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BMW.
Se questa causa fosse stata promossa in Italia, il risarcimento che Gore avrebbe potuto ottenere è
la differenza di prezzo tra l'auto nuova e l'auto venduta come usata.
Il tribunale dell'Alabama accerta la particolare riprovevolezza della condotta della BMW, la quale
ha cercato di ingannare i propri clienti. Tale condotta della BMW è dunque meritevole di danno
punitivo. Il risarcimento dovuto a Gore non è soltanto l'effettivo pregiudizio patrimoniale o non
patrimoniale da lui sofferto; non si tratta qui soltanto di riportare il danneggiato nella stessa
situazione in cui si sarebbe trovato se non vi fosse stato l'illecito. Il risarcimento, in questo caso, è
fornire a Gore una somma che punisce il danneggiante per la sua condotta particolarmente
scorretta.
Il tribunale dell'Alabama, per condannare la BMW, afferma che su quella nave stavano ad es. 1000
automobili. Ipotizzando un danno di 4000X1000, la BMW è condannata a risarcire a Gore 4 milioni
di dollari.
Ovviamente, la BMW ricorre in appello e la Corte suprema riduce la sanzione a 2 milioni di dollari.
La corte suprema federale, infine, conclude che la quantificazione del danno punitivo dev'essere
proporzionata all'effettivo pregiudizio. La suprema corte identifica con 2000 dollari l'adeguatezza
del danno punitivo a questo tipo di pregiudizio.
La causa si concluse con una transazione, per cui la BMW ha pagato a Gore 50000 dollari.
Il dannno punitivo è un concetto che in Italia non esiste e non è riconosciuto dalla giurisprudenza.
Secondo Sacco, già in Italia non esiste la possibilità di ristorare la parte con qualcosa in più a
causa del comportamento scorretto dell'altra. Già mancando questa possibilità ed esistendo
soltanto la possibilità di ottenere il ristoro della posizione in cui ci si trovava prima dell'illecito, a
maggior ragione, questo ristoro, dev'essere realizzato nella forma migliore possibile per il
danneggiato, cioè mediante la rimozione del contratto che ha cagionato il danno, ossia il ristoro in
forma specifica.
Dunque, la parte che subisce le conseguenze del comportamento scorretto dell'altra, può non
limitarsi a chiedere il risarcimento del danno per equivalente, ma anche il risarcimento del danno in
forma specifica.
Nei casi di mala sanità, il giudice condanna ad es. l'ospedale al pagamento di:
1. 100000€ per il danno biologico, poiché l'invalidità causata è del 70% e viene quantificata
secondo le apposite tabelle, nella cifra appena indicata;
34. danno da perdita della capacità lavorativa, calcolato in base ad una stima di quanto il
soggetto avrebbe guadagnato se avesse potuto lavorare per tutta la vita;
35. Danni morali, cioè non patrimoniali, i quali non possono essere quantificati in modo
meccanico, ma devono essere valutati in via equitativa.
Vari sono stati i criteri elaborati dalla giurisprudenza per il calcolo del danno morale. Secondo il
tribunale di Milano, per molti anni, si è ritenuto che il danno morale dovesse essere quantificato
nella misura di 1/3 rispetto al danno biologico.
La Cassazione ha abbandonato questo criterio e lascia alla discrezionalità del giudice il compito di
stabilire l'importo del danno non patrimoniale.
Tuttavia, in questo caso, non si tratta di danni punitivi, ma sono sempre danni che hanno, quale
obiettivo, quello di ristorare il danneggiato e le sue sofferenze sia patrimoniali che non patrimoniali.
7. Vi sono situazioni, come quella della rescissione, dove invece non vi è spazio per gli artt. 1337 e
2058. In queste situazioni, Sacco afferma che il legislatore ha inteso fissare una soglia, sotto la
quale va esclusa ogni discussione.
Nel caso della soglia della lesione ultra dimidium, ove la lesione non superi la soglia di oltre la
metà, il legislatore ha assegnato al vizio una soglia di rilevanza, per evitare che il contratto
comporti uno strascico stragiudiziale e giudiziale di lagnanze, rivendicazioni e rimostranze.
Nel caso della soglia della lesione ultra dimidium, sotto la soglia non v'è spazio per l'applicazione
dell'art. 1337. Infatti, secondo sacco è chiaro che l'intento del legislatore sia proprio quello di
chiudere la porta ad ogni rivendicazione e doglianza, che si presterebbe a discussioni lunghe e
difficili, anchhhe in ragione della natura del vizio, che è difficilmente accertabile.
8. Fin qui si è dato per scontato che, quando si parla di vizio del consenso, il vizio riguardi il
contratto. Il vizio, tuttavia, potrebbe riguardare anche le singole dichiarazioni dei contraenti, cioè i
singoli costituenti del contratto (es.: proposta e accettazione).
