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CICERONE
Nacque ad Arpino nel 106 a.C. da una famiglia appartenente al ceto equestre. Ricevette una
raffinata educazione ed esordì come avvocato, con la “Pro Quinctio”. Tra il 79 e il 77 a.C., si recò in
Grecia per perfezionare gli studi e, dopo la morte di Silla, tornò a Roma per cominciare il cursus
honorum. Nel 66 a.C., ottenne la pretura e nel 63 a.C. venne eletto console. Catilina tentò una
congiura ai danni dello Stato, che venne sventata dallo stesso Cicerone (contro cui scrisse le
Catilinarie). Nel 62 a.C., Catilina venne sconfitto a Pistoia e Cicerone decise di mandare a morte tutti
congiurati senza processo e senza da porovocatio ad populum. Tale gesto gli causò poi l’esilio nel 58
a.C. Riuscì a ritornare a Roma grazie all’aiuto di Pomepo. Nel 53 a.C., scoppiò una sanguinosa guerra
civile, che vide schierati i pompeiani, tra le cui fila si annovera anche Cicerone, e i cesariani. In
seguito alla vittoria di Farsalo, Cesare si comportò con grande benevolenza nei confronti dei vinti e,
in particolare, con Cicerone, il quale, a causa di problemi economici, fu costretto a divorziare da sua
moglie e a sposarne una più ricca, che ripudiò nel 45 a.C., anno della morte della figlia Tullia. In
seguito all’assassinio di Cesare, Cicerone di schierò a favore dei cesaricidi, nonostante non avesse
partecipato attivamente alla congiura. Il partito dei cesariani scelse, come erede di Cesare,
Marcantonio, il quale riuscì ad ottenere un compromesso con il Senato, in base al quale ai congiurati
sarebbe stata concessa l’amnistia se fossero stati mantenuti validi tutti gli atti fatti da Cesare. Nel
frattempo, Cicerone si trasferì nell’Italia meridionale, dove aveva alcune proprietà ma, ben presto,
fu richiamato a Roma a causa dello scontro tra Marcantonio e il Senato. È a questo preciso evento
che risale la stesura delle “Filippiche”, per mezzo delle quali Cicerone cercò di ingraziarsi Ottaviano.
Nella lotta contro Marcantonio, infatti, il Senato si era servito di Ottaviano e delle sue truppe, ma
poiché non venne ricompensato adeguatamente, quest’ultimo si alleò con Antonio e, insieme a
Lepido, fondarono il II triumvirato. I triumviri decisero di servirsi delle liste di proscrizione per
sbarazzarsi degli avversari politici. Questo permise ad Antonio di vendicarsi di Cicerone, che, infatti,
fu assassinato nel 43 a.C. nei pressi di Formia.
Le orazioni più famose
1. VERRINE (73-71 a.C.) Cicerone fu chiamato a difendere i Siciliani in causa contro Verre,
accusato di averli derubati e tassati duramente, durante il suo governatorato. Si divide in tre
parti: a) Divinatio in Quinto Caecilium (istruttoria preliminare in cui si sarebbe deciso a chi
toccasse il ruolo dell’accusa. Verre fece di tutto affinché la causa venisse data a Q. Caecilio,
che avrebbe favorito la sua assoluzione. Cicerone scoprì l’inganno e scrisse quest’orazione,
grazia a cui ottenne la difesa dei siciliani); b) Actio Prima (esposizione dei capi d’accusa
contro Verre, in seguito alla lettura dei quali fuggì a Roma); c) Actio Secunda (mai pronuncita,
ma fu pubblicata).
2. CATILINARIAE (63 a.C.) furono scritte contro Catilina, accusato, insieme ad altri appartenenti
alla nobilitas romana, di aver ordito una congiura ai danni dello Stato. Di divide in quattro
orazioni: 1) annuncia la scoperta della congiura e invita Catilina a lasciare Roma; 2) denuncia
la presenza dei congiurati rimasti a Roma, dopo la fuga di Catilina; 3) svela i nomi dei
congiurati; 4) l’oratore si pronuncia a favore della pena di morte.
