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RAZZA E CULTURAlé

vi Strauss torna sul concetto di razza dicendo che è impossibile definirlo per un etnologo dal mo-mento che perfino gli specialisti di antropologia fisica, che ne discutono da due secoli, non riesconoa intendersi. Al di là delle caratteristiche fisiche più evidenti ci possono essere variazioni che inte-ressano i caratteri non immediatamente percettibili ai sensi. Su tutti interviene il concetto di adatta-mento all’ambiente, che è un elemento fondamentale, così come anche i condizionamenti sociali eculturali. Infatti gli infanti africani e nord americani differiscono tra di loro molto di più di quantonon lo siano i nord americani, bianchi o neri, fra di loro: infatti i neonati americani, qualunque sia laloro origine razziale, sono allevati nello stesso modo. La diversità delle culture non è legata a unadiversità razziale. Le culture si riconoscono tra loro diverse e finché questo accade

possono siaignorarsi a vicenda, sia desiderare il dialogo. In entrambi i casi possono minacciarsi o anche attac-carsi, ma senza compromettere realmente le loro rispettive esistenze. La situazione cambia total-mente quando alla nozione di una diversità, riconosciuta da entrambe le parti, subentra presso una delle due, il sentimento della sua superiorità, fondato su rapporti di forza, e quando il riconosci-mento positivo o negativo della diversità delle culture, cede il passo all’affermazione della loro di-suguaglianza in termini di valore. Il problema non è quello di un eventuale legame genetico di una popolazione e di un suo presunto progresso culturale: ancora una volta il discorso è su un piano economico. Se anche esiste questa superiorità relativa dell’occidente che si è affermata in un tempo molto breve non si può dedurre che questa sia fondamentale o definitiva. La storia non va a senso unico. L’occidente si

è reso conto che anche i suoi progressi hanno comportato delle enormi contropartite. (es.: giocatore su diversi tavoli, umanità che sale la scala). Anche i biologi hanno dovuto rivedere il loro concetto di criterio evolutivo perché ci sono una serie di variabili che sono estremamente presenti. Adesso si fa strada la speranza di conciliare la diversità delle culture con l’affermazione della loro disuguaglianza. Diversità non porti avanti analisi di valore; disuguaglianza è in termini di valore: migliore e peggiore. Anche i biologi hanno riconsiderato il concetto di tragitto che dà l’idea di un concetto a senso unico: e poi l’albero si è mutato in traliccio. (es.: viaggiatore sul treno) → non si riesce ad avere valutazione oggettiva di ciò che accade attorno a lui. Ogni membro di una cultura le è strettamente solidale tanto quanto il viaggiatore ideale lo è con il suo stesso treno. Dalla nascita ci portiamo dietro

patrimonio complesso di comportamento, motivazioni, giudizi impliciti che ci impediscono spesso di percepire altri insiemi culturali se non attraverso quello che appare differente rispetto al nostro sistema. Addirittura possiamo arrivare ad ignorare, a non vedere gli altri proprio perché sono diversi da noi. Molte abitudini e usi di popoli cosiddetti primitivi, che sono apparsi per molto tempo indice di arretratezza per l'uomo occidentale, hanno acquistato un senso diverso alla luce di una nuova scienza, nata verso il 1950, la genetica delle popolazioni. Tale scienza si è indirizzata allo studio di molte popolazioni nell'America tropicale e in Nuova Guinea. Abbiamo la tendenza a considerare le cosiddette razze più lontane dalla nostra come le più omogenee. Per un bianco tutti i gialli si somigliano, ma è vero anche l'inverso. La situazione reale è molto più complessa. Le unioni umane si sono verificate attraverso una

Serie di condizioni che hanno portato a una evoluzione molto più rapida fra gli uomini di quella che si osserva in genere tra le specie animali. Si deve riconoscere che le condizioni di alcune popolazioni considerate molto arretrate erano invece le più idonee a mantenere l'evoluzione umana e a conservarle il suo ritmo, mentre invece le enormi società contemporanee, in cui gli scambi genetici avvengono in altro modo, tendono a frenare l'evoluzione. Si è scoperto che presso i cosiddetti selvaggi la mortalità infantile e quella da malattie contagiose sono ben minori di quanto si possa credere (poligamia, aborto, infanticidio). Nelle tribù selvagge anche contemporanee la carica di capo non è ereditaria: per esserlo bisognava possedere non solo determinate attitudini fisiche ma anche capacità di comando, spirito di iniziativa, gusto per gli affari. Questo spiega perché soltanto il capo è poligamo (diffonde le sue

particolari virtù le trasmette ai più figli per creare una razza mi-gliore). Vengono fortificate forme di selezione naturale.Così come, sempre nelle società primitive, ci sono riti e credenze che ci appaiono ridicoli, ma cheservono a mantenere il gruppo umano in equilibrio con l’ambiente naturale: il fatto che le piane sia-no considerate esseri viventi e chiedere loro scusa… animali da cacciare nello stesso modo rispar-miando femmine e cuccioli; uomini animali e piante hanno patrimonio di vita comune: ogni abusoche si compie si traduce in danno di speranza di vita per l’uomo.Con l’ingresso della genetica delle popolazioni si è verificato un altro rivolgimento: per tutto il XIXsecolo e la prima metà del XX ci si è chiesti se la razza influiva sulla cultura e, se sì, in che modo.Adesso ci accorgiamo che le cose si svolgono in seno esattamente inverso. Il ritmo e l’orientamentodell’evoluzione

