziamento collettivo deve dare un’informazione preventiva per
iscritto:
• alle rappresentazione sindacali aziendali (RSA)
• alle rispettive associazioni di categoria (non solo al sindacato che sta dentro l’azienda, anche al sindacato
che si trova fuori dall’azienda).
OBIETTIVO DELLA NORMA: perché la tecnica è procedurale ed è costruita sull’informazione preventiva?
Perché questa tecnica serve a mettere in comunicazione il mondo sindacale con il mondo dei rapporti
individuali. Il sindacato così potrà mettere in atto tutte le misure per attenuare questi licenziamenti (es.
sciopero, negoziazione collettiva, ecc). Il sindacato può così conoscere che in quella realtà aziendale ci
saranno un tot di licenziamento e dunque potrà mettere in atto tutte le azioni che possono servire ad attutire,
a contrastare questi licenziamenti (esempio: sciopero; negoziazione collettiva)
La tecnica è di INFORMAZIONE PREVENTIVA. C’è un obbligo per l’imprenditore.
N.B. la legge stabilisce un possibile coinvolgimento dell’associazione di rappresentanza dell’imprenditore.
3. La comunicazione di cui al comma 2 deve contenere indicazione: dei motivi che determinano la situazione
di eccedenza; dei motivi tecnici, organizzativi e produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure
idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare in tutto o in parte, il licenziamento collettivo; del
numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente nonché del
personale abitualmente impiegato; dei tempi di attuazione del programma di riduzione del personale delle
eventuali misure programmate per fronteggiare la conseguenza sul piano sociale della attuazione del
13
programma medesimo del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già
previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva. Alla comunicazione va allegata copia
dalla ricevuta del versamento dell'INPS a titolo di anticipazione sulla somma di cui all'articolo 5, comma 4,
di una somma pari al trattamento massimo mensile di integrazione salariale moltiplicato per il numero dei
lavoratori ritenuti eccedenti.
Si tratta di tutti gli elementi utili perché chi è destinatario dell’informazione possa agire. quindi, quali sono le
ragioni che portano l’impresa ad espellere lavoratori.
- Ragioni
- Ragioni tecniche di sostanza
- Numero delle persone coinvolte
- Per quali profili professionali
- Quali sono le persone impiegate dall’azienda
- Quali sono i tempi in cui la chiusura avverrà
Comma 3 —> mettere gli interlocutori nelle condizioni di avere tutte le informazioni possibili. Questo
significa avere la possibilità di aprire una finestra sulla situazione di difficoltà.
Quadro di trasparenza che il legislatore obbliga a costruire in via preventiva, che comunque non paralizza la
scelta dell’imprenditore di chiudere o spostare lo stabilimento. Non sono impediti i licenziamenti collettivi.
Quello che avviene da un certo momento in poi è che le carte sono sul tavolo. I soggetti coinvolti nella
vicenda hanno tutte le carte sul tavolo.
La legge 223/1991, con questa formalizzazione, aiuta gli attori del sistema produttivo, in particolare i
sindacati, ad avere le informazioni necessarie nel momento giusto, cioè prima che i licenziamenti si siano
verificati. Obiettivo —> mettere il sindacato nella condizione di agire.
4. Copia della comunicazione di cui al comma 2 e della ricevuta del versamento di cui al comma 3 devono
essere contestualmente inviate all'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione.
Dal quarto comma —> la stessa quantità di informazioni vengono necessariamente inviate anche all’ufficio
provinciale del lavoro = istituzione pubblica/pubblica amministrazione che si occupa del governo del
mercato del lavoro.
La stessa informazione che va:
- ai sindacati (privati)
- al pubblico (P.A.)
5. Entro sette giorni dalla data del ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, a richiesta della
rappresentanze sindacali aziendali e delle rispettive associazioni si procede ad un esame congiunto tra le
parti, allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza del personale e le
possibilità di utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua parte, nell'ambito della stessa impresa,
anche mediante contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di lavoro. Qualora non sia
possibile evitare la riduzione di personale, è esaminata la possibilità di ricorrere a misure sociali di
accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori
licenziati. I rappresentanti sindacali dei lavoratori possono farsi assistere, ove lo ritengano opportuno, da
esperti.
Il quinto comma scandisce i tempi della procedura: Entro 7 giorni (successivi alla data di ricevimento della
comunicazione) i destinatari della comunicazione possono chiedere il c.d. ESAME CONGIUNTO = tavolo
di possibile negoziazione, nel quale le parti si trovano e hanno la possibilità di esaminare gli strumenti a
disposizione per risolvere almeno in parte il problema. Capire se effettivamente quelle determinate persone
sono tutte a rischio di licenziamento, capire se ci possono essere misure alternative, capire se ci possono
essere strumenti di accompagnamento a questi lavoratori rispetto alla loro espulsione.
A volte si tratta di riqualificare o convertire = dare a quelle persone la formazione necessaria per saper fare
un’attività simile, ma non identica a quella precedente.
