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Il restauro filologico in Italia
Alla fine dell'Ottocento in Italia, grazie a Camillo Boito, si assisterà alla nascita di un nuovo filone di pensiero, noto come restauro filologico. A partire dalla fine dell'Ottocento e successivamente per tutto il Novecento l'Italia in particolare si è distinta per aver ricoperto un ruolo centrale nel dibattito relativo alla disciplina del restauro.
Se si volessero indagare le condizioni che hanno favorito il passaggio, nel contesto italiano, da un approccio fortemente influenzato dal restauro stilistico francese a un nuovo approccio, quello appunto del restauro filologico, in primo luogo bisognerebbe evidenziare che in questa fase si prese coscienza del fatto che ogni monumento è figlio della sua storia, con tutte le sue stratificazioni e trasformazioni, si tratta di un unicum che non può essere rintracciato da nessun'altra parte. Questa considerazione porta chiaramente a ritenere inaccettabile l'approccio di Viollet-le-Duc e in
generale del ripristino stilistico, in quanto, se ogni monumento è un caso a sé, non è possibile pensare di poter ricostruire le sue forme lacunose con uno studio analogico basato sul confronto con altri monumenti riconducibili allo stesso contesto storico-geografico e culturale. Inoltre, se Viollet-le-Duc esaltava esclusivamente il valore artistico e estetico dei monumenti, mentre John Ruskin quello storico e di memoria, nel contesto italiano, e in particolare con Boito, si arriverà ad una sintesi tra le due posizioni. Gli esponenti del restauro filologico, e in particolare la figura di Camillo Boito, traggono grande spunto anche dai principi enunciati dalla SPAB, la Society for the Protection of Ancient Buildings, presieduta da William Morris. In particolare, si riprende l'attenzione riservata al rispetto delle stratificazioni e al valore documentale delle opere. Contestualmente, come anche Viollet-le Duc sosteneva, si sottolinea l'importanza del conoscere.Puntualmente una fabbrica prima di intervenire su di essa, al fine di riuscire a stabilire con il maggior grado di sicurezza possibile la natura del testo originale, anche per riuscire a dare un giudizio circa le qualità oggettive delle opere. Si pongono dunque le basi per il concetto di giudizio del valore, tema che verrà poi trattato diffusamente da Alois Riegl e che verrà ancora più approfondito con il restauro critico. Già in questa fase, dunque, si cerca di valutare la fabbrica, di comprendere e stimare i valori di questa, in modo tale da decidere se debba essere oggetto di conservazione o eliminata. È facile intuire che ovviamente di fronte ad un'affermazione così ampia e allo stesso tempo così vaga, ovviamente gli esiti progettuali saranno molto vari e anche spesso contraddittori, compresi quelli portati avanti dallo stesso Boito. All'interno del pensiero filologico il monumento assume una natura bipolare, cioè
essoviene visto sia come opera d'arte che come documento di storia. Nonostante questa volontà di equiparare i due valori, cercando una posizione mediata tra la cultura francese e quella inglese, nella pratica ben spesso a prevelare sarà il solo aspetto legato alla volontà documentaria e di conservare la fabbrica nella sua essenza. Questo atteggiamento, che porterà spesso ad esiti anche discutibili, sopravvivrà in Italia fino agli anni Trenta, anche con il restauro scientifico di cui Giovannoni è uno dei massimi rappresentanti. In ragione di questa bipolarità imperfetta, il restauro filologico e poi quello scientifico verranno considerati come approcci troppo limitanti, in quanto non in grado di dare una risposta progettuale completa, che consideri compiutamente anche gli aspetti legati al valore estetico. 7.2 - Il IV congresso degli ingegneri e degli architetti italiani del 1883 Un momento molto importante per la definizione di una sorta diLa prima carta del restauro, come è considerata dalla letteratura di settore, è rappresentata dal IV congresso di ingegneri e architetti italiani che si tenne nel 1883. Questo congresso vide come protagonista certamente Boito, tanto è vero che il suo pensiero emerge in maniera netta all'interno del documento, diviso in sette punti. Infatti, i concetti fondanti del documento sono riscontrabili anche in un elenco che Boito stilerà personalmente più tardi.
La dichiarazione stilata alla fine del congresso, come detto, viene considerata una sorta di prima carta del restauro. Le carte del restauro non sono strumenti legislativi, non hanno un potere legislativo, non obbligano a fare una determinata cosa come invece può fare una legge o un decreto, ma danno un indirizzo, un elenco di concetti che servono e aiutano a guidare chi si occupa di restauro, proponendo una serie di precetti. Questo in particolare è un documento interessante.
