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A A
D(p) = Δ (p) ovvero è il polinomio caratteristico di A
A
N(p) = CP(p)b + DΔ (p)
A
Definiamo FUNZIONE DI TRASFERIMENTO G(p) il rapporto N(p)/D(p) (nel caso di
semplificazioni lo indichiamo con n(p)/d(p) ). Chiamiamo ZERI i valori di p che annullano il
numeratore e POLI i valori di p che annullano il denominatore. Se non ci sono
semplificazioni, l'insieme dei poli coincide con l'insieme degli autovalori. Se invece ci sono
semplificazioni, l'insieme dei poli sarà strettamente contenuto nell'insieme degli autovalori.
Definiamo GUADAGNO il rapporto tra l'uscita e l'ingresso di un sistema all'equilibrio
ȳ
ovvero μ = /ū . Calcolare il guadagno con il sistema interno è difficile perché ti devi
calcolare l'equilibrio. Invece con la funzione di trasferimento scopri che il guadagno è
uguale a G(0) nel caso continuo e a G(1) nel caso discreto!
In questa lezione parleremo della fantomatica STABILITÀ che la prof ha citato mille volte.
La stabilità è una proprietà che ha a che fare con il movimento libero di un sistema
dinamico. In questo caso parliamo di STABILITÀ INTERNA, ovvero l'evoluzione del
vettore di stato X che contiene le variabili interne al sistema. Esiste infatti anche la
STABILITÀ ESTERNA che riguarda invece l'evoluzione dell'uscita forzata. Per definizione
un sistema lineare è ASINTOTICAMENTE STABILE se per ogni condizione iniziale X(0) e
ingresso nullo u = 0, il movimento libero tende a zero con t che tende all'infinito, ovvero il
sistema “si dimentica” della sua storia passata. Se esiste almeno una condizione iniziale
per cui il movimento libero converge ad un valore finito diverso da zero, il sistema è detto
SEMPLICEMENTE STABILE. Se esiste almeno una condizione iniziale per cui il
movimento libero diverge, si dice che il sistema è INSTABILE.
Per fare degli esempi intuitivi, il sistema massa-molla con attrito è stabile, perché
qualunque sia la posizione o la velocità iniziale, entrambi tendono poi a zero nel tempo
perché la massa si ferma nel punto di equilibrio. Se togliamo l'attrito, il sistema massa-
molla diventa semplicemente stabile, perché il vettore di stato non diverge ma comunque
assume valori finiti sempre diversi in base alla posizione iniziale. La palla sul piano invece
è un sistema instabile: se la velocità iniziale è nulla, la palla se ne sta ferma con velocità
zero e posizione uguale a quella iniziale. Ma se la velocità iniziale non è nulla e non c'è
attrito la variabile della posizione diverge all'infinito!
Un teorema ci assicura che, se un sistema è asintoticamente stabile, per ogni ingresso
Ḡ
costante ū esiste uno stato costante a cui il sistema tende all'infinito.
Ti ricorderai (spero) dalle scorse lezioni la matrice di transizione φ, che è definita come
At t
e nel continuo e A nel discreto, ovvero dipende unicamente dalla matrice A. Siccome φ
rappresenta il movimento libero, abbiamo che solo la matrice A è quella contenente
informazioni riguardo la stabilità del sistema. Secondo la nostra definizione di stabilità,
abbiamo che il limite per t che va all'infinito del vettore X tende al vettore nullo. Con la
matrice di transizione abbiamo che il limite per t che va all'infinito della φ coincide con la
matrice nulla. Ovvero i singoli elementi della φ tendono a zero. Il movimento totale del
sistema nel tempo andrà man mano a coincidere con il movimento forzato e perciò a
dipendere solo dalla funzione di ingresso e non dalla situazione iniziale, che verrà
“dimenticata”.
Facendo un esempio banale dove la matrice coincide con uno scalare, scopri che
at
c'entrano gli autovalori della matrice A. Infatti nell'esponenziale e hai stabilità asintotica
se l'unico autovalore è negativo, stabilità semplice se è uguale a zero, instabilità se è
positivo. Si può estendere questo esempio dallo scalare alla matrice utilizzando il
CRITERIO DEGLI AUTOVALORI. Nel caso del tempo continuo ci dice che un sistema
lineare a tempo continuo è asintoticamente stabile se e solo se tutti gli autovalori
hanno parte reale strettamente negativa. L'asse immaginario, dove gli autovalori hanno
parte reale nulla, è chiamato FRONTIERA DI STABILITÀ. Facciamo ora lo stesso a tempo
t
discreto: a è un esponenziale e sappiamo bene come si comporta.
Se a è compreso tra 0 e 1 esclusi, il sistema è stabile perché all'infinito va a zero
– Se a = 0 la funzione vale sempre zero, per cui c'è stabilità asintotica
– Se a è compreso tra -1 e 0 esclusi, abbiamo un'oscillazione che comunque tende a
– zero andando verso l'infinito
Se a = 1 abbiamo stabilità semplice
– Se a = -1 abbiamo stabilità semplice oscillando tra due valori
– Se a > 1 oppure a < -1 il sistema è instabile perché diverge
–
Il criterio degli autovalori a tempo discreto quindi ci dice che un sistema lineare a tempo
discreto è asintoticamente stabile se e solo se il modulo di tutti gli autovalori è
strettamente minore di 1. Nel campo complesso significa che essi devono stare tutti
dentro la circonferenza di raggio unitario, mentre la circonferenza stessa rappresenta la
frontiera di stabilità.