I vizi che cadono sulle singole dichiarazioni fanno sì che sia necessario distinguere il modo di
trattamento:
1. A invia a B una proposta contrattuale. Questa proposta non a alcun termine per l'accettazione e,
non essendo altrimenti specificato, deve intendersi revocabile dal proponente. Nelle more della
risposta di B, prima cioè che B dichiari se intende accettare o meno la proposta, A, con artifici e
raggiri, induce B a rifiutare. A propone ad es. a B di acquistare una casa al prezzo di 100;
successivamente si pente e, per indurre B al rifiuto, dice che la casa è vecchia, affermando che
vi sono perdite nei muri. Si tratta qui di dichiarazioni mendaci fatte a B, allo scopo di indurlo a
rifiutare la proposta. Ci si chiede se B, una volta resosi conto dell'inganno, possa fare qualcosa
nei confronti di A. Secondo il docente, è vero che A ha posto in essere un raggiro, ma è
altrettanto vero che A aveva la facoltà di revocare la proposta. Dunque, l'effetto che A ha
ottenuto con un comportamento scorretto è del tutto corrispondente ad un effetto che A
legittimamente avrebbe potuto ottenere se avesse revocato la proposta. Ad avviso di Sacco, in
questa situazione, , B non può fare nulla, perché B non ha subito un danno ingiusto. L'ingiustizia
del danno manca perché inn realtà, A avrebbe potuto revocare la sua proposta. Il fatto che B
non abbia potuto concludere il contratto non è da considerarsi una lesione ingiusta nei suoi
confronti. A, infatti, aveva ogni diritto di non concludere quel contratto, semplicemente
revocando la proposta.
36. Diverso sarebbe se la proposta di A fosse irrevocabile; in questo caso, infatti, se A si è
impegnato ad es. a mantenere ferma la proposta per 7 giorni e dopo 3 giorni induce B con
l'inganno a rifiutare la proposta, qui c'è danno ingiusto. Sacco afferma che B può chiedere
certamente il risarcimento, ma tale risarcimento potrà essere in forma specifica. Ciò significa che
B potrà ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto che sarebbe stato concluso
se non vi fosse stato l'inganno di A.
Dunque, la manipolazione dei costituenti del contratto può anch'essa portare a rimedi risarcitori,
anche in forma specifica. Ciò dipende dalla situazione che si viene a verificare nel caso concreto.
Nel primo esempio, non vi erano spazi per la tutela di B, poiché il danno di B non era un danno
ingiusto. Nel secondo esempio, invece, trattandosi di proposta irrevocabile, il danno di B è un
danno ingiusto: se B non avesse subito i raggiri di A, avrebbe infatti concluso il contratto.
9. La questione delle clausole di stile
Le clausole di stile sono una categoria di creazione dottrinale e giurisprudenziale assai diffusa
nella pratica, ma che in realtà, da un punto di vista dogmatico, nessuno è ancora riuscito a definire
in modo convincente.
Esempio:
Si pensi ad un contratto in cui le parti scrivono: "qualsiasi inadempimento del presente contratto ne
comporterà la risoluzione". La clausola appena descritta da un lato non dice nulla di più di quanto
affermi la disciplina legale; dall'altro lato, essa non è in grado di derogare a quanto stabilito dalla
disciplina legale, ove si afferma che la risoluzione per inadempimento può essere pronunciata dal
giudice, solo se l'inadempimento è grave e di non scarsa importanza (art. 1455).
L'unica deroga consentita dal codice alla disciplina della risoluzione è quella della clausola
risolutiva espressa: le parti possono inserire nel contratto clausole con cui stabiliscono che
l'inadempimento di una determinata obbligazione comporterà automaticamente la risoluzione del
contratto (art. 1457). Affinché la clausola produca effetto, è necessario che la prestazione sia
individuata specificamente.
Nell'esempio fatto non v'è alcuna prestazione specifica, poiché la clausola afferma che qualsiasi
inadempimento comporterà la risoluzione del contratto. Dunque, questa clausola non ha alcun
effetto. Da un lato, essa non introduce nel contratto alcuna clausola risolutiva espressa; dall'altro
lato, essa non è in grado di derogare alla disciplina in materia di risoluzione
L'unico effetto che essa potrà produrre, è semmai una reciproca esortazione delle parti
all'adempimento, che è chiaramente un effetto non giuridico.
Una clausola di questo tipo è qualificata come clausola di stile; una clausola, cioè, identificata
come meramente stilistica, proprio perchè non è in grado di produrre alcun effetto giuridico.
Ci si chiede come si giustifichi il fatto che tale clausola non produca alcun effetto. Spesso, la
dottrina ha ritenuto di giustificare l'inefficacia delle clausole di stile, sull'argomento che le parti
stesse sarebbero consapevoli della loro non giuridicità.
In realtà, non è detto che sia così: può ben accadere che nello scrivere nel contratto che "qualsiasi
inadempimento comporterà la risoluzione automatica del contratto", una parte potrebbe essere
convinta che la clausola avrà effetto.
L'idea che una clausola del genere in realtà non sia idonea a produrre effetto non è detto che sia
bben radicata nella mente delle parti; anzi, potrebbe essere che le parti vogliano che tale clausola
produca effetto.
La giustificazione della non operatività delle clausole dis tile non va dunque ricercata nella volontà
delle parti. Nonn è vero che sono le parti ad essere consapevoli della non giuridicità di queste
clausole. Il problema è che le clausole di stile non trovano forza nella legge; esse non sono cioè in
grado di produrre effetto perché è la legge che non lo consente.
Si tratta di clausole che si inseriscono in zone già coperte dal dettato normativo, in cui cioè non è
lasciata alle parti la libertà di disciplinare il rapporto o i suoi effetti.
I vizi del consenso
1. Incapacità naturale (o mancata ponderazione)
L'incapacità legale è quella