3. FILIPPICHE (44-43 a.C.) si tratta di 14 orazioni, scritte contro Marcantonio, erede del partito
politico di Cesare. Il nome fu ripreso dalle orazioni che Demostene compose contro Filippo
di Macedonia.
Le opere retoriche
1. DE INVENTIONE (85 a.C. circa). Si tratta di un opera incompiuta, che termina con il II libro.
Cicerone divide l’ars retorica in cinque componenti: a) inventio, fase in cui l’oratore raccoglie
tutta la materia di cui ha bisogno per scrivere il proprio discorso; b) dispositio, fase che
prevede la giusta organizzazione del materiale raccolto durante l’inventio; c) elocuizio, fase
di strutturazione sintattica, linguistica e stilistica del discorso; d) memoria, in questa fase
l’oratore deve imparare a memoria il suo discorso; e) actio, vera e propria fase recitativa.
2. DE ORATORE (55 a.C.). Si tratta di un dialogo, diviso in tre libri, i cui protagonisti, Lucio Licinio
Crasso e Marcantonio, discutono sull’eloquenza. La scelta della forma dialogica, ovviamente,
è di matrice platonica. In quest’opera si delinea la figura dell’oratore ideale, che deve avere
una cultura enciclopedica e deve essere dotato di probitas e prudentia.
3. PARTITIONES ORATORIAE (54 a.C.) è dedicata al figlio e si presenta come un dialogo, tra
l’autore e suo figlio, sui più importanti precetti di retorica.
4. BRUTUS (46 a.C.) è dedicata al cesaricida Bruto. Anche quest’opera ha una forma dialogica
e i protagonisti sono Cicerone, Bruto ed Attico. Viene tracciata una storia dell’eloquenza
dalle origini fino all’età più recente. L’autore sostiene che l’eloquenza sia arrivata al suo
massimo grado di perfezione grazie a sé stesso e ad Ortensio. All’interno del dialogo, poi, si
apre un’ulteriore discussione circa lo stile da utilizzare per comporre una perfetta orazione.
Cicerone dà una propria opinione sugli stili maggiormente utilizzati, che facevano capo a due
scuole differenti: a) ASIANESIMO (stile barocco e ampolloso); b) ATTICISMO (stile scarno e
privo di pathos). Cicerone, infine, esprime la propria speranza di un ritorno all’eloquenza
libera, di cui riconosce come massimo esponente Demostene.
5. ORATOR (46 a.C.). In quest’opera Cicerone traccia, a chiare lettere, la figura dell’oratore
ideale. Dopo aver parlato dei tre gradi di eloquenza (grande, medium e tenue), l’autore si
sofferma sui fini a cui deve tendere un perfetto oratore: a) probare (presentare il proprio
punto di vista, adducendo valide argomentazioni); b) delectare (deve saper conferire alle
proprie parole un tono, che sia gradito all’uditorio); c) flectere (deve conquistare l’uditorio).
Ai tre scopi dell’oratore, corrispondono poi tre registri stilistici differenti: al probare
corrisponde lo stile umile, al delectare lo stile medio e al flectere quello elevato.
6. DE OPTIMO GENERE ORATORIUM. Si tratta della traduzione in Latino delle orazioni: “sulla
corona,” di Demostene, e “contro Ctesifonte,” di Esichine. Le traduce al fine di far
comprendere quale fosse lo stile perfetto, che deve essere usato per comporre un’orazione.
7. TOPICA (44 a.C.). Compone quest’opera, dedicata all’amico Gaio Trebazio, durante un
viaggio in Grecia. Si tratta di un’esegesi sui Tropica di Aristotele.
