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Le concezioni di tempo astratto in molte culture sono più legate all’esperienza piuttosto che al
concetto astratto. Anche noi spesso usiamo espressioni di tempo imprecise, es a notte fonda, ma
sono sussidiarie rispetto ad indicazioni cronometriche, il senso di tempo non quantizzato è
presente in tutte le società che hanno bisogno di rievocare periodicamente l’atto che considerano il
fondamento della propria esistenza. Il tempo non quantificabile è detto qualitativo e non è certo
sconosciuto nella nostra società moderna fondata sui ritmi temporali quantizzati.
Lo spazio e il tempo sono intrinsecamente connessi nel pensiero umano, e lo spazio si rivela molto
spesso centrale nella memoria collettiva (es grotta della natività). Nelle culture umane si ripresenta
costantemente la necessità di concepire un luogo dello spazio, un centro, che valga da punto di
riferimento e di sicurezza. Lo studioso Christopher Hallpike ha sviluppato una teoria della
distinzione tra:
- pensiero operatorio: mette in relazione spazio e tempo considerandoli due variabili dipendenti
- pensiero preparatorio: questa percezione è assente (esempio macchine su pista)
Sistemi “chiusi” e sistemi “aperti”
Il pensiero umano, per quanto non sia affatto coerente una assoluto, tende sempre alla ricerca di
una coerenza, e questa caratteristica è condivisa da tutti i sistemi di pensiero. (esempio Marcel
Griaule, Dogon). Mettendo a confronto i sistemi di pensiero africani con quelli occidentali, Horton
ha scoperto che non sono poi così diversi: il primo ricerca il senso delle cose, l’unità dei principi e
l’ordine del mondo negli dei, i secondi nel pensiero scientifico moderno. Tuttavia nei sistemi di
pensiero africani le analogie esplicative sono personalizzate: le spiegazioni di un dato evento
vengono date a seconda dell’individuo e del contesto, non prese globalmente. Horton elabora
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anche una distinzioni tra sistemi aperti (cioè quelli occidentali, che fanno capo a modelli di natura
scientifica e sono aperti a conoscerne di nuovi) e chiusi (dove l’unica conoscenza è la propria), la
classificazione è troppo rigida e deve essere presa in modo relativo, soprattutto perché varia
moltissimo da luogo a luogo.
Pensiero metaforico e pensiero magico
Le espressioni metaforiche non sono esclusive del nostro modo di pensare e comunicare (esempio
arara rossi dei Bororo). Per magia si intende comunemente un insieme di gesti, atti e formule
verbali mediante cui si vuole influire sul corso degli eventi e sulla natura delle cose, un gesto
magico sarebbe invece un’azione compiuta con l’intento di esercitare un’influenza di qualche tipo
su qualcuno o qualcosa. Ci sono gesti sia di magia nera, operazioni verbali o materiali condotte su
qualcosa che è appartenuto alla personale si vuole colpire, o bianca, che mira invece a produrre
effetti benefici. I primi antropologi interpretavano la magia come un’aberrazione intellettuale o una
scienza imperfetta, dividendola in due tipi:
- magia imitativa: com il gesto di indossare la pelle di un animale per trarne la forza, perciò di
imitarlo per diventare come lui
- magia contagiosa: entrare in contatto con qualcosa per conservarne, pur allontanandosi, il
potere di agire l’una sull’altra.
Frazer teorizza inoltre che essendo l’uomo sempre coerente, la magia sia stata solo una delle tre
fasi dell’esperienza, seguita dalla religione e dalla scienza.
Malinowski invece contrappone nettamente magia, religione e scienza: la religione serviva per
spiegare i grandi misteri della vita (es bene e male), mentre la magia a dare risultati praticii (es
pioggia). La magia in pratica non è altro che una sorta di gesto scaramantico, o rassicurazione.
Il pensiero mitico
I riti fanno spesso riferimento a dei miti. I miti fanno spesso riferimento ad eventi che avrebbero
dato origine al mondo e all’aspetto che quest’ultimo possiede attualmente, ignorano lo spazio e il
tempo e disegnano una situazione originaria come caratterizzata da una profonda unità degli
esseri. Le funzioni del mito sono molteplici: speculativa, pedagogica, sociologica, classificatoria,
serve a giustificare e a fissare una morale. Levi strauss è l’unico a teorizzare che i miti siano sciolti
dalla vita sociale e dalla cultura, dividendoli e classificandoli in mitemi,
Identità, corpi, persone
L’appartenenza di un individuo ad un gruppo è resa possibile dalla condizione, almeno parziale, di
determinati modelli culturali. L’idea di far parte di un Sè collettivo, un un Noi, si realizza attraverso
comportamenti e rappresentazioni che contribuiscono a tracciare confini, delle frontiere nei
confronti degli Altri. La nostra cultura ha un’idea piuttosto rigida della propria identità, ma non è
così per altri popoli (esempio Tupinamba cannibali). Il corpo degli esseri umani è culturalmente
disciplinato nel senso che le tecniche che sono preposte all’attuazione di tale disciplina dipendono
dai modelli culturali in vigore, la società cerca di imprimere nel corpo dei suoi componenti i segni
della propria presenza, il corpo è inoltre un veicolo privilegiato per la manifestazione della propria
identità. Il modo antropologico di accostarsi alle concezioni di salute e malattia ha posto in
evidenza come non vi sia una medicina che possa considerarsi svincolata dal contesto sociale o
culturale entro la quale viene catturata. Di evidente importanza per l’antropologia è anche la
bioetica: lo studio degli atteggiamenti e delle idee implicite nel nostro modo di trattare il corpo
umano nella relazione con la sfera della persona, della dignità dell’individuo, della sua libertà, del
suo diritto alla vita ecc.
Sesso,genere,emozioni
Le differenze sessuali sono quelle legate alle caratteristiche anatomofisiologiche di un individuo, le
differenze di genere risultano invece dal diverso modo di concepire culturalmente la differenza
sessuale. Queste due dimensioni identitarie sono perciò molto diverse tra loro e distintive ma nella
pratica sociale tendono a fondersi in rappresentazione a comportamenti di un certo tipo. Gli stati
d’animo, o emozioni, non sono espresse universalmente nello stesso modo, non sono frutto diana
natura genetica, ma del contesto culturale nel quale siamo cresciuti da bambini. Per questi motivi
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il problema dello studio delle emozioni è la traduzione di queste: in molte culture presso le quali gli
antropologi hanno condotto ricerche sulla dimensione dell’interiorità mancano di un termine unico
per indicare gli stati d’animo che noi chiamiamo emozioni. Vi sono perciò molti stati d’animo,
emozioni e sentimenti connessi con espressioni corporee che mutano da cultura a cultura.
Casta, Classe, Etnia
Il termine casta viene oggi utilizzato in maniera fluida e generica in riferimento a gruppi sociali
ritenuti superiori o inferiori ad altri e che, per questa loro caratteristica, tendono a condurre una vita
in qualche modo separata da quest’ultimi. Tuttavia in antropologia ha un significato molto più
specifico: venne creato dai navigatori portoghesi che giungendo in india lo usano indistintamente
per classificare:
- varna: significa colore, sono le 4 categorie sociali principali della tradizione indù: sacerdoti,
guerrieri, commercianti e contadini (più gli intoccabili)
- i jat: significa discendenza, e sono una sottocategoria dei varia che corrispondo in via teorica ad
uno specifico gruppo occupazionale (fabbri, muratori, barbieri etc)
Non è possibile muoversi dalla propria casta (sia varia che jat) in quanto sono disposte
gerarchicamente in base alla purezza rituale.
Molto diverso è invece il totemismo australiano, dove ogni individuo o gruppo viene associato ad
un elemento della natura e con esso si deve identificare. I gruppi totemistici si autopercepiscono
come gruppi culturali mentre le caste indù come gruppi naturali.
Diverse ancora sono le classi come concepite da Marx in poi, nulla vieta in via teorica infatti ad un
proletario di diventare capitalista, nelle caste indù ciò non è ammissibile.
Gli antropologi impiegano il termine etnia per indicare un gruppo umano identificabile mediante la
condivisione di una medesima cultura, di una medesima lingua, di una stessa tradizione e
territorio. Tuttavia l’eticità tralascia di considerare il fatto che gruppi simili non esistono in assoluto.
L’eticità e la coscienza di classe sono esclusive l’una dell’altra.
La parentela come relazione e come rappresentazione
le parentele oltre a costituire un campo speciale di relazioni sociali, quelle cioè fondate sulle
relazioni consanguinee e/o sul matrimonio, coincide con un complesso di rappresentazioni
riguardanti la concezione che ogni società ha dei rapporti tra esseri umani. Nel corso della storia
gli esseri umani hanno escogitato diversi modi per determinare la discendenza dei nuovi nati:
- patrilineare (o agnatica): ego traccia la propria discendenza attraverso legami maschili, è
unilaterale
- matrilineare (o uterina): ego traccia la propria discendenza attraverso legami femminili, è
unilaterale
- cognata, fondata su legami attraverso una linea sia di sesso maschile che femminile,è
unilaterale
- discendenza doppia: sia patrilineare che matrilineare, alcuni aspetti ereditati dall’uno e altri
dall’altra
- società bilaterali: senza gruppi di discendenza (euro-americana)
Un gruppo corporato è un gruppo fondato sul principio della discendenza il quale condivide su basi
collettive, i diritti, i privilegi, le forme di cooperazione economica la politica e rituale.
Il linguaggio è tipico dei gruppi porporati ed è costituito da tutti coloro che possono tracciare una
comune discendenza da un determinato individuo, si parla di patrilignaggio o matrilignaggio
I clan invece sono gruppi di discendenza i cui membri non possono ricostruire la successione degli
individui che connettono il loro lignaggio, ma che hanno un forte sentimento di appartenenza ad
una comune discendenza (spesso divina o mitica).
Le terminologie di parentela
La terminologia di parentela è il complesso dei termini di cui una società dispone per designare gli
individui di consanguineità o alleanza. Tuttavia molti preferiscono usare il termine “terminologia di
relazioni” in quanto spesso il nostro concetto di “padre” non corrisponde a quello di altre culture.
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All’inizio del 900 Alfred L.Kroeber mise in evidenza come nello studio delle terminologie si debba
tenere conto di un certo numero di fattori, i quali corrispondono ai principi che regolano la
costituzione dei sistemi terminologici di parentela:
- la generazione
- il sesso
- la distinzione tra consanguinei e affini