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La legge 223/1991 scandisce una procedura (l’unico vero obbligo per l’imprenditore —> l’imprenditore non
ha un divieto di licenziamento, perché questo sarebbe contrario alla libertà di impresa. L’imprenditore ha
l’obbligo di attivare una procedura) che consiste nel dare informazione preventiva ai sindacati e agli uffici
pubblici che gestiscono questo tipo di problematiche. L’informazione preventiva ha la maggior quantità
possibile di informazioni, che riguardano molti aspetti del rapporto lavorativo (comma 3).
La legge nel comma 5 scandisce una tempistica funzionale ad un esame congiunto.
In queste situazioni l’interesse non è individuale, ma collettivo. 21/02
Recesso datoriale = licenziamento (a partire dalla legge 604/1966)
Affianco a questo blocco di norme che trattano il recesso datoriale, esiste una legislazione che raggiunge il
suo momento più corposo nel 1991 = Legge 223/1991 —> non riguarda il recesso individuale, bensì la
disciplina dei licenziamenti collettivi.
Che cos’è un licenziamento collettivo?
Il quadro è quella di una disciplina che riguarda molti aspetti del mercato del lavoro e cioè di quella
situazione (incontro tra domanda e offerta di lavoro), nella quale giocano un ruolo diversi attori privati e
pubblici (ministero del lavoro, INPS, centri per l’impiego, ecc.)
Diverse questioni tra cui quella riguardante la Cassa integrazione, che è prodromica (preliminare) alle
procedure di licenziamento collettivo.
A noi interessa in particolare la tecnica legislativa che troviamo identificata nella norma all’art. 4 —>
TECNICA PROCEDURALE = l’intervento è proiettato sulla costruzione di regole di ingaggio,
procedurali, lasciando poi la sostanza agli attori protagonisti del sistema di relazioni. Questa legge, quindi,
fissa alcuni requisiti necessari, alcuni obblighi di procedura, ma non non ci dice cosa può accadere dentro la
procedura —> che cosa accade dentro la singola vicenda ce lo dicono solo i casi e gli attori che nei casi
concreti hanno agito.
Procedura che vede sin dall’inizio della fase di difficoltà dell’impresa il coinvolgimento di due soggetti
fondamentali:
- sindacato (RSA interno all’azienda + sindacato confederale esterno),
- Soggetto pubblico = ufficio provinciale del lavoro che presidia sul territorio l’incontro domanda-offerta di
lavoro.
Quello che conta giuridicamente parlando è l’ESAME CONGIUNTO —> ciò che può avvenire su istanza
dei sindacati nel momento in cui i sindacati sono messi nella condizione di conoscere tutte le informazioni
relative alla situazione di difficoltà. Quando il sindacato è a conoscenza delle misure, dei tempi, dei profili,
delle conseguenze sul piano sociale di quella crisi, allora chiede all’imprenditore un esame congiunto —>
ENTRO 7 GIORNI dal ricevimento della comunicazione (comma 5, art. 4).
Comma 6 —> La procedura di cui al comma 5 (esame congiunto avviato dal sindacato) deve essere
esaurita entro quarantacinque giorni dalla data del ricevimento della comunicazione dell’impresa.
Il comma 6 ci dà un termine di chiusura della procedura —> 45 GIORNI dalla data del ricevimento della
comunicazione dell’impresa. Un mese e mezzo durante il quale si cercano soluzioni.
L’impresa dà all’ufficio provinciale del lavoro (amministrazione pubblica) comunicazione scritta sul risultato
della consultazione e sui motivi del suo eventuale esito negativo. Analoga comunicazione scritta può essere
inviata dalle associazioni sindacali dei lavoratori.
Anche qui la legge si limita a prevedere una procedura per mettere in dialogo l’impresa e i sindacati (soggetti
privati) con il soggetto pubblico, il quale è necessariamente informato di tutte le fasi di questa procedura.
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Che cosa avviene una volta che la procedura è esaurita:
Comma 7 —> Qualora non sia stato raggiunto l'accordo, il direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro e
della massima occupazione convoca le parti al fine di un ulteriore esame delle materie di cui al comma 5,
anche formulando proposte per la realizzazione di un accordo. Tale esame deve comunque esaurirsi entro
trenta giorni dal ricevimento da parte dell'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione della
comunicazione dell'impresa prevista al comma 6.
Da questo settimo comma capiamo che la questione è costruita per raggiungere un possibile accordo, un
contratto collettivo. Quello che nasce da questa previsione è la possibilità di arrivare alla stipulazione di
un contratto collettivo.
Il sesto comma, insieme al settimo, ci dice che:
• o l’accordo viene raggiunto dalle parti
• oppure il direttore dell’ufficio provinciale convoca le parti e tenta un’ulteriore intermediazione al fine di un
ulteriore esame delle materie, anche facendo proposte per la realizzazione di un accordo.
Una disciplina costruita per mettere in contatto i soggetti dentro uno spazio in cui c’è la mediazione, la
conciliazione, spesso produttiva di accordi sociali che riducono l’impatto sociale dei licenziamenti, magari
dilatandoli nel tempo, riducendone il numero, compensando con altri strumenti, trovando altre aziende
dell’indotto o del territorio disposte ad assumere i lavoratori che vengono espulsi.
