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Estratto del documento

Altre opere esposte al Salon del 1834: Delaroche “L’esecuzione di lady Jane Grey” (1833): quadro di storia

che fa riferimento ad un episodio di fine ‘500

avvenuto in Inghilterra. Jane Grey si era trovata per

breve tempo, qualche settimana, a essere regina.

Rimane vittima dei giochi politici, messa sul trono

per convenienza e poi ghigliottinata appena ritenuta

inutile. È una declinazione della storia di carattere

molto diversa da quelli vista sinora. David faceva una

pittura di exempla virtutis, valori che dovevano

essere insegnati e condivisi (valore pedagogico della

pittura). In Delacroix e Gericault la pittura di storia

viene declinata al di fuori della storia antica,

perdendo però il valore edificante (l’umanità viene

presentate derelitta, come gli episodi di

cannibalismo della “Zattera di Medusa” o la strage

nel dipinto di “Scene di massacro di Scio”). In

Delaroche la pittura di storia non presenta grandi episodi e non ha uno scopo educativo: va alla ricerca di

episodi patetici, alla ricerca di una commozione dello spettatore immediata e semplice, ecco allora che ci

presenta una ragazza pura, con gli occhi bendati, allunga le mani per tastare dove è il ceppo. È una vittima,

che sollecita immediatamente la nostra compassione. È giovane, innocente, e neppure si ribella. I

personaggi attorno sono commossi e affranti. Sulla destra il boia attende con calma, vicino alla ragazza un

dignitario. I vestiti sono all’antica (cioè risalgono all’epoca che Delaroche vuole rappresentare, ovvero il

1500). La circostanza storica passa in secondo piano, diventa quasi un pretesto per mostrare una scena

molto commovente. Il quadro suscita ammirazione immediata nel pubblico contemporaneo (un pubblico

indifferenziato, appartenente alle più svariate classi: fino al 1857 il Salon era gratis, quindi tutti potevano

accederci). Dicotomia tra pubblico di esperti e di non addetti ai lavori avrebbe creato in seguito dei conflitti:

da una parte gli esperti puntano sulla difficoltà di comprensione di alcune opere, dall’altra il pubblico che

ammira le opere che puntano sull’emozione e di chiara lettura. Il “San Sinofrio” di Ingres invece

presuppone molte conoscenze per la sua comprensione. La composizione è inoltre molto complessa

(Delaroche invece inserisce poche figure, è tutto ridotto all’essenziale, anche l’ambientazione). I dipinti di

storia di Delaroche non sono molto grandi, e quindi potevano essere comprati anche da un pubblico meno

ricco (ma comunque abbiente). “Le donne di Algeri” di Delacroix, esposto nel Salon del 1834: è una scena di

genere. Un interno

domestico: l’ambiente

non è parigino ma

esotico. Delacroix era

stato nel 1832 in

Marocco, che in

quell’anno era

diventato colonia

francese: egli infatti

va in missione per

prendere possesso

ufficiale della colonia

con altri funzionari. Il

mondo esotico aveva

affascinato Delacroix

già a partire dalla

“Scene di massacri di

Scio” negli abiti di

foggia orientale che

hanno sia i turchi, sia i

greci. Lo stesso

avviene nella “Morte di Sardanapalo”: è qui però un oriente di leggenda, non contemporaneo (soggetto che

soprattutto in primo piano mostra suggestioni importanti nei gioielli, nei vestiti, nella bardatura del cavallo,

nella pelle chiara della schiava e nella pelle scura dell’uomo che trascina il cavallo). Nelle “Donne d’Algeri” il

soggetto non è più determinato da un fatto storico o leggendario, ma da un’esperienza concreta fatta

dall’artista tra il 1832 e il 1833: il dipinto viene realizzato però a Parigi (in loco disegni e schizzi).

L’esperienza di questo viaggio fa maturare le risorse pittoriche di Delacroix: prima era un oriente di

invenzione, ora la conoscenza diretta gli fa scoprire come la luce del Nord Africa abbia una qualità molto

diversa da quella parigina (quella parigina è molto pura, limpida e quindi diversa da quella calda, che entra

anche negli ambienti in modo diverso, dei paesi mediterranei): è pulviscolare, mangia quasi la definizione

delle singole figure. In “Scene del massacro di Scio” la luce del primo piano è diversa da quella del fondo:

ora in “Donne d’Algeri” è la stessa luce che avvolge tutta la stanza. Esperienze simili cambieranno l’occhio

di artisti anche nel 1900. Delacroix sfrutta anche tutte le risorse dell’ambiente attraverso un’inquadratura

molto ravvicinata: i tessuti portano una ricchissima variazione cromatica, elementi di arredo, un narghilè. Il

quadro viene elaborato montando i vari schizzi presi in Africa (è quindi una composizione inventata). Anche

qui c’è il confronto tra i colori della pelle delle donne, espediente per far vibrare la tela.

Horac Vernet, nel Salon del 1834 “Il narratore arabo di

storia”: scena di storia ambientata in un paesaggio

orientale. Una tribù di arabi intenti ad ascoltare la

narrazione fatta dal personaggio in primo piano (il

protagonista, evidenziato dal mantello a righe

differente e dal gesto che esplicita il fatto che sta

parlando). Volontà di restituzione quasi documentario

dell’oriente: è un quadro che gioca sugli effetti di

verosimiglianza. Vernet agisce su un genere diverso con

gli stessi strumenti di Delacroix. In Vernet e Delaroche

però la presenza del pittore è messa tra parentesi

(opposti a Ingres e Delacroix): l’attenzione è posta sul

soggetto.

