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RAZZISMO

Forma di etnocentrismo ideologico non solo difensiva ma anche anche aggressiva, usata

intenzionalmente a volte per giustificare azioni militari, paramilitari e poliziesche. L’etnocentrismo

ideologico si presta moltissimi alla politicizzazione delle diversità culturali e quindi ha avuto spesso

nella storia dei risvolti negativi. Si è prestato a giustificare ideologicamente delle operazione di tipo

aggressivo nei confronti di popolazioni che erano identificate come portatrici di diversità culturali.

Alla base del razzismo c’è un popolo che fa del proprio ethnos il parametro di giudizio per valutare

le altre forme umane e culturali e li rende oggetto di giudizi di valore facendo delle gerarchie in cui

il proprio gruppo di appartenenza risulta essere all’apice di questa gerarchia e si giustificano anche

azioni aggressive nei confronti delle popolazioni considerate inferiori per le quali viene giustificata

anche l’eliminazione fisica, pensiamo al Nazismo.

RELATIVISMO CULTURALE

Nasce come reazione all’etnocentrismo che aveva motivato tante imprese di tipo coloniale, di tante

potenze europee che colonizzavano e sottomettevano altre popolazioni sulla base di un

ragionamento etnocentrico (pensavano di essere portatrici di una superiorità culturale e

tecnologica) e questo veniva argomentato sulla base di teorie di tipo culturale e di stampo

etnocentrico. Il relativismo culturale viene teorizzato nel contesto statunitense che cerca di

teorizzare approcci alle diversità e somiglianze culturali alternative a quelle che erano state

elaborate dalle potenze coloniali europee. Così nasce questo concetto teorizzato da Melville

Herskovitz. Nessuna azione umana può essere giudicata al di fuori del contesto culturale in cui

viene compiuta e delle norme che ispirano le decisioni di cui essa è frutto. Diversità umana viene

tollerata in quanto frutto di processi di inculturazione che hanno luogo nelle diverse società.

Qualsiasi espressione di tipo culturale è frutto dell’elaborazione di un gruppo culturale specifico

che vive in un territorio specifico che deve confrontarsi con un ambiente ed elabora bisogni e

necessità specifiche ai quali risponde elaborando risposte culturali specifiche. Ogni produzione

culturale è specifica di un determinato gruppo e non può essere fatta oggetto di vizio da parte di un

altro gruppo. Tutte le culture hanno eguale dignità, le culture vengono percepite come risposte

specifiche alle esigenze che ha una società. Ogni gruppo elabora un insieme di tratti culturali

particolari che cerca di tramandare attraverso il processo di interculturazione per fare in modo che

la società sopravviva.

Ad esempio gli indiani d’America (studiati molto dalla scuola statunitense) hanno elaborato un

sistema linguistico perché dovevano nominare e indicare oggetti specifici presenti in quel posto e

non in un altro e quindi hanno elaborato un vocabolario specifico, dei costrutti particolari e questi

hanno una coerenza e una razionalità se studiati all’interno di quel gruppo. All’interno di quella

società di nativi americani di quel contesto specifico, questo linguaggio elaborato per denominare

oggetti presenti nel quotidiano, essi hanno dovuto tramandarlo attraverso il processo di

inculturazione per permettere la comprensione reciproca tra i membri ma anche tra le generazioni.

Ci rendiamo conto di come un gruppo culturale elabori dei tratti a partire dalle proprie esigenze

specifiche.

Questo approccio è stato portato avanti in relazione alla dichiarazione universale dei diritti umani,

elaborata nel 48. Herskovitz cercava di tutelare alcuni diritti come universalmente validi. Diceva

che c’era una tendenza universalizzante nel riconoscere alcuni diritti come universali, alcuni

comportamenti erano frutto di culture particolari che avevano elaborato quei comportamenti in

relazione a delle esigenze elaborate nel contesto in cui vivevano. Dichiarando alcuni diritti come

universali, dei principi particolari che erano quelli che le potenze occidentali ritenevano valide

venivano imposte come principi universali a tutte le altre società del mondo. La dichiarazione

universale dei diritti umani aveva un impatto planetario e non solo limitata ai paesi vincitori del

secondo conflitto mondiale. Herskovitz nello statement on human rights applica l’approccio del

relativismo culturale alla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e argomenta che la

personalità dell’individuo si sviluppa mediante la propria cultura, non è stato scoperto nessun

metodo di valutazione qualitativa tra le culture, principi e valori sono applicabili solo alla cultura che

li produce.

RAZZISMO DIFFERENZIALISTA 

Degenerazione del relativismo culturale. I sistemi conoscitivi e morali sono diversi tra le culture

e vanno considerati altresì incompatibili ed immodificabili. Ogni cultura può essere accettata,

purché resti circoscritta a coloro che a essa appartengono: purché nessuno pretenda di uscire

dalla cultura d’appartenenza. Se ogni cultura ha una propria coerenza interna e quindi i tratti

culturali hanno validità per le persone che l’hanno elaborata. L’importante è che le culture restino

separate e che non ci siano ingerenze, forme d’interazione, di ibridazione fra le culture ma che

restino separate. Questo tipo di ragionamento sta ed è servito nella storia a giustificare forme di

segregazione spaziale, una di queste è l’apartheid sudafricano. I neri e i bianchi liberi di esistere

e sviluppare la propria cultura, di organizzare la propria società ma l’importante è che non si

mischino, quindi spazi dedicati ai neri e ai bianchi. esempio della ex Jugoslavia, come questo

ragionamento di creare spazi separati per gruppi etnici culturali differenti, ha portato a una forma

estrema di frammentazione territoriale dello stato jugoslavo che si è diviso in tante repubbliche

sulla base del criterio che ogni gruppo etnico e culturale aveva diritto a un proprio spazio di vita

separato da quello degli altri. I serbi hanno creato un proprio spazio, i croati, bosniaci (all’interno

dello stato bosniaco che è misto dal punto di vista etno-nazionale, sono state create ulteriori

autonomie amministrative per separare i croati dai serbi, poi Montenegro, Kosovo ecc…).