Le opere politiche
1. DE RE PUBLICA (54-51 a.C.). Si tratta di un dialogo, modellato sull’esempio di quelli platonici,
ambientato nella villa di Scipione l’Emiliano. Nella prima parte dell’opera, Cicerone affronta
il problema delle forme di governo, sostenendo che ad ogni forma buona corrisponde una
forma degenere: a) monarchia-tirannide; b) aristocrazia-oligarchia; c) democrazia-
olocrazia/anarchia. Ogni forma di governo sussegue all’altra seguendo un moto ciclico e
perpetuo. Segue poi l’esempio della costituzione mista di Roma, ripresa da Polibio, e l’elogio
dell’epoca degli Scipioni, durante la quale la concordia dei ceti assicurava compattezza allo
stato. Cicerone augura, infine la venuta di un princeps (una persona molto influente, che
spiccasse in Senato), degna di ristabilire l’ordine e di assumere la guida dello Stato. Nel
Somnium Scipionis, Cicerone continua a parlare del princeps illuminato, il quale, per poter
governare, deve essere dotato di virtù: temperanza, moderazione, saggezza, raffinata
cultura, disinteresse, spirito di sacrificio. A riguardo, la critica ha rivelato che tali attributi
erano, in realtà, le virtù che Cicerone attribuiva a sé stesso.
2. DE LEGIBUS (54-51 a.C.). Dialogo- tra Quinto, Attico e Cicerone- ambientato nella villa di
quest’ultimo ad Arpino. Ci sono pervenuti, soltanto, i primi tre libri e alcuni frammenti.
Emerge il vero pensiero politico di Cicerone: non si identificava con la parte più conservatrice
dell’aristocrazia, ma con quella più moderata. Di qui il motivo della concordia ordinum tanto
caro a Cicerone.
Le opere filosofiche
Tutte le opere filosofiche di Cicerone furono composte tra il 45 e il 43 a.C. Durante questo periodo,
si dedicò agli studi filosofici con una duplice finalità:
- Farsi divulgatore del pensiero filosofico tra i romani
- Trovare conforto ai mali della vita
Il sistema filosofico di Cicerone è definito ECLETTICO, perché in esso vengono raccolti e sintetizzati
elementi, appartenenti a dottrine filosofiche diverse. Il suo scopo è quello di fornire ai romani un
sistema filosofico, che dia concrete indicazioni di vita.
1. PARADOXA STOICORUM (46 a.C.) opera dedicata a Bruto, in cui ricorre ad esempi recenti
della storia di Roma per spiegare precetti di non facile comprensione.
2. CONSOLATIO (45 a.C.). Opera, di cui ci sono pervenuti pochi frammenti, scritta in seguito alla
morte delle figlia Tullia. Cicerone esprime la propria sfiducia nella vita, vista come un insieme
di dolori e affanni; ed esprime il suo desiderio di morte. La filosofia, in questo caso, è, per
lui, un mezzo di consolazione.
3. HORTENSIUS. Si tratta di un dialogo tra Cicerone, Catulo, Ortensio e Lucullo, ambientato
presso la villa di quest’ultimo. Tema centrale è l’esortazione alla filosofia.
4. ACADEMICA. Opera redatta due volte: 1) presentava due dialoghi, intitolati “Catulus” e
“Lucullus”; 2) opera divisa in 4 libri, di cui ci è pervenuto solamente il primo in forma
incompleta, con protagonisti Varrone e Attico. In quest’opera viene esposta la teoria
secondo cui, poiché all’uomo è impedito raggiungere la verità assoluta, si deve accontentare
di quanto risulta possibile o verosimile.
5. DE FINIBUS BONORUM ET MALORUM. Anche questo è un dialogo, in cui emerge la
preoccupazione di Cicerone per la diffusione dell’Epicureismo a Roma. L’opera si divide in 5
libri, in cui parla del sommo bene e del sommo male.
6. TUSCOLANE DISPUTATIONES. L’opera, divisa in cinque libri, è presentata sotto forma di
lezioni per un allievo anonimo. Gli argomenti trattati sono: a) se la morte o il dolore debbano