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I limiti di questa posizione sono: il portare ad un relativismo radicale e la riduzione all’estetica ad
una psicologia.
Cognitivista:
2. consiste nel pensare che l’estetica sia una forma di conoscenza. Noi determiniamo
qualcosa secondo un qualche concetto, applichiamo a qualcosa di cui abbiamo esperienza, dei
criteri che applichiamo a tutti quegli oggetti che godono di quelle proprietà. Se riconosco un
oggetto, già gli do un giudizio, già determino la sua esistenza. In più determinò l’oggetto delle
sue caratteristiche principali. Se l’estetica è una forma di conoscenza, e in quanto forma di
conoscenza è una categorizzazione dell’oggetto e un’attribuzione all’oggetto di determinate
proprietà e qualità, allora ci saranno dei criteri di correttezza nell’applicare certe regole a delle
proprietà estetiche dell’oggetto. In questo caso la bellezza è uguale per tutti, perché queste
caratteristiche sono oggettive, non soggettive come per le emozioni. La relazione estetica che
abbiamo con degli oggetti è innanzitutto una relazione di ordine cognitivo e deve esserci il
rapporto tra l’oggetto e le regole che possiamo applicare ad esso per poterlo categorizzarlo. Se
l’estetica è una forma di conoscenza, lo è in modo inferiore, ‘gnoseologia inferior’, perché è
data dall’esperienza. Il punto di forza della posizione cognitivista è il riconoscere che c’è un
aspetto decisivo, ovvero le proprietà dell’oggetto, che esistono prima dell’oggetto, sono
proprietà nativa dell’oggetto. Un altro punto di forza è l’universalismo dell’attitudine estetica,
che non dipende da traduzioni, costumi, sensibilità. (Baumgarten)
I limiti di questa concezione sono una mossa da Kant, e il non tenere di conto delle differenze
individuali nel percepire la bellezza.
Semantico-intenzionalista:
3. consiste nel pensare che il vero oggetto dell’estetica è dato dalle
opere d’arte, l’estetica è la filosofia dell’arte. Ci sono esperienze di base come il tramonto ecc,
ma il vero significato dell’estetica emerge quando abbiamo a che fare con le opere d’arte, cioè
con quei prodotti del fare umano (poietica - greco per la capacità di produrre qualcosa che non
è in natura) che come funzione incorporano dei significati. Il nostro essere capaci di produrre
qualcosa di mai visto è bello. (Hegel)
Il limite è che c’è una dimensione dell’esperienza estetica che precede il nostro rapporto con le
opere d’arte. Facciamo esperienze estetiche significative prima ancora di aver la competenza a
conoscenza la differenze tra ciò che è arte e ciò che è per natura. Il fenomeno della natura è il
risultato di leggi oggettive che regolano il farsi della natura. Non c’è una volontà di base.
Nell’arte c’è un’intenzione e una libertà di creare qualcosa. L’estetico nasce nell’umano prima
che ci sia il problema dell’arte.
Espressivista:
4. consiste nel ricondurre tutto ciò che è estetico a quella che si dice essere la
capacità espressiva tipica dell’umano fatta di gesti, di performance individuali e collettive, e
produzione di artefatti. (J.G. Herder)
Il limite di questa posizione è che capovolge, è che riconduce l’estetica dell’ambito
dell’espressività. L’estetica non è la conseguenza dell’espressività.
Le prime due posizioni riguardano l’esperienza estetica prima ancora che si declini il rapporto con
le questioni dell’arte. Le seconde due posizioni riguardano la dimensione artistica dell’estetica.
David Hume - emotivista
Il “trattato sulla natura umana” (‘1739-‘1740) e la filosofia humiana verte su due concetti: il
passaggio dalle impressioni alle idee. Se siamo nel contesto di una esperienza, quello che
riusciamo a evincere attraverso i nostri sensi, è effettivamente il mondo in cui abbiamo accesso.
Hume sostiene che dobbiamo piegarci a ciò che con il nostro corpo percepiamo, dobbiamo
arrenderci al fatto che non possiamo arrivare alle idee. Nella nostra esperienza quotidiana abbiamo
impressione di qualcosa, vediamo, tocchiamo un oggetto, a seguire abbiamo l’idea dell’oggetto. Le
impressioni possono, poi, dividersi in complesse e semplici. Ad esempio l’impressione di un limone
non è semplice, innanzitutto vediamo un frutto, poi la sua forma, poi lo gustiamo e sentiamo la sua
asprezza, lo tocchiamo e sentiamo la sua consistenza. Tutte queste sono impressioni semplici che
però unite diventano complesse e ci danno l’idea del limone. Se abbiamo un’esperienza di
qualcosa, di quell’oggetto vediamo determinate caratteristiche. Ma prima ancora di capire queste
caratteristiche abbiamo l’esperienza dell’oggetto. Dopo aver avuto esperienza delle impressioni
dell’oggetto, arriviamo all’idea. L’idea è separata dall’impressione per il fatto che la prima è una
distanza tra un oggetto dell’esperienza e la mia assenza rispetto a quella percezione. L’idea, però,
non è così viva e nitida come l’esperienza. Le idee, come le impressioni, sono semplici e
complesse. Le idee sono più complesse quando avrò più impressioni dell’oggetto. Per Hume,
perciò, le impressioni sono ciò che contano, mentre le impressioni sono indebolite. Secondo Hume,
empirista radicale, tutto deriva dall’esperienza e l’esperienza è la somma delle impressioni.