L’APPROCCIO ALLE DIVERSITA’ E ALLE SOMIGLIANZE DEGLI ANTROPOLOGI

Neanche gli antropologi sono immuni dai rischi dell’etnocentrismo attitudinale perché sono nati e

formati all’interno di un contesto nazionale e culturale diverso e quindi quello che devono imparare

è tenere a bada questo tipo di atteggiamento.

ETNOCENTRISMO CRITICO

Può essere visto come un approccio virtuoso alla diversità e alle somiglianze culturali ma anche

come un metodo di ricerca che gli antropologi devono utilizzare nello studio delle diversità e

somiglianze culturali, la paternità di questo concetto è attribuita a Ernesto de Martino

(antropologo attivo soprattutto negli anni Cinquanta e maestro della Signorelli). Il confronto con

l’alterità (diversità culturale) deve mettere in discussione la nostra cultura e non solo quella altrui,

arrivare alla consapevolezza che il nostro non è l’unico modo di fare le cose. Allo stesso

tempo dobbiamo avere la consapevolezza che non si può rinunciare alla nostra cultura per

adottare quella degli altri e comprenderla meglio. Tutti abbiamo una tendenza all’etnocentrismo

attitudinale, abbiamo una formazione legata a un processo di inculturazione specifico all’interno di

un gruppo culturale però non è semplice abbandonare i valori che la nostra società ci ha

tramandato come validi, sarebbe deleterio fare finta di essere liberi da qualsiasi educazione di tipo

culturale. Noi stessi abbiamo una specificità culturale e che non possiamo rinunciare e far finta

che non esista per immedesimarci e mimetizzarci con le culture diverse dalle nostre. La nostra

finalità non è mimetizzarci con la diversità e abbandonare il nostro background culturale ma essere

consapevoli che l’abbiamo e tenerla a bada per non rischiare di essere etnocentrici. Prima di

studiare le culture altre bisogna mettere in discussione la nostra cultura e capire che tutto ciò che

facciamo è frutto di una particolare storia culturale, non ha nulla di naturale ma ha una forte

componente culturale. Uno esempio è lo studio della magia che De Martino fa nell’Italia

meridionale degli anni 50, nelle campagne del meridione. Studia l’approccio che la cultura

occidentale ha avuto nei confronti delle pratiche magiche e si rende conto che nella storia culturale

dell’occidente la magia è sempre stata vista come antitesi della razionalità, della scienza, è stata

bollata come frutto d’ignoranza tanto dalla cultura scientifica quanto dalla religione che a un certo

punto della storia iniziava a mettere al rogo le streghe.

28/03/2018

IL PARADOSSO DELL’INCONTRO ETNOGRAFICO (E. de Martino)

Oggi entriamo nel merito di questo approccio inteso come metodo di ricerca teorizzato da Di

Martino e il metodo che contraddistingue l'antropologia nelle scienze sociali. L'etnocentrismo

critico, come abbiamo visto può essere interpretato in maniera doppia; secondo De Martino (DM),

il confronto con la diversità culturale deve mettere in discussione la nostra cultura e non solo quella

altrui (consapevolezza che il nostro non è l'unico modo di fare le cose) ma anche consapevolezza

che non si può rinunciare a tutto il corredo culturale che ci portiamo dietro, fingere di essere una

tabula-rasa per adottare i modi di fare degli altri con un comportamento mimetico; ciò non significa

comprendere meglio la differenza ma fingere; questo atteggiamento nasconde insidie. Le nostre

categorie d'analisi hanno origini nella nostra civiltà e rischiamo di applicarle in maniera critica

all'analisi dei fatti altrui e ne risulterebbe una conoscenza falsata di stampo etnocentrico; esempio

di studio della magia. Abbiamo visto come DM sia accostato allo studio dei fenomeni magici

nell'Italia meridionale, che nel secondo dopoguerra potevano sembrare dettati dall'ignoranza, da

un retaggio culturale frutto della storia di pensiero occidentale nella quale DM è stato educato, che

elabora i fenomeni magici come antitesi alla razionalità scientifica, o al dogma di tipo religioso.

Questo stigma che il fenomeno magico ha deve essere tenuto a bada da DM, affinché la sua

conoscenza dei fenomeni magici nell'Italia meridionale non sia pregiudicata dal pregiudizio.

Questo è il prerequisito fondamentale perché egli si spogli di questi pregiudizi di tipo etnocentrico.

Solo così riesce ad arrivare ad uno studio antropologico

Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
46 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fabioluongo96 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bergamo o del prof Lofranco Zaira Tiziana.