La biologia dell'uomo è determinata per lo più dalle forme di cultura adottate nei vari luoghi. Non è la razza che influisce sulla cultura, ma la cultura che influisce sulla razza. È la cultura di un gruppo che determina i limiti geografici che esso si assegna o subisce; i rapporti di amicizia e di ostilità che mantiene con i popoli vicini e anche l'importanza degli scambi genetici che si potranno stringere grazie ai matrimoni misti, permessi, favoriti o vietati. Quanto i genetisti sostengono al livello del genoma individuale lo è anche per il genoma di una popolazione che, grazie alla combinazione fra vari patrimoni genetici, deve stabilire un equilibrio ottimale capace di migliorarne le probabilità di sopravvivenza. In questo senso si può dire che la ricombinazione genetica nella storia delle popolazioni esercita una funzione comparabile a quella svolta dalla ricombinazione culturale nell'evoluzione dei modi di vivere.

delle tecniche, delle conoscenze e delle credenze la cui varia ripartizione definisce una società. Ci sono anche molte differenze. Innanzitutto i patrimoni culturali evolvono molto più rapidamente dei patrimoni genetici: tra la cultura dei nostri bisnonni e la nostra c'è un abisso. Poi il numero delle culture che esistono sulla terra sorpassa di gran lunga delle razze: parecchie migliaia contro qualche decina. Proprio questi enormi scarti confutano i teorici che sostengono che sia il materiale genetico a pilotare la storia: infatti questa cambia molto più in fretta di quello e per vie molto più diversificate. Soltanto da dieci anni, dal 1960, abbiamo incominciato a capire che si discuteva del rapporto tra evoluzione organica ed evoluzione culturale in termini metafisici. L'evoluzione umana non è un sottoprodotto dell'evoluzione biologica ma ne è comunque condizionata. È oggi possibile la sintesi tra questi due.

atteggiamenti tradizionali. In effetti la lotta al razzismo è stata poco efficace sul piano umano perché è probabile che le differenze razziali continueranno a servire da pretesto alla crescente difficoltà di vivere insieme percepita a livello inconscio da una umanità in preda all'esplosione demografica che sembra odiare se stessa come se una prescienza segreta l'avvertisse che sta diventando troppo numerosa perché tutti possano fruire liberamente dei beni essenziali: acqua, spazio, aria non contaminata. In effetti non si vedono vere soluzioni al problema razziale. La tolleranza reciproca presuppone due condizioni che le società contemporanee sono lontanissime dall'avere realizzato: un'uguaglianza relativa da una parte, una distanza fisica sufficiente, dall'altra. Se una specie cresce in maniera esponenziale, quello che la specie ritiene essere un proprio successo, alla fine diviene disastroso.

perché non ci sono le risorse sufficienti per nutrire tutta questa popolazione. L'etnologo si rende conto che il problema razziale è soltanto una parte di un problema molto più vasto e cioè quello del rapporto tra l'uomo e le altre specie viventi. Non si può risolvere il problema che l'uomo abbia rispetto per un suo simile se non si ha rispetto per tutte le forme di vita. L'umanesimo occidentale, isolando l'uomo dal resto della creazione, l'ha privato di un baluardo di protezione, perché gli ha fatto dimenticare che se l'uomo è rispettabile lo è prima come essere vivente che come signore e padrone della creazione. Sotto questo aspetto l'estremo oriente buddista è di gran lunga superiore all'occidente. C'è un altro elemento che spinge l'etnologo a pensare che gli uomini possano vivere in armonia tra loro: il progresso si è realizzato nel corso dei secoli.

anche grazie alla separazione dei diversi gruppi umani. L'abbattimento di queste barriere, dato dagli sconvolgimenti della civiltà industriale ha fatto sì che venisse meno la possibilità di creare nuove esperienze culturali - la massificazione culturale. La creazione di una civiltà mondiale ha distrutto i vecchi particolarismi che avevano creato valori estetici e spirituali che noi chiudiamo in musei e biblioteche perché non siamo più in grado di produrli autonomamente. Le grandi epoche creatrici furono quelle in cui la comunicazione era sufficiente perché corrispondenti lontani si stimolassero senza tuttavia essere tanto frequente e rapida da annullare o livellare le diversità. L'umanità è esposta a un doppio pericolo: quello di autodistruggersi. Il ritorno al passato è impossibile ma anche la via su cui si è avviata accumula tensioni tali che l'odio razziale è solo una minima.parte dell'intolleranza esacerbata di domani. Dovrebbe cambiare tutto il corso della storia. SECONDO CAPITOLO L'etnologo di fronte alla condizione umana L'etnologia elegge l'uomo come oggetto di studio ma differisce dalle altre scienze umane in quanto
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Publisher
A.A. 2012-2013
4 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sara F di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli o del prof Niola Marino.