La “Grande odalisca” e la “Piccola odalisca” di Ingres

sono entrambi soggetti esotici.

Il “Martirio di San Sinforio”, presentato al Salon del

1834: l’incarico di eseguire l’opera gli fu dato nel 1824

(quando Ingres era stato ammirato per

“L’Incoronazione di Luigi XIII”) dal vescovo di Autun,

che dà indicazioni molto specifiche. Doveva essere una

pala d’altare, il primo piano doveva avere il giovane

martire, il martire deve essere accompagnato al

martirio da due littori, attorno a Sinforio ci deve essere

Ingres, Odalisca con la schiava – 1846 (Galleria la calca della popolazione (che aveva assistito

Bonne Nouvelle) all’esecuzione), la folla deve essere piena di orrore e

pietà (che il martirio del santo aveva suscitato), deve

esserci il console romano (al centro della tela, in secondo piano con la veste rossa), ci deve essere

un’ambientazione architettonica che ricordi il periodo romano. Gli artisti, anche se famosi, venivano quindi

ancora costretti a lavorare in una sorta di gabbia: Ingres infatti impiega dieci anni per realizzare questo

dipinto (inoltre era impegnato in altre commissioni in quanto, per lungo tempo, pittore di corte). Ci sono

molti disegni che attestano il lavoro di

composizione di Ingres. Gli studi sono interessanti,

perché attestano una modalità di lavoro vicina a

quella di David: prima definizione anatomicamente

perfetta dei nudi, poi loro vestizione (secondo la

formazione accademica e l’atelier di David). Si nota

la caratterizzazione fisionomica, ritratti quasi

(seppur di fantasia) per convincere gli spettatori

della verità del fatto storico. Nel dipinto il santo è

collocato al centro, indossa un mantello bianco che

lo distingue dagli altri personaggi così come la posa (braccia aperte, che significa che risponde alle

sollecitazioni della madre, posta in alto e retta da un angelo: ella sostiene il figlio ad accettare il martirio).

Ingres coglie dalle “Sabine” di David una composizione agitata dove emerge subito il protagonista

(caratterizzata da posa e nota bianca delle vesti). Inoltre San Sinforio ha una definizione un po’ femminile:

egli è un ragazzo, ma nei tratti del volto presenta dei lineamenti effemminati (infatti Ingres per il santo

studiò come modello una donna). La madre, risoluta (di solito invece le donne sono disperate, passive

rispetto all’evento) sembra essere il motore della scena, incitando il figlio. I due littori mostrano diversi

atteggiamenti, che connotano la scena come realistica. Il console, puntando il braccio in avanti, indica il

luogo dove il santo deve essere ucciso. La composizione è molto congestionata e da qui deriva la difficoltà

di comprensione. C’è una sproporzione tra personaggi in primo piano, e elementi architettonici (come la

madre in alto, che dovrebbe essere molto più piccola). Il fascio luminoso che colpisce la madre stabilisce un

dialogo immediato con il santo. La figura del santo, come una grande X, determina il primo piano: il console

con il braccio in avanti sembra suggerire della profondità spaziale, contraddetta però dalla posa del santo. È

tutto molto compresso: Ingres abbandona le regole che permettevano una lenta lettura del dipinto. Il San

Sinforio è un’opera che spiazza i contemporanei: non sanno incasellarla. Se nelle odalische la forza plastica

delle figure era scomparsa qui, nei littori in particolare, invece insiste sulla muscolatura dei personaggi

(disattendendo le attese che il pubblico aveva nei confronti di Ingres). Il dipinto per la costruzione (disegno

e poi colore) può essere inserito nel solco del classicismo; ma la muscolatura così intensa non si trova nel

classicistico Raffaello, solo nei suoi allievi (come Giulio Romano e i manieristi). Dentro il dipinto la

dimensione espressiva intensa potrebbe rifarsi al romanticismo ma la costruzione accurata, basata sul

disegno, non ci può far ascrivere Ingres alla corrente romantica. I critici dell’epoca tendevano infatti a

distinguere in due categorie (classicismo, romanticismo): questo quadro allora si disse che “sta a sé”, è

Ingreismo. Nel 1834 la monarchia di Luigi Filippo aveva deluso molti liberali, gli squilibri sociali erano

accentuati dalla crisi economica causando scioperi soprattutto a Parigi e a Lione (città industriale della

seta): nel mese prima dell’apertura del Salon c’era stata una rivolta a Parigi e l’esercito interviene.

All’interno di questi scontri avviene un episodio che suscitò

scandalo: strani movimenti nella finestra di una casa. Immaginando

che fossero rivoltosi, i soldati entrarono e spararono: uccisero così

una famiglia inerte. I giornali repubblicani e liberali avevano

denunciato questo fatto. Honoré Daumier, in una litografia, mostra

il fatto: un padre di famiglia con la camicia da notte insanguinata,

sotto di lui il figlio, in ombra a sinistra il cadavere della moglie, a

destra il “nonno”; la stanza è disordinata. Daumier pubblica anche

un’altra litografia: in primo piano figura di un lavoratore, un

litografo (protagonista della scena, con maniche alzate e pugni se

Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
78 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/03 Storia dell'arte contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher n.y.313 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'arte contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Rovati Federica.