inferiamo che una qualità sia virtuosa perché ci piace: ma nel sentire che ci piace in un certo
“Non
modo particolare, sentiamo che in effetti e virtuosa. Ciò accade anche nei nostri giudizi su ogni
genere di bellezza, gusti e sensazioni. La nostra approvazione è implicita nel piacere immediato che
tutte queste cose ci danno.” Trattato sulla natura umana
Se qualcosa è virtuoso ci piace, se qualcosa è vizioso, ci disporrà in modo malevolo. La nostra idea
di piacere non è mediata dalla ragione. Nel momento in cui abbiamo un’esperienza siamo mossi
piacevolmente da essa. Prima ancora che possiamo dire che cosa è una cosa per noi, in quel
momento noi la stiamo definendo, qualificando, anche se ha già avuto un effetto su di noi
puramente esperienziale. Se non abbiamo esperienza di qualcosa non abbiamo la possibilità di
giudicarla né bella né brutta. Questo è il motivo per il quale Hume è ateo, perché non c’è modo di
accedere a delle verità che non ho potuto esperire.
In questo passo virtù e bellezza hanno la stessa radice nell’immediatezza di ciò che provo. Hume
equipara sia le questioni etiche della virtù sia le questioni estetiche relative alla bellezza,
riconducendole entrambe a ciò che accade in noi in quanto sentimento di piacere che risuona nel
nostro animo.
Nel saggio del 1757 Hume sostiene che la bellezza non è qualcosa di attingibile in senso universale.
Nel momento in cui io, della bellezza, posso avere soltanto un idea ma la posso avere in base alle
esperienze che ho, allora non ho una bellezza standard per tutti. Se condividiamo un’esperienza
con delle persone allo stesso momento, allora in quel caso potremmo avere un’unica e stessa
esperienza di bellezza. L’idea della bellezza, però non è universale. La varietà dei gusti è
determinata anche dalla finezza dei sensi. Ci sono persone che sentono molto bene, ci sono
persone che hanno difetti d’udito, e così via. Ciò dà vita a delle esperienze che sono leggermente
diverse da quelle che altri fanno di una stessa esperienza.
Il fatto che, però, tutti noi esperiamo qualcosa, ciò significa che quella cosa esista. Se sento
qualcosa, il fatto che senta non è discutibile, non può non esistere. Posso sbagliare nell’attribuire
una canzone ad un cantante o a un altro, ma la sostanza dell’emozione che ho provato è quella, è
quella nessuno me la può togliere. Mi posso sbagliare a giudicare un oggetto, ma i giudizi (il
conoscere vero e proprio) sono soggetti a contese, all’essere giusti o sbagliati. La bellezza è un
aggettivo che non appartiene alle cose, ma esiste solo nella mente che le contempla, e ogni mente
percepisce una bellezza diversa. La bellezza sta nella mente e nello sguardo dell’osservatore, e
quindi ogni mente vede e percepisce una diversa bellezza. Questa posizione porta a delle
conseguenze indesiderate.
Se ci deve essere una sorta di accordo sul gusto, questo deve avvenire sulla base di alcuni punti.
Le emozioni, secondo Hume, sono degli affari sottili, lievissime differenze di percezione di
determinati oggetti tra una persona e un’altra. Hume identifica 5 condizioni basilari alle quali si deve
sottostare per una regola del gusto:
-chi giudica/chi esperisce deve avere una buona disposizione degli organi percettivi
-delicatezza dell’immaginazione (quando abbiamo tanti dati provenienti da percezioni semplici e
complesse, tanto più riusciamo ad elaborare delle idee secondarie, tanto più fine sarà la nostra
immaginazione)
-esperienza e pratica nel giudicare o educazione del gusto (quanto più una persona si pone nella
condizione di provare delle esperienze estetiche, tanto più affidabile sarà il suo giudizio)
-non avere pregiudizi quando ci si trova davanti ad un’esperienza estetica
-nel giudicare dobbiamo affidarci a degli esperti
Quello di Hume è un emotivismo temperato dall’esperienza e dalla storia, ovvero quello che conta è
quello che provo, ma questa emozione da sé non significa nulla e non è un elemento sul quale
posso fare completo affidamento. Posso fare affidamento sull’aspetto emotivo solo quando lo
medio con l’esperienza, quando lo metto a confronto con ciò che vivo rispettando le 5 condizioni.
Dall’altra parte c’è la storia, la memoria. Quando un’oggetto non c’è, c’è la memoria, che mantiene
l’oggetto nel ricordo. La storia ha a che farò con questo. Quello che è stato conoscenza di ciò che
ho vissuto rientra nell’emotivismo che Hume sostiene. Non si può non tenere conto della storia
delle emozioni e dei dati di fatto. Certe opere d’arte, in virtù del riconoscimento che gli è stato
attribuito nel corso dei secoli, sono universalmente riconosciute, per via della somma delle
esperienze che lo hanno decretato.
Hegel - semantico-intenzionalista
Una variazione tipica della seconda metà del Novecento &e