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Stando alla sua etimologia, che deriva dall'avverbio tardolatino cotidie, il termine quotidiano
significa " ogni giorno ", " ciò che accade ogni giorno ".
Con questa accezione etimologica la categoria di vita quotidiana ha stentato ad affermarsi in
sociologia. Sulla difficoltà ha inciso la svalutazione della nozione operata dal romanticismo tedesco
a partire dagli inizi del xix secolo. La cultura romantica ha infatti inteso la vita quotidiana come
sfera banale di eventi ordinari, come tempo noioso, insensato, assurdo, ripetitivo.
Parallelamente, tuttavia, l'avvento del capitalismo industriale moderno e della borghesia favorisce
lo sviluppo del concetto perché si fa largo la convinzione che al di là di vecchie dicotomie - quali
vita mondana vs vita eterna, tempo feriale vs tempo festivo - non c'è che la vita quotidiana in
opposizione con il concetto di storia.
La difficoltà di affermazione dello studio sociologico della vita quotidiana ha però origine anche
all'interno della disciplina. La predominanza, per almeno tre decenni, del paradigma struttural-
funzionalista che privilegia le dimensioni strutturali e sistemiche della società, le dinamiche del
conflitto e del mutamento, ha causato un ridimensionamento del ruolo del soggetto e dell'insieme
delle micro dimensioni quotidiane dell'esperienza individuale e sociale. È solo con la crisi di questo
paradigma, che nel corso degli anni sessanta del Novecento, la sociologia inizia a riservare
maggiore attenzione allo studio delle micro interazioni della vita quotidiana.
Secondo Berger e Berger, compito della sociologia della vita quotidiana sia anche quello di
mettere a fuoco i modi della compenetrazione tra microcosmo e macrocosmo, intendendo con
quest'ultimo termine l'insieme delle strutture istituzionali di cui i soggetti umani fanno esperienza
per lo più indirettamente. Il macrocosmo delle istituzioni fa da sfondo al microcosmo quotidiano, il
cui senso può pertanto essere meglio compreso se contestualizzato all'interno dell'ordine
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istituzionale; di quest'ultimo, solo se ricondotto alle dimensioni quotidiane del microcosmo, è
possibile mettere a fuoco la realtà.
Scienza e tecnologia
È possibile definire la scienza come l'attività umana orientata in modo primario e sistematico alla
conoscenza, ovvero alla descrizione e spiegazione di eventi singolari o ricorrenti, naturali, sociali o
individuali.
Non si può comprendere il ruolo, ma neanche il concetto stesso di scienza, se lo si tiene distinto
da un altro tipo di sapere, la tecnologia. Essa identifica l'insieme delle competenze intellettuali, ma
anche e soprattutto pratiche, che permettono lo svolgimento delle attività umane.
Per molto tempo, la conoscenza tecnica ha proceduto in maniera separata rispetto alla
conoscenza speculativa della natura ( vale a dire quella che più si avvicinava all'attuale
conoscenza di tipo scientifico. Nel medioevo per esempio, si era soliti distinguere le cosiddette arti
liberali da quelle tecniche. Le prime, anche conosciute come arti umanistiche, erano la filosofia, la
poesia, la musica; erano dette liberali in quanto considerate proprie degli uomini liberi appartenenti
alle classi superiori; erano dunque contrapposte a quelle tecniche, tipiche, invece dei servi, degli
schiavi e in genere delle persone appartenenti alle classi sociali inferiori.
A dispetto di questa immagine umile, il sapere tecnico nel corso dei secoli si è distinto per la
capacità di innovare e dare soluzioni a grandi problemi di adattamento dell'umanità al proprio
ambiente. Per esempio, nel corso dei secoli, le tecniche agricole sono state continuamente
migliorate ed hanno reso la lavorazione della terra sempre più agevole e la produttività sempre più
alta.
Si parla di Rivoluzione scientifica per mettere in evidenza come ad un certo punto della storia le
pratiche di conoscenza che avevano per oggetto la natura, di tipo speculativo e teoretico, si siano
saldate con le conoscenze tecniche, con le arti e con i mestieri.
L'epoca moderna è stata caratterizzata dall'unione di sapere scientifico e di sapere tecnico. Con
ciò è stato possibile i livelli di prosperità e benessere che in precedenza non potevano neanche
essere immaginati.
La nascita della Scienza nuova, che coincide con quella fase in cui il lavoro dei teorici, dei
matematici, e dei logici ( o dei filosofi naturali ) entra in contatto con quello dei tecnici, segna un
nuovo modo di intendere la conoscenza.
Alla segretezza e all'esoterismo del passato, tipici delle botteghe delle arti e dei mestieri, si
sostituisce il carattere pubblico e condiviso della conoscenza, che deve essere sostenuto da un
comune linguaggio e da comuni metodi di verificabilità e replicabilità degli esperimenti.
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La costruzione sociale delle differenze
La teoria sulla costruzione sociale della realtà è stata formulata da Berger e Luckmann, entrambi
allievi di Alfred Schutz il quale sosteneva che non esistono fatti puri e semplici ma soltanto fatti
interpretati; ciò non significa che, l'individuo non è in grado di afferrare la realtà del mondo, ma che
si riesce a cogliere solamente certi aspetti di essa, cioè quelli che sono rilevanti.
Berger e Luckmann sostengono che la costruzione sociale della realtà sia il prodotto di due flussi:
da una parte, il movimento che dall'individuo verso la realtà esterna e che produce una realtà
oggettiva; dall'altra, il processo in cui questa realtà viene interiorizzata soggettivamente dagli stessi
individui. Processi di oggettivazione, da una parte, processi di socializzazione dall'altra.
Tuttavia, la costruzione sociale della realtà conferisce una particolare responsabilità all'individuo e
al suo agire: l'individuo è responsabile delle sue costruzioni della realtà.
Prima della definizione della realtà come costruzione sociale, i teorici della Scuola di Francoforte
avevano ipotizzato un simile nesso tra individuo e realtà oggettiva, mettendo però l'accento sul
singolo individuo.
In merito, Adorno sottolinea la forza e la violenza dell'opinione, la quale viene ritenuta capace di
incidere sulla realtà. L'opinione è allo stesso tempo un giudizio dell'individuo e una rinuncia dello
stesso a conoscere il proprio oggetto di conoscenza. Come tale l'opinione tende a creare opinione,
vale a dire imporsi ad altri. Le opinioni tendono a sostituirsi alla conoscenza e a rinforzare i
pregiudizi.
Un altro approccio è quello delle rappresentazioni sociali di Moscovici. L'individuo, nel relazionarsi
col mondo oggettuale, percepisce la realtà, ovvero le da forma, la afferra, se ne appropria, gli
attribuisce dei significati. L'attività di percezione, non si svolge nel vuoto ma fa riferimento ad un
patrimonio di immagini, nozioni, rappresentazioni sociali preesistenti.
Questo significa che non ci arrivano mai delle informazioni circa oggetti e persone che non siano
state distorte da rappresentazioni sovrimposte, ereditate, quali possono essere immagini,
memorie, nozioni.
Il nostro modo di percepire ciò che ci circonda non è né neutrale, né privo di presupposti che
risiedono nell'ambiente in cui viviamo, nelle credenze diffuse, nella tradizione.
Sul piano filosofico e su quello psicologico, percepire la realtà è anche ed intrinsecamente
percepire le differenze: se un oggetto è percepito come qualcosa, ciò avviene perché se ne coglie
la differenza rispetto ad altro.
Sul piano sociologico, questa osservazione è insufficiente. Il concetto di differenza assume senso
sociologico in rapporto con quello di uguaglianza. Storicamente, la dialettica tra uguaglianza e
differenza si diffonde in Occidente nel Settecento, a partire dalla Rivoluzione francese che ha
portato all'affermazione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte allo Stato.
Prima della Rivoluzione francese la differenza era legata alla gerarchia, ovvero un modo di
organizzare la vita sociale basato sul rango, sulla nascita piuttosto che sull'autorità e conforme a
un disegno ritenuto di carattere divino.
Con la Rivoluzione francese e l'affermarsi del principio di uguaglianza, le nuove differenze, anziché
essere attribuite a un ordine divino, vengono ancorate a doti naturali, caratteristiche semantiche
investite di scientificità e sulla base delle quali si giustificano le differenze sociali.
Questo perché non tutti desiderano essere uguali, e per quanto il principio di uguaglianza sia
un'aspirazione umana, questa non è priva di ambivalenze. E tale ambivalenza nasce dal fatto che
l'insofferenza per le disuguaglianze palesi non comporta automaticamente l'adesione al principio di
uguaglianza: il risentimento contro i detentori di privilegi non diventa necessariamente risentimento
contro il privilegio in sé; molta gente preferisce essere superiore ad alcuni e inferiore ad
altri,piuttosto che uguale a tutti.
Sino e per tutti gli anni 50 del '900 la sociologia si è limitata a studiare innanzitutto le
disuguaglianze inerenti la stratificazione sociale - e quindi le differenze di classe - e quelle
riguardanti la differenziazione funzionale - e quindi le differenze fra gruppi professionali o fra ambiti
istituzionali - mentre le differenze costruite a partire del sesso e della razza sono state sino ad
allora poco tematizzate. 24
La svolta sul piano teorico, si ha con la formulazione della realtà come costruzione sociale da parte
di Berger e Luckmann. Un'ulteriore spinta teorica, a partire dalla metà del xx secolo, viene dalla
cosiddetta svolta linguistica. Nuovi studi enfatizzano il ruolo della lingua e del linguaggio nella
costruzione sociale della realtà, nella formazione delle rappresentazioni sociali.
Il linguaggio non viene considerato come un medium neutrale; la percezione delle realtà non è in
nessun caso neutrale, ma è sempre mediata dal linguaggio adoperato per coglierla.
La realtà è, quindi, il risultato dell'incontro tra il dato naturale, le istituzioni del contesto sociale e le
forme linguistico-culturali attraverso cui rappresentiamo sia le cose natura,e sia le strutture sociali.
Ciò che non siamo in grado di nominare tende a sfuggirci; d'altro canto, più disponiamo di
strumenti linguistici e capacità cognitive, e meno la realtà ci verrà incontro come cosa.
La differenza ha diversi significati:
- indica una realtà empirica, ovvero un dato biologico o fisico;
- è un principio che struttura la percezione;
- è un attitudine politica ( le società moderne fanno derivare uno statuto differente rispetto a diritti
doveri