Il criterio degli autovalori ci dà tante altre informazioni, tra cui il fatto che il movimento
libero è dato da una combinazione lineare di alcune funzioni. Se abbiamo a che fare con
un sistema asintoticamente stabile, a tempo continuo, con autovalori reali e distinti (ovvero
sono radici singole) la combinazione lineare è data da funzioni esponenziali nella forma
λt
e . Quindi se per esempio un sistema ha gli autovalori -1 -2 -3, il suo movimento libero è
-t -2t -3t
espresso da una funzione nella forma ae + be + ce . Se, alle condizioni date
precedentemente, sostituiamo le radici singole con radici multiple, la funzione diventa una
λt 2 λt
combinazione lineare di polinomi ed esponenziali, nella forma te , t e ecc... Nei due casi
all'infinito abbiamo comunque la stabilità, perché le due funzioni vanno a zero. La
differenza si ha nell'intorno di zero dove, nel caso delle radici singole, si parte da un valore
finito, mentre nel caso delle radici multiple si parte da zero, si sale e si ritorna a zero
asintoticamente. Cosa succede nel caso di autovalori complessi? Più o meno la stessa
cosa, solo che si aggiunge un pezzo sinusoidale dipendente dalla parte immaginaria, che
Re(λ)t
rende la funzione oscillante ma comunque tendente a zero: e * sin(Im(λ)t + φ)
Se ci sono radici multiple, ci aggiungiamo il polinomio.
Consideriamo ora una funzione esponenziale con autovalore negativo e prendiamo la
tangente (cioè la derivata) in zero e cerchiamo il valore di t in cui la tangente attraversa
l'asse orizzontale. Questo valore T vale -1/Re(λ) e quella è LA FAMOSA COSTANTE DI
TEMPO CHE AVEVAMO VISTO ANCHE IN ELETTROTECNICA!
Ora consideriamo due autovalori reali negativi λ e λ , con valore per esempio -1 e -10. Le
1 2
due costanti di tempo T e T valgono 1 e 0,1. Le due funzioni esponenziali vanno
1 2
entrambe a zero, ma la prima con autovalore -1 e costante di tempo 1 ci andrà più
lentamente rispetto alla seconda funzione, con autovalore -10 e costante di tempo 0,1,
quindi la prima funzione avrà un valore maggiore rispetto alla seconda. In pratica
l'autovalore più vicino all'asse immaginario è quello che dura di più. Chiamiamo
AUTOVALORE DOMINANTE λ l'autovalore più vicino all'asse immaginario, ovvero quello
d
con parte reale più grande. La sua costante di tempo è -1/Re(λ ) e la chiamiamo
d
COSTANTE DI TEMPO DOMINANTE. Nel caso di autovalori complessi non cambia
molto: l'autovalore dominante è sempre quello con parte reale maggiore e la costante di
tempo vale -1/Re(λ ). All'infinito si va a zero con un'oscillazione. Il movimento libero si
d
avvicina in modo sensibile a zero in un tempo T che chiamiamo TEMPO DI RISPOSTA e
r
vale 5 volte la costante di tempo dominante.
Ora dobbiamo rifare il discorso per il tempo discreto! Qui non abbiamo funzioni
esponenziali ma dei polinomi. Sappiamo che la stabilità c'è se il modulo di tutti gli
autovalori è strettamente minore di 1. Anche in questo caso abbiamo degli autovalori
dominanti: sono quelli con il modulo maggiore, ovvero i più vicini alla circonferenza di
raggio unitario. Come vedi il discreto e continuo hanno in comune il fatto che gli autovalori
dominanti sono quelli più vicini alla frontiera di stabilità, oltre la quale dominano così tanto
da creare instabilità. La costante di tempo si calcola come -1/ln(|λ|). Il modulo è minore di
1, il logaritmo è negativo e cresce andando a zero, velocizzando la costante di tempo. Il
tempo di risposta è sempre cinque volte la costante di tempo dominante. Cosa succede
però se l'autovalore dominante vale zero? Beh questo succede se tutti gli altri autovalori
sono nulli, ovvero la matrice A è nilpotente. Ciò significa che esiste un valore k minore o
k
uguale a n per cui A si annulla. Questo implica che esiste un numero finito k di passi dopo
i quali il vettore di stato vale esattamente zero, non asintotico. Il tempo di risposta è
proprio il numero k di passi necessari per annullare la matrice.
Ritorniamo ora sul criterio degli autovalori... Si può dare una condizione sufficiente (ma
non necessaria) sull'instabilità di un sistema. A tempo continuo si ha che, se almeno un
autovalore ha parte reale positiva, il sistema è instabile (questo perché l'esponenziale
spara all'infinito). La chiamiamo INSTABILITÀ FORTE. A tempo discreto, il sistema è
instabile se almeno un autovalore ha modulo maggiore di uno (perché abbiamo un bel
polinomio che spara su).
Cosa succede se abbiamo degli autovalori sulla frontiera di stabilità? Ovvero gli
immaginari puri nel continuo e i numeri con modulo 1 nel discreto. Finché questi autovalori
sono radici semplici, abbiamo la stabilità semplice del sistema. Se invece abbiamo radici
multiple, non possiamo determinare se il sistema sia stabile semplicemente oppure
instabile! O meglio, un metodo c'è, ma fa uso del polinomio minimo (e non di quello
caratteristico) che è difficile da calcolare e non ci interessa. Se c'è instabilità in questa
situazione, la chiamiamo INSTABILITÀ DEBOLE.
Ri