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INTRODUZIONE

Uno dei caratteri della cultura italiana è l'eterogeneità. Mentre in altri paesi i movimenti culturali sono regolati dalle normali scansioni di nascita, diffusione e declino, nella Penisola tutto viene a sedimentarsi. Il nuovo non scaccia il vecchio, tradizione ed innovazione convivono, passato e presente procedono di pari passo, le idee più diverse vengono assorbite con esiti in qualche caso di felice sincretismo, più spesso disgreganti e contraddittori. Se la cultura italiana si offre al giudizio con questi caratteri di disorganicità e provincialismo nazionalistico, è a causa delle travagliate e complesse vicende della Penisola, che l'hanno portata talora al centro, talaltra ai margini delle vicende del Mediterraneo, creando scompensi economici da zona a zona, determinando irriducibili distanze tra una classe e l'altra: tutto un groviglio di disparità e contraddizioni di cui le produzioni culturali sono appunto la.

rappresentazione tanto mediata quanto più eloquente. Queste considerazioni approssimano alla comprensione del significato storico della cucina italiana, sia perché essa trova spiegazione e giustificazione in quanto fatto di cultura nella storia del Paese, sia perché rappresenta le fondamentali caratteristiche della sua cultura. Natura e cultura sono sempre tenute insieme indissolubilmente grazie alla cucina, tanto al momento della produzione di cibi quanto nella fase del loro consumo. È troppo facile dimostrare le profonde connessioni tra il modo di nutrirsi dei singoli popoli e l'ambiente geografico nel quale essi sono vissuti nel corso dei secoli. Altrettanto facile è però segnalare la presenza di alimenti nella cucina dei diversi popoli, senza alcun rapporto con l'ambiente geografico, ma conseguenti a ragioni storico-culturali più o meno indipendenti da cause naturali. L'uso di certi aromi nella cucina italiana èovviamente da riferire a ragioni storiche precise delle quali la situazione naturale del Paese è partecipe solo per il fatto di trovarsi al centro del Mediterraneo. Il clima e i caratteri dei suoli, piuttosto che la storia, sono responsabili della massiccia presenza di cereali e legumi nella cucina nostrana. Oggi noi italiani godiamo della vite, dell'ulivo, delle arance e dei limoni e li consideriamo come sempre iscritti nel nostro paesaggio agrario. Per noi come per gli Stranieri essi sono l'Italia, la sua identità naturale. In realtà ciò che vediamo è un prodotto della sua storia. La cucina di tutti i popoli se da un verso ne riflette le vicende storiche, dall'altro resta dunque pur sempre profondamente radicata nella specificità dei loro ambienti naturali. La cucina, infatti, è fatto e processo di lunga durata; da qui il valore identificante e la privilegiata assunzione di essa (la cucina) da parte di tutti i popoli.segno della propria identità etnica. Il cibo, nei giorni di festa, nelle feste contadine, nel corso delle cerimonialità campestri, della ritualità della natura, diventa un concreto mezzo di contatto e di partecipazione con il sacro, l'alimento, il piatto in cui il divino si evidenzia. Un sacro connotato popolarmente che nel cibo festivo, quello che scandisce le ritualità del mondo della tradizione, assume le più sorprendenti forme e pratiche che il presente tende a dimenticare. Una consapevolezza che nutre e spiega anche il prezioso cibo etnico del territorio quale, ad esempio, la polenta, alimento immigrato ma, al contempo, topos identitario della valle del Po, una certezza gastronomica che permette alle popolazioni del fiume di scambiare e di storicizzare alla pari culture, affetti, ideali di prossimità e di lontananza. Un altro eclatante esempio da tenere in considerazione è il Canto delle Uova, risorsa immateriale che il mondo.

Il contadino ci ha consegnato per affrontare ed interpretare gli irriducibili tempi e spazi calendariali che ritmano il presente. Il Canto delle Uova narra e rifunzionalizza la pratica antropologica del dono e del controdono; il canto che annuncia la primavera viene scambiato con le uova, le quali rappresentano il primo e prezioso alimento fresco della cascina che si risveglia dall'inverno. In questa pratica rituale si ritrovano le ragioni dello stare insieme, del fare comunità, del costruire una condivisa identità. L'aver perduto le narrazioni mitiche e affettive che l'alimento consumato si è sempre portato con sé, per ragioni che spesso lo scorrere del tempo del nuovo millennio non giustifica, rischia di ridurci a consumatori, a merce che esaurisce merce. A partire da questa drammatica consapevolezza dobbiamo ritrovare nella terra che ci manca, nel lavoro nei campi e nel cibo quei valori, i tratti simbolici, che le generazioni che ci hanno preceduto

hanno costruito con umiltà e sapienza. In questo nuovo indirizzo di senso il mondo contadino e quello metropolitano si possono riconoscere non come mondi contrapposti ma come coproduttori, soggetti attivi, propositivi di una strategica filiera, quella del cibo.

IL CIBO COME MISURA DEL MONDO

Quella categoria che convenzionalmente definiamo come tradizione popolare, oggi, appare sottoposta a radicali trasformazioni, mutamenti che hanno preso lungo nell'ultimo secolo, anche se basterebbe pensare anche solo agli ultimi decenni. In passato la tradizione orale, che perpetuava di generazione in generazione l'identità popolare, conservandone il valore, si fondava su gesti e su parole che ad ogni reiterazione rituale avevano la funzione di ribadire e soprattutto riattualizzare i saperi prodotti e condivisi dalla comunità nel corso di un lungo processo evolutivo. Il Novecento più di ogni altro secolo, con i suoi processi di alfabetizzazione di massa, narra di questa

profonda trasformazione che altera ed investe i saperi, le conoscenze, relegando il gesto e la parola all'oralità tradizionale alla marginalità rispetto alle egemoniche istanze comunicative che la scrittura impone. Tale processo ha prodotto una marginalizzazione delle tradizioni popolari e, conseguentemente, la scomparsa di modelli di vita, di pratiche, di saperi appartenenti alla memoria collettiva delle comunità; ciò è avvenuto con maggior peso in quei contesti in cui la scrittura, a seguito dei processi di colonizzazione, si è imposta soppiantando i saperi tradizionali. Le categorie culturali e i connessi sistemi simbolici, che vanno dai codici dell'abbigliamento al canto popolare, dalla fiaba alla danