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OSSERVA
Ritiene il giudice che, alla stregua delle produzioni documentali di parte ricorrente e delle difese
svolte, debba essere affermato che il comportamento di cui al ricorso, tenuto dal datore di lavoro
XY, sia antisindacale.
Qui il giudice comincia a farci un piccolo riepilogo di che cos’è l’antisindacalità. Qui troviamo una
serie di elementi utili per riassumere i tratti essenziali dall’antisindacalità.
Occorre premettere che, a norma dell’art. 28 della L. n. 300/1970 la condotta antisindacale si
ravvisa in un comportamento del datore di lavoro “diretto ad impedire o limitare l’esercizio della
libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero”. È stato più volte chiarito che non
ogni comportamento del datore di lavoro contrario agli interessi del sindacato integra una
“condotta antisindacale” ma tali possono ritenersi unicamente quei comportamenti che siano diretti
ad eliminare, impedire o limitare la dialettica tra parti sociali così precludendo la possibilità di quel
confronto a cui l’ordinamento demanda la sistemazione dei contrapposti interessi delle parti stesse
(cfr. Cass. n. 207/1990).
Inoltre è sufficiente che il comportamento controverso leda oggettivamente gli interessi collettivi di
cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario (ma neppure sufficiente) uno
specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro né nel caso di condotte tipizzate perché
consistenti nell’illegittimo diniego di prerogative sindacali (quali il diritto di assemblea, il diritto
delle rappresentanze sindacali aziendali a locali idonei allo svolgimento delle loro funzioni, il diritto
ai permessi sindacali), né nel caso di condotte non tipizzate e in astratto lecite, ma in concreto
oggettivamente idonee, nel risultato, a limitare la libertà sindacale, sicché ciò che il giudice deve
accertare è l’obiettiva idoneità della condotta denunciata a produrre l’effetto che la disposizione
citata (art. 28) intende impedire, ossia la lesione della libertà sindacale e del diritto di sciopero.
Questo giudice accoglie una nozione di comportamento antisindacale molto oggettivata: dice
chiaramente che per lui è antisindacale quel comportamento che lede oggettivamente gli interessi
collettivi e che quindi non conta indagare l’intento lesivo. È chiaro che qui il giudice sta guardando il
comportamento per i suoi effetti oggettivi, non per la dimensione soggettiva.
Questa posizione giurisprudenziale è molto diversa da quella del tribunale di Bologna.
Poi il giudice aggiunge un elemento interessante: l’oggettiva lesione delle prerogative sindacali è
elemento necessario e sufficiente per integrare l’antisindacalità sia nel caso di condotte tipizzate sia nel
caso di condotte non tipizzate. 136
CONDOTTE TIPIZZATE = quelle prese in considerazione per lo più dallo statuto dei lavoratori
(art. 20,diritto di assemblea; art. 19, diritto alle rappresentanze sindacali aziendali). Per questo
giudice “condotte tipizzate” sono quelle situazioni che vengono considerate in via diretta da
una norma di legge (in particolare dalle norme del titolo III dello statuto)
Mentre invece la seconda ipotesi che per questo giudice viene trattata come la prima è relativa a
CONDOTTE NON TIPIZZATE, che in concreto producano la lesione della libertà sindacale.
Il giudice sta dicendo che possono esistere anche condotte, situazioni, fattispecie concrete non
elencate nelle norme dello Statuto o in altre norme, che però per come si manifestano potrebbero
ledere gli interessi sindacali . Esempio: violazione di una norma del contratto collettivo non è
una condotta antisindacale tipizzata, non c’è una norma di legge che dica “se violi un contratto
collettivo ledi una prerogativa sindacale” (il primo caso visto). Diventa una condotta
antisindacale quando, secondo la giurisprudenza, è sistematica, quando è ripetitiva.
Condotte che in astratto non sono antisindacali, ma in concreto lo diventano (violare dieci
volte il contratto collettivo diventa condotta antisindacale)
Dice però il giudice che a suo avviso quello che deve essere oggetto di valutazione è l’obiettiva
idoneità della condotta a ledere l’interesse sindacale. Quindi questa giurisprudenza, quella
corrispondente a queste sentenze di Cassazione e questa decisione del tribunale di Napoli, guarda
alla dimensione oggettiva del comportamento antisindacale.
Inoltre, la struttura stessa della procedura d’urgenza oggi in esame postula che la condotta
antisindacale sia in atto al momento della pronunzia giudiziale ed in questo senso il requisito
della attualità si configura come condizione di accoglibilità del ricorso (riferimento a sentenze
della Cassazione).
Il giudice qui vuol far riferimento all’idea che la condotta antisindacale è uno strumento che serve a
reprimere una situazione in atto, una situazione che sta producendo i suoi effetti nel momento in
cui si chiede l’intervento del giudice stesso REQUISITO DELL’ATTUALITÀ = chiedere
l’intervento del giudice per una cosa che continua a darti danno, non per qualcosa che ha smesso di
darti danno. Esempio concreto: questo sindacato non ha ricevuto le trattenute per qualche mese. Poi
comincia a riceverle. L’imprenditore comincia a versare regolarmente i contributi operando la
trattenuta. Se il ricorso fosse fatto in quel momento mancherebbe di attualità e quindi il giudice
respingerebbe.
Il 28, in altre parole, non è uno strumento per riparare a danni provocati dalla condotta altrui, ma è
uno strumento volto a riparare danni provocati dalla condotta altrui quando questi danni
sono attuali, si stanno continuando a verificare, quando gli effetti sono presenti nel momento
in cui il ricorso viene depositato.
Il giudice aggiunge che il ricorso ex 28 non è precluso dal fatto che l’azione si sia ormai esaurita
solo quando la stessa appare espressione di una condotta non meramente episodica, ma destinata
oggettivamente a ripetersi e persistere nel tempo con conseguenti e durevoli ripercussioni
negative sulla libertà e attività sindacale (cfr. Cassazione).
137
Non è un problema di condotta esaurita (l’imprenditore non ha versato le trattenute). È un problema
di effetto che la condotta produce: non le ha versate e quindi continuerà a non versarle.
Se l’imprenditore non le ha versate per due mesi e poi ha cominciato a versarle e sono tre mesi che
le versa: in questo secondo caso manca l’attualità; nel primo caso, invece, l’attualità c’è.
Alla luce dei principi giurisprudenziali enunciati è possibile affermare che la definizione della
condotta antisindacale […].
In questo decreto il giudice distingue nettamente:
a. una prima parte ricostruttiva della fattispecie (che cos’è il 28; la norma; cosa dice la
giurisprudenza principale);
b. una seconda parte la cui frase di partenza è “nel caso sottoposto all’esame del giudice”.
Secondo questo giudice questo comportamento ha due dimensioni di antisindacalità:
- la prima dimensione è più legata al singolo (lede il diritto del singolo a versare i contributi
attraverso questo meccanismo, quello della trattenuta): […] pregiudica, infatti, il diritto
individuale del lavoratore di scegliere liberamente il sindacato a cui aderire (anche in
relazione alla concreta efficacia delle azioni a tutela dei lavoratori dallo stesso poste in
essere).
- la seconda più legata all’interesse del sindacato (interesse ad avere i mezzi di
finanziamento): […] pregiudica il diritto del sindacato stesso di acquisire dagli iscritti i
mezzi di finanziamento necessari per lo svolgimento delle attività istituzionali.
Tornando all’art. 39, primo comma, Costituzione: l’organizzazione sindacale è libera. Dentro
questa protezione c’è sia la protezione del singolo che la protezione del soggetto collettivo.
Poi il giudice comincia ad analizzare il caso concreto alla luce degli elementi che ha a disposizione.
La Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 28269/2005) ha avuto modo di precisare che l’esito
del referendum del 1995 – che ha abrogato i commi secondo e terzo dell’art. 26 della L. n.
300/1970 lasciando in vigore il primo comma di detto articolo sull’autonomia sindacale del
singolo lavoratore - non ha determinato un divieto di riscuotere le quote associative sindacali a
mezzo di trattenuta sulla retribuzione, ma ha semplicemente rimosso un obbligo previgente in tal
senso. […]
Da questo passaggio scopriamo una cosa importante: il secondo e terzo comma dell’art. 26 sono
stati abrogati dal referendum del 1995, lo stesso che ha amputato la lettera A dell’art. 19.
Quella norma, che nella versione originaria proteggeva direttamente le associazioni sindacali
dando loro un diritto alla trattenuta, non esiste più. La norma uscita dal referendum dice che
i lavoratori hanno il diritto di raccogliere contributi e di svolgere l’opera di proselitismo per le
loro organizzazioni sindacali. 138
Qual era l’intento dei referendari? Più o meno lo stesso che vi era nella proposta di abrogare
dell’art. 19. L’idea di togliere potere ai ai sindacati che più si giovavano di questo meccanismo.
L’idea di cambiare il modello rendendolo più aperto.
Il giudice cita una giurisprudenza di Cassazione a Sezioni Uniti del 2005 ed effettivamente quella
sentenza (28269/2005) è una sentenza importante. Le Sezioni Unite di solito intervengono per
dirimere contrasti giurisprudenziali (in particolare fra diverse sezioni della Cassazione) e questo è
uno dei casi : quello che i giudici in questa decisione del 2005 hanno detto è sostanzialmente che il
meccanismo dell’art. 26, secondo comma, non è scomparso. Hanno detto che questo meccanismo
non è più configurato come obbligo legale. Nella versione originaria dell’art. 26, secondo comma,
il meccanismo era costruito veramente come UN RAPPORTO FRA DIRITTO ED OBBLIGO (le
associazioni sindacali hanno DIRITTO di percepire il che significa che i datori di lavoro hanno
l’obbligo di versare).
Il giudice del 28 nel 2011 ci dice che il referendum non ha determinato un divieto di riscuotere le
quote associative a mezzo di trattenuta sulla retribuzione, ma semplicemente rimosso un obbligo
previgente in tal senso.
Quindi … la scomparsa del secondo comma dell’art. 26 dello Statuto non significa che non ci sia
più il meccanismo, significa che il meccanismo non è più obbligatorio.
Resta quindi ammissibile senza limitazioni il ricorso ad ogni strumento negoziale che consenta il