Perché rappresenta una sintesi del pensiero maturato negli ultimi decenni dell'Ottocento in Italia. Più nel dettaglio, è un manifesto del pensiero filologico, che era la corrente largamente più diffusa nella nostra nazione a cavallo tra Ottocento e Novecento. I sette punti del documento affermano che:
- I monumenti devono piuttosto venire consolidati che riparati, piuttosto riparati che restaurati. Ci si ispira evidentemente, anche nella forma, all'assioma di Didron ma anche al pensiero di John Ruskin. Il restauro è l'operazione più forte, l'ultima a cui bisogna arrivare, mentre invece appare opportuno intervenire con operazioni di consolidamento e di riparazione più caute e meno invasive.
- Le aggiunte, se indispensabili, vanno realizzate secondo la maniera moderna. Evidentemente, dunque, ci si pone in maniera critica verso il pensiero di Viollet-le-Duc, appellandosi piuttosto al principio della distinguibilità.
Evidenza il fatto che documentare significa lasciar traccia anche di cose che non sono visibili, si pensi al caso di un muro celato da un intonaco. Solo in questo modo si può lasciare una testimonianza completa di quanto è stato fatto durante il restauro ai posteri, anche a quelli che potrebbero in futuro essere nuovamente chiamati ad intervenire sulla fabbrica.
Occorre apporre una lapide con data ed elenco delle principali opere realizzate. Questo è un elemento nuovo per il tempo, e in parte si riallaccia al punto precedente, cioè alla volontà di lasciare traccia e documentare ciò che è stato fatto. L'obiettivo, inoltre, è anche quello di chiarire, in maniera didascalica, cioè che è contemporaneo e ciò che appartiene alla preesistenza, secondo il principio di distinguibilità.
7.3 - Camillo Boito
Camillo Boito è certamente l'esponente più importante del restauro filologico. Fu
sicuramente uomo di vastissima cultura, architetto, poeta, scrittore, ha affrontato problemi sia di natura teorica che pratica. Egli nacque a Roma nel 1836 e morì a Milano nel 1914, è stato una delle figure più importanti e rappresentative dell'architettura e della cultura artistica italiana nella seconda metà del XIX secolo e dell'inizio del XX. Fu studente in Germania, Polonia, Padova, e all'Accademia di Venezia, dove appena conclusi gli studi rilevò la cattedra di architettura. Nel 1859, su minaccia di arresto da parte del governo austriaco, si trasferì a Milano dove, appena ventiquattrenne, succedette allo Schimd all'accademia di Brera, come docente per la cattedra di architettura, che mantenne per quarantotto anni. Nel corso della sua carriera ebbe come allievi diverse figure destinate a dare un contributo importante alla disciplina architettonica nei decenni successivi, come per esempio Beltrami, Moretti e Avena, masoprattutto Gustavo Giovannoni, padre del restauro scientifico. Boito ha riflettuto molto sul concetto di stile, avvicinandosi al pensiero di Viollet-le-Duc. Quest'ultimo esaltava lo stile Gotico, sostenendo che avesse la capacità di unire insieme un pregio artistico elevato con una grande razionalità, legata alla sua capacità strutturale. Boito amplia il ragionamento e tutti gli stili e afferma che ognuno di essi possiede un'ossatura logica più razionale che artistica, configurandosi come un organismo unitario. Un altro aspetto importante che mette in evidenza è la necessità che in architettura, nel momento in cui si interviene su una fabbrica, venga messo in evidenza il rapporto che esiste tra espressione e funzione, tra forma e funzione. Riprende cioè il concetto semperiano di "opera d'arte totale". Questa sua particolare convinzione sarà per altro ben manifesta in alcuni dei suoi interventi, quale in primo.luogo quella sul Palazzo Franchetti Cavalli, in altre occasioni invece i suoi risultati saranno ibridi e ben più incerti. D'altronde, Boito non viene considerato un architetto di enormi capacità per quanto riguarda le realizzazioni ex novo, invece il suo contributo teorico è senza dubbio imprescindibile, così come le sue abilità nell'intervenire sulle preesistenze sono indubbiamente più elevate. Boito considera il monumento come documento storico, connotato dal valore dell'autenticità. Inoltre, i suoi ragionamenti in merito al tema del restauro vengono ricondotti a un discorso più generale che considera l'architettura in senso vasto, il restauro cioè non viene considerato un tema di nicchia, scollegato dal più grande tema dell'architettura. Propone, infine, di volgersi al Medioevo per ritrovare un metodo, un linguaggio libero non soggetto a forme preconcette. Boito spesso ha contraddetto nellaPratica quanto affermato nella sua speculazione teorica, egli stesso ne era per altro consapevole, tanto da affermare che "si sa dove si principia, non si da dove si vada a finire".