Comma 9 —> ci dice cosa accade all’esito di questo iter procedurale:
Raggiunto l'accordo sindacale (le parti si sono messe d’accordo) ovvero esaurita la procedura di cui ai
commi 6, 7 e 8 (trascorsi i termini previsti dalla legge ed esauriti tutti i passaggi formali), l'impresa ha
facoltà di collocare in mobilità gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a
ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso.Contestualmente, l'elenco dei lavoratori
collocati in mobilità con l'indicazione per ciascun soggetto del nominati del luogo di residenza, della
qualifica, del livello di inquadramento dell'età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle
modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all'articolo 5, comma 1, deve essere
comunicato per iscritto all'Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla
Commissione regionale per l'impiego e alle associazioni di categoria di cui al comma 2.
Quando è esaurita la procedura, l’impresa, sia che abbia raggiunto l’accordo con il sindacato sia che non lo
abbia raggiunto, solo a quel punto ha il potere di collocare in mobilità i lavoratori, ossia licenziarli,
comunicando a ciascuno di loro per iscritto il recesso nel rispetto dei termini di preavviso.
A questo punto è come se partisse la procedurale di tipo individuale. A questo punto l’impresa parla di nuovo
con ciascuno dei suoi interlocutori.
A questo punto sono singoli recessi (l’impresa comunica ad ogni singolo lavoratore)—> ciò che interessa è
che questi recessi siano stati preregolati da una dinamica procedurale, preceduti da una serie di regole.
Nel licenziamento collettivo il potere di recesso è vincolato ad una preliminare procedura: io posso recedere
individualmente, ma prima devo aver fatto una cosa collettiva = PROCEDURA DI MOBILITÀ
Questo significa che nel caso di licenziamento collettivo la giustificazione del recesso è data dalla procedura
—> non c’è un presupposto causale o almeno non c’è lo stesso tipo di presupposto causale che opera nella
dimensione individuale (non c’è giusta causa o giustificato motivo). Non c’è quel passaggio giustificativo: la
giusta causa e giustificato motivo sono assorbiti dalla procedura:
Due tecniche di protezione differenti:
- la prima = giusta causa + giustificato motivo è una tecnica che opera sul fondamento del recesso, quindi va
a giustificare la scelta del datore di lavoro e a controllarla attraverso le nome della legge 604/1966 —> il
datore di lavoro dovrà provare in giudizio contro il singolo di avere una giusta causa o un giustificato
motivo, cioè una ragione che giustifica lo scioglimento del rapporto. - nella legge 223/1991 la giusta causa e
giustificato motivo sono assorbiti dalla procedura —> il datore di lavoro per essere in linea con la disciplina
legale deve aver rispettato regole procedurali. Non si va ad indagare se aveva una ragione per recedere, ma si
va a verificare se ha rispettato queste regole procedurali nella loro scansione temporale fissata dalla legge
223/1991. 16
Due diversi mondi:
Licenziamento individuale —> presidiato dal principio di giustificazione del recesso con il controllo del
giudice.
Licenziamento collettivo —> presidiato da regole procedurali anch’esso soggetto al controllo del giudice, ma
non incidenti sui presupposti di sostanza.
L’impresa, una volta esaurita la procedura:
- comunica il recesso ai singoli —> scioglie il contratto con i singoli
- e contestualmente scrive all’amministrazione pubblica ed è obbligata ad indicare in modo analitico tutte le
persone che sono state oggetto di recesso: i soggetti, il luogo di residenza, la qualifica, il livello di
inquadramento, l’età, il carico di famiglia —> tutti i dati che riguardano le persone licenziate. A cosa
servono questi dati? I dati servono a far sì che l’amministrazione possa farsi carico di quei soggetti.
Legge 604/1966 —> gli interessi sono due (che si contrappongono):
• Interessi del datore di lavoro
• Interessi del lavoratore
Legge 223/1991 —> gli interessi sono molti di più e dunque la legge è molto più ampia nei suoi effetti.
art. 5 legge 223/1991 —> L’impresa, nel momento in cui comunica i lavoratori licenziati, deve dire come ha
applicato i criteri di scelta = una delle questioni fondamentali che attengono alla materia del licenziamento
collettivo. Come faccio a scegliere i lavoratori che devono essere licenziati? l’art. 5 si occupa di
determinare alcuni criteri che servono per guidare la scelta dell’impresa.
Comma 1. L'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire in relazione alle esigenze
tecnico-produttive, ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti
collettivi stipulati con i sindacati di cui all'articolo 4, comma 2, ovvero in mancanza di questi contratti nel
rispetto dei seguenti criteri in concorso tra loro;
a) carichi di famiglia;
b) anzianità;
c) esigenze tecnico produttive ed organizzative.
Questo primo comma ci dà due diverse indicazioni:
- prima indicazione —> tecnica legislativa: chi ha il compito primario di individuare i criteri di scelta dei
lavoratori da licenziare? I contratti collettivi devono individuare i criteri. I sindacati giocano una
funzione molto importante di tutela ultimativa. I sindacati sono quelli che alla fine scelgono chi deve
essere licenziato, sulla base di criteri di ragionevolezza.
Ecco a cosa serve l’accordo ex art. 4: serve a capire chi si licenzia.
La legge 223/1991 rinvia alla contrattazione collettiva. L’ordinamento assegna al sindacato funzioni
protettive di difesa dell’occupazione e anche delle funzioni molto delicate di scelta dei lavoratori da
licenziare.
Attenzione: l’art. 5 non dice che il sindacato sceglie i lavoratori, dice che il contratto collettivo individua i
criteri. Individuare i criteri vuol dire stabilire parametri che devono poi essere applicati.
Una cosa è il criterio, un’altra cosa è la sua applicazione concreta.
- In secondo luogo (seconda indicazione ricavabile dall’art. 5) esiste la possibilità che il contratto collettivo
non ci sia. In via suppletiva, la legge dice che in mancanza del contratto si applicano i seguenti criteri:
• carichi di famiglia —> stabilire che verranno licenziati prima i lavoratori che non hanno carichi di
famiglia, perché la garanzia di un’occupazione non è importante solo per il singolo, ma anche per la
famiglia che dipende da quel singolo;
• anzianità —> criterio collegato alla facilità di essere rioccupato: più sei anziano e più difficilmente ti
rioccupi; 17
• esigenze tecnico-produttive ed organizzative —> questo criterio assomiglia molto al concetto di
giustificato motivo oggettivo. Qualcosa legato all’impresa (i primi due criteri sono soggettivi, sono legati
alle persone). Esempio: se sto chiudendo il reparto frigoriferi nella mia azienda, tra i criteri potrò
prevedere quello legato ad una certa professionalità, all’esigenza di eliminare quel reparto, al fatto che
evidentemente se chiudo quel reparto non mi servono più i tecnici adibiti a quel reparto.
Tre criteri c.d. legali residuali —> vuol dire che il legislatore dà una linea, individuando tre criteri di
massima, che operano quando non esistano i contratti collettivi che stabiliscono i criteri. Ma questo vuol dire
anche i contratti collettivi potrebbero prevedere criteri differenti e spesso lo fanno.
L’art. 5 ci dice anche che questi tre criteri legali vengono applicati in concorso fra loro —> mescolando le
diverse caratteristiche indicate nelle tre lettere.
I criteri non indicano le persone, ma indicano in un certo modo la linea che l’impresa segue.
I criteri sono applicati dall’imprenditore: è l’imprenditore, nel suo esercizio del potere datoriale, che sulla
base del criterio comunica il licenziamento a Tizio, applicando il criterio generale e scegliendo Tizio e non
Caio. Dunque è chiaro che anche nell’applicazione del criterio ci possono essere margini per contestare
l’azione dell’imprenditore ed è per questo che l’art. 4, quando stabilisce le regole procedurali da seguire in
conclusione ci dice che l’imprenditore deve comunicare all’ufficio pubblico i nomi dei lavoratori e che a
questa comunicazione deve essere messa in più la puntuale indicazione delle modalità con cui sono applicati
i criteri di scelta —> in quel momento l’amministrazione pubblica sa che il criterio applicato è quello
dell’anzianità in concorso al 75 % con i carichi di famiglia e che l’impresa ha catalogato i suoi lavoratori e
ha quindi applicato quei criteri scegliendo Tizio, Caio, Sempronio, ecc.
L’individuazione dei criteri di scelta è il momento più delicato, perché sancisce lo spostamento da una
tecnica procedurale al recesso del singolo.
Nell’impianto della legge 223/1991 c’è un’altra norma che completa il discorso sulla tecnica legislativa e
sulle regole essenziali costruite nel tempo in materia di licenziamento collettivo:
Art. 24 legge 223/1991 —> soglia numerica che definisce che cos’è un licenziamento collettivo
Norme in materia di riduzione del personale
1. Le disposizioni di cui all'art. 4, commi da 2 a 12, e all'art. 5, commi da 1 a 5, si applicano alle imprese
che occupino più di quindici dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività
o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell'arco di centoventi giorni, in ciascuna
unità produttiva, o in più unità produttive nell'ambito del territorio di una stessa provincia. Tali disposizioni
si applicano per tutti i licenziamenti che, nello stesso arco di tempo e nello stesso ambito, siano comunque
riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione.
2. Le disposizioni richiamate nel comma 1 si applicano anche quando le imprese di cui al medesimo comma
intendano cessare l'attività.
3. Quanto previsto all'art. 4, commi 3, ultimo periodo, e 10, e all'art. 5, commi 4 e 5, si applica solo alle
imprese di cui all'art. 16, comma 1.
4. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano nei casi di scadenza dei rapporti di lavoro a
termine, di fine lavoro nelle costruzioni edili e nei casi di attività stagionali o saltuarie.
5. La materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale di cui al primo comma dell'art. 11 della
legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dall'art. 6 della legge 11 maggio 1990,n. 108, è disciplinata
dal presente articolo.
6. Il presente articolo non si applica ai licenziamenti intimati prima della data di entrata in vigore della
presente legge.
Le norme in materia di mobilità sono applicabili solo a:
• imprese che occupano più di 15 dipendenti
• almeno cinque licenziamenti nell’arco di 120 giorni —> la soglia è definita con un riferimento
temporale (arco temporale di 4 mesi) e con una soglia minima, ma non un tetto massimo. Quindi, più di 5,
ma non necessariamente 5 tutti insieme. 18
Si considerano licenziamenti collettivi tutti quelli che l’impresa pone in essere in un arco temporale e
che superano almeno il numero di 5.
L’idea è la seguente: l’impresa intende ridurre il personale in conseguenza di una riduzione o trasformazione
dell’attività. Si riduce l’attività d’impresa: quando questo accade, rientrano nel campo di applicazione della
disciplina in materia di licenziamento collettivo tutte le situazioni che comportano almeno 5 licenziamenti in
120 giorni.
Noi riusciamo a capire se deve essere applicata la disciplina in materia di licenziamento collettivo solo
quando prendiamo dei riferimenti temporali successivi: al primo licenziamento non so se si tratta di un
licenziamento collettivo, ma lo saprò al quinto, purché questo quinto sia arrivato nei 120 giorni.
LICENZIAMENTO COLLETTIVO =
- il licenziamento di almeno 5 licenziamenti in 120 giorni
- per le imprese che occupano più di 15 dipendenti
- conseguente ad una riduzione o trasformazione dell’attività di lavoro —> 5 soggetti che dipendono dalla
stessa dinamica. Se il quinto viene licenziato per una giusta causa allora non è ricompreso, quindi non è
un licenziamento collettivo. Se ci sono tre soggetti che dipendono da quella dinamica e due legati
all’inadempimento, questi due sono licenziamenti individuali: non si sommano.
- A quel punto l’imprenditore DEVE applicare le regole di cui all’art. 4 (procedura) e art. 5 (non può
licenziare scegliendo arbitrariamente, ma deve licenziare rispettando criteri di scelta) legge 223/1991.
Qui i presupposti per l’applicazione della disciplina procedurale e i presupposti per la concessione della
cassa integrazione, che è il prodromo rispetto al licenziamento, sono regolati, sono soggetti al controllo, ma
il controllo non è giudiziale (come nella giusta causa e giustificato motivo nei licenziamenti individuali). Qui
il controllo è dell’attore pubblico (ministero e INPS che concede l’integrazione salariale). Quindi l’impresa
dice di avere una difficoltà e dovrà dimostrarlo, ma per lo più lo dimostra attraverso una compilazione di un
modulo: documentazione nella quale l’impresa dice e descrive la situazione in cui si trova. È un controllo
vero, ma non è lo stesso tipo di controllo che c’è nel caso di licenziamento individuale, che è un controllo
giudiziale che opera sul concetto di giusta causa, quindi è legato al sinallagma contrattuale, è legato al
rapporto obbligatorio.
Nei licenziamenti collettivi c’è un controllo, ma è tutto amministrativo, burocratico.
Poi a valle il giudice può controllare questi presupposti? Può esercitare un controllo sulla concessione della
cassa integrazione? È molto difficile che questo avvenga. Nella maggior parte dei casi, nelle procedure di
licenziamento collettivo i giudici, quando vedono rispettata la procedura, quando vedono il ministero che ha
autorizzato la cassa integrazione, quando vedono rispettate le regole degli artt. 4-5, dicono: è legittimo il
licenziamento. Quindi non vanno a verificare la ragione su cui si fonda la scelta imprenditoriale del recesso.
Non lo fanno in maniera così profonda come lo fanno nel licenziamento individuale. Per quale ragione?
Perché infondo si accontentano che la procedura in teoria è garanzia di trasparenza e quindi di correttezza del
comportamento dell’impresa.
Paradosso: c’è un controllo maggiore nel caso di recesso individuale di quanto non ci sia nel caso di recesso
collettivo.
Norma principale che fissa i requisiti per l’accesso alla cassa integrazione:
Art. 1 (Norme in materia di intervento straordinario di integrazione salariale)
1. La disciplina in materia di intervento straordinario di integrazione salariale trova applicazione
limitatamente alle imprese che abbiano occupato mediamente più di quindici lavoratori nel semestre
precedente la data di presentazione della richiesta di cui al comma 2. Nel caso di richieste presentate prima
che siano trascorsi sei mesi dal trasferimento di azienda, tale requisito deve sussistere, per il datore di
lavoro subentrante, nel periodo decorrente dalla data del predetto trasferimento. Ai fini dell'applicazione del
presente comma vengono computati anche gli apprendisti ed i lavoratori assunti con contratto di formazione
e lavoro.
Anche questa disciplina riguarda le imprese medio-grandi (più di 15 dipendenti).
19
2. La richiesta di intervento straordinario di integrazione salariale deve contenere il programma che
l'impresa intende attuare con riferimento anche alle eventuali misure previste per fronteggiare le
conseguenze sul piano sociale. Il programma deve essere formulato in conformità ad un modello stabilito,
sentito il Comitato interministeriale per il coordinamento della politica industriale (CIPI), con decreto del
Ministro del lavoro e della previdenza sociale. L'impresa, sentite le rappresentanze sindacali aziendali o, in
mancanza di queste, le organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori più rappresentative operanti
nella provincia, può chiedere una modifica del programma nel corso del suo svolgimento.
3. La durata dei programmi di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale non può essere
superiore a due anni. Il CIPI (ministero del lavoro) ha facoltà di concedere due proroghe, ciascuna di
durata non superiore a dodici mesi, per quelli tra i predetti programmi che presentino una particolare
complessità in ragione delle caratteristiche tecniche dei processi produttivi dell’azienda, ovvero in ragione
della rilevanza delle conseguenze occupazionali che i programmi comportano con riferimento alle
dimensioni dell’impresa, della sua articolazione nel territorio.
Comma 2 e 3 —> ci dicono che quello che è individuato come presupposto per l’applicazione della
disciplina in materia di cassa integrazione è la costruzione di un programma che l’impresa intende attuare.
Un programma che ha la funzione di ristrutturare, riorganizzare o convertire l’azienda. Quindi in realtà
quello che viene fatto quando viene fatta una domanda di cassa integrazione è un programma di modifica
dell’azienda, perché il presupposto è che l’azienda chiede l’intervento del ministero perché si impegna a
cambiare qualcosa e dunque l’intervento della cassa integrazione è un intervento che serve per quel tempo
(massimo 2 anni) a supplire alle carenze che l’impresa ha in questo momento. Quindi, sostanzialmente
l’imprenditore chiede al ministero di pagare una parte di salari, perché nei prossimi due anni cercherà di
riconvertire, modificare, riorganizzare la mia attività. È uno scambio: io mi impegno a cambiare
l’organizzazione produttiva, tu mi sostieni per un certo periodo.
A cosa serve la durata predeterminata della cassa integrazione? Due anni con solo due proroghe in casi
eccezionali. Serve a far sì che l’intervento non si trasformi in un sostegno a tempo indeterminato. Quindi è
legato alla temporaneità.
5. La durata del programma per crisi aziendale non può essere superiore a dodici mesi. Una nuova
erogazione per la medesima causale non può essere disposta prima che sia decorso un periodo pari a due
terzi di quello relativo alla precedente concessione.
Esistono anche programmi legati alle crisi aziendali e in questo caso la durata è limitata ai 12 mesi —>
programmi che non legati al miglioramento, ma alla difesa —> sono in crisi. Ti faccio un programma per
cercare di uscire dalla crisi (comma 5, art. 1)
quindi, in teoria, l’intervento della cassa integrazione è funzionale al recupero dell’impresa. Nasce con l’idea
che l’impresa ha bisogno per un po’ di tempo (massimo 2 anni; massimo 1 anno) dell’intervento dello Stato
per uscire da una condizione di difficoltà.
Il controllo che il ministero svolge è un controllo legato a determinate causali.
Quindi significa che il ministero esercita un controllo sulla richiesta. Però è una strumentazione di verifica
sostanzialmente burocratica: certo, il ministero del lavoro è in grado di verificare se l’impresa dice il falso, se
l’ipotesi di programma è ragionevole o impossibile, ma il giudizio che il ministero dà è un giudizio su quanto
l’impresa si impegna a fare per tornare ad un certo livello nel tempo successivo.
Non c’è un vero controllo sui presupposti causali fondativi dei recessi, anche perché è un controllo che si
esercita sul piano di azione che l’impresa pone in essere in vista del reimpiego dei dipendenti —> la cassa
integrazione è un intervento fisiologico legato alla ripresa dell’impresa, ma poi durante o al termine della
cassa integrazione, se l’impresa non è stata in grado di reimpiegare i propri lavoratori, allora c’è la strada dei
licenziamento collettivo.
Quindi … Cassa integrazione, solitamente, è prodromica ai licenziamenti collettivi, ma nel senso che in
teoria la cassa dovrebbe evitarli e invece nella pratica, molto spesso, è semplicemente l’anticamera dei
licenziamenti collettivi. 20 27/08
Legge 223/1991 —> legge che costituisce una disciplina procedurale che coinvolge molti attori, quando i
licenziamenti non si esauriscono nella prospettiva del rapporto individuale, ma si proiettano come
conseguenze sul terreno della collettività. Dunque sono licenziamenti numerosi rispetto all’impatto sociale
che possono provocare.
Quindi … diverse tecniche legislative, ma uno stesso filo conduttore che è quello di limitare il recesso
dell’imprenditore.
- dal recesso libero (modello del codice)
- Ad un recesso vincolato attraverso diverse tecniche legislative, talvolta operanti sul piano dei presupposti
sostanziali (giusta causa, giustificato motivo), talaltra operando sul piano delle regole procedurali.
Step necessari da seguire. Formalità che possano consentire un’adeguata tutela dei soggetti coinvolti.
Questo è lo scenario delle norme che fino agli anni ’90 caratterizzano il nostro paese.
A partire da quella data comincia un dibattito sempre più forte, non solo di tipo tecnico-giuridico, spesso
anche di tipo politico e sindacale, che spinge alla revisione di quella disciplina. È come se si fosse raggiunto
il culmine: una disciplina che parte sostanzialmente senza protezione (codice civile), una disciplina che negli
anni (1966, 1970, 1990, 1991) arriva fino al suo culmine e poi da lì in avanti si comincia a discutere del fatto
che la legislazione italiana, il modello italiano è troppo rigido, troppo protettivo.
Qualcuno dice, per esempio, che dopo la legge 223/1991 i licenziamenti sono impossibili. È talmente forte
la protezione che l’ordinamento offre alle persone che lavorano, talmente ampia la tutela, che è impossibile
licenziare.
Qualcuno dice che questa situazione provoca un ingessamento delle imprese:
qualche economista, in quegli anni, comincia a dire “guardate che le imprese italiane non assumono, non
creano lavoro, perché la disciplina dei licenziamenti è troppo protettiva. Non si licenzia nessuno, quindi non
si assume nessuno. —> tesi economica (oggi poco seguita): un trade-off, uno scambio fra il numero di
assunzioni, la capacità di creare lavoro con la disciplina dei licenziamenti.
Studi dicono che quando la disciplina dei licenziamenti è molto rigida il sistema economico non produce
posti di lavoro.
A partire dagli anni ’90 si instaura una discussione pubblica molto forte sul fatto che questa disciplina sia in
realtà talmente carica di valore e di protezione da essere giunta fino ad un punto troppo elevato. Si citano
altre situazioni in cui la disciplina sui licenziamenti è molto meno protettiva.
Caso paradigmatico: negli Stati Uniti vige un modello nel quale è sempre esistito e ancora oggi, per lo più,
il sistema è incentrato sull’idea dell’”employment at will” = il recesso libero.
È vero che gli Stati Uniti sono un paese, un ordinamento giuridico nel quale è molto facile essere licenziati,
ma è anche vero che in quel paese il mercato del lavoro è molto più dinamico, per cui così come è più facile
essere licenziati, è più semplice trovare lavoro, costruire un’impresa, mettere in piedi una start-up.
Quello che accade in Italia in quegli anni è constatare il fatto che esistono ordinamenti in cui la disciplina dei
licenziamenti è ancora al livello del codice, eppure l’economia funziona, il mercato del lavoro crea occasioni
per tutti.
In Europa la situazione è differente: la Germania e la Spagna hanno sempre avuto una disciplina simile a
quella italiana, quindi è difficile dire che l’Italia costituisce un modello diverso dagli altri
ordinamenti/sistemi giuridici europei. Però è vero che quella protezione, soprattuto quella relativa all’art 18
successiva alle modifiche del ’90 (norma che prevede, in caso di recesso ingiustificato, la tutela
reintegratoria con il risarcimento aggiuntivo e con l’opzione assegnata al prestatore di lavoro di scegliere se
rientrare a lavoro o se chiedere in cambio della reintegrazione 15 mensilità di retribuzione) esiste solo
nell’ordinamento italiano.
Discussione su questa presunta rigidità: anni storici in cui l’Italia è in grande difficoltà. Passaggio dalla
prima alla seconda repubblica. Anni ’90 (crollo dei partiti tradizionali, la prima grande crisi politica italiana,
l’Italia rischia di essere fuori dall’Europa 1992-1993) —> tutti i governi che si danno il cambio a partire da
21
quella stagione (1994 in poi) mettono al punto del loro programma elettorale l’obiettivo di cambiare le regole
sui licenziamenti. Sono troppo rigide. Cambiamo l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Diamo alle imprese
maggiore flessibilità.
Nessun governo riesce a modificare le regole in materia di licenziamento, perché manca il consenso politico
generale, la maggioranza. In parlamento questa maggioranza non è così compatta.
Quindi .. negli anni ’90, momento in cui ci sono dei governi di centro-destra e centro-sinistra che si alternano
e che discutono sulla necessità di cambiare queste regole, ma non arrivano mai al punto di cambiarle.
Diversi progetti, diversi disegni di legge in Parlamento, che non arrivano mai fino all’approvazione
definitiva. Questo si ripete fino a tutti gli anni 2000, finché ad un certo punto si riscontrano le condizioni
politico-economiche perché possa avvenire una revisione del modello —> questa revisione avviene in
particolare con una legge approvata da una compagine politica che in quel momento si caratterizza per
esprimere un governo tecnico:
legge del 28 giugno 2012, n. 92 = LEGGE FORNERO
Dopo anni di governi politici, un governo tecnico fa quello che tanti governi politici avevano detto di voler
fare, ma non avevano mai fatto. Cambia la disciplina dei licenziamenti.
Oggi abbiamo una soluzione di continuità, una linea, una cesura, che collochiamo in questo momento
storico, ossia nel 2012. Momento nel quale per la prima volta, dopo molti anni di discussione, si inverte la
rotta. Il modello protettivo, le regole che sono aumentate nel tempo cominciano a calare in termini di
protezione. Si inverte la tendenza.
Cambia lo scenario economico : l’Italia è di nuovo in una situazione di grande difficoltà (come negli anni
’90).
È quello che accade anche sul terreno delle pensioni, perché infondo la legislazione Fornero fa la stessa cosa
anche sul terreno pensionistico: approva una riforma che nessun governo politico aveva mai approvato
prima. Molto radicale, molto forte, proprio perché il sostegno tecnico e per la capacità tecnica (il fatto di non
avere necessità di scendere a compromessi politici) consentono di farlo.
La legge Fornero (legge 92/2012) si occupa di varie cose e questo lo si capisce dal titolo: Disposizioni in
materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita
L’idea alla base di questo provvedimento legislatore è quella di cambiare le regole del mercato del lavoro per
provare a innescare dei cambiamenti in termini di crescita economica.
Tra queste norme ve ne sono alcune che toccano la materia dei licenziamenti. Per il legislatore del 2012
l’idea di sostenere la crescita passa anche attraverso il cambiamento della disciplina dei licenziamenti.
Art. 1 Disposizioni generali, tipologie contrattuali e disciplina in tema di flessibilità (licenziamento) in
uscita e tutele del lavoratore
Comma 1, lett.c) Ridistribuendo in modo più equo le tutele dell'impiego, da un lato contrastando l’uso
improprio e strumentale degli elementi di flessibilità progressivamente introdotti nell'ordinamento con
riguardo alle tipologie contrattuali; dall'altro adeguando contestualmente alle esigenze del mutato
contesto di riferimento la disciplina del licenziamento, con previsione altresì di un procedimento
giudiziario specifico per accelerare la definizione delle relative controversie;
In questo principio c’è il trade-off della legge Fornero. C’è lo scambio politico-tecnico che sta alla base della
legge.
Qual è il congegno che viene messo in piedi?
• per un verso, contrastare l’uso improprio delle tipologie contrattuali —> per esempio, irrigidire l’uso delle
collaborazioni autonome. La legislazione Fornero è il momento in cui si comincia a dire “no, non possiamo
consentire che vi siano collaborazioni autonome che hanno i caratteri del lavoro subordinato, quindi
eterodirezione o potere che assomiglia a quello del lavoro subordinato”: quindi, restrizione nell’uso delle
figure contrattuali.
• Adeguare la disciplina in materia di licenziamento —> alleggerimento di questa disciplina. Adeguamento
= alleggerire la tutela 22
• infine, prevedere una tecnica processuale, un percorso giudiziario, un processo più rapido. Tant’è che da qui
in avanti si comincerà a parlare di licenziamento di "rito Fornero” = particolare procedura giudiziaria che
rende più veloci i processi in materia di licenziamento
1. Restringiamo l’uso dei contratti impropri;
3. Abbassiamo la tutela in materia di licenziamento;
4. Facciamo un processo più veloce.
Norme che sono contenute in questa legge e in particolare in questo art. 1, che riguardano la disciplina in
materia di licenziamento. Norme molto articolate.
Dal punto di vista della tecnica legislativa, la legge Fornero cambia le norme precedenti. Cambia la legge
604/1966, l’art. 18 Statuto dei lavoratori (legge 300/1970), quindi modifica e abroga le norme precedenti.
Noi ora dobbiamo sostituire questa modifica ai testi delle norme che abbiamo preso in considerazione.
Art. 1, commi che cominciano dal 37 in poi:
Art. 1, comma 37. Il comma 2 dell'articolo 2 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente: «2.
La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato».
Il comma 2, legge 604/1996 prevedeva la comunicazione per iscritto del licenziamento; termine per
richiedere i motivi all’imprenditore e poi ulteriore termine per comunicare i motivi —> formalizzazione
progressiva —> legge Fornero semplifica: quando licenzio devo contestualmente comunicare anche i motivi
per cui licenzio. Questo accorcia quel tempo che fino al 2012 poteva sussistere fra l’atto di recesso e la
formalizzazione dei motivi del recesso.
Modifiche art. 18 Statuto dei lavoratori:
Art. 1, comma 42. All'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) la rubrica e' sostituita dalla seguente: «Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo»;
Rubrica art. 18 legge 300/70 = Reintegrazione nel posto di lavoro —> tecnica reintegratoria = reintegrare nel
posto di lavoro —> la rubrica cambia. Si effettua una modifica concettuale: significa che la reintegrazione
non ha più la valenza del 1970, infatti la legislazione Fornero toglie valore alla reintegrazione, che non è più
la tecnica principale. La reintegrazione diventa una possibile tecnica di tutela.
b) i commi dal primo al sesto (dell’art. 18) sono sostituiti dai seguenti: «Il giudice, con la sentenza con la
quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ai sensi dell'articolo 3 della legge 11
maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell'articolo 35 del codice
delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, ovvero in
violazione dei divieti di licenziamento di cui all'articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile ad altri casi di
nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del
codice civile, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore
nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei
dipendenti occupati dal datore di lavoro.
Tecnica: il giudice quando accerta una serie di situazioni ordina al datore di lavoro —> questo ordine è
costruito come nella vecchia disciplina dell’art. 18 (il giudice ordina al datore di lavoro, imprenditore o
datore di lavoro).
Il giudice ordina al datore di lavoro la reintegrazione nel posto di lavoro, a prescindere che sia imprenditore o
non imprenditore, a prescindere dal motivo formalmente addotto, a prescindere dal numero di dipendenti
occupati —> dunque questa è la reintegrazione.
I casi sono:
• Discriminazione (fondate su sesso, orientamento sessuale, lingua, razza, religione, ecc; fondate
sull’appartenenza ad un genere; legate alla maternità/paternità)
• altri sasi di nullità : licenziamenti fondati su motivi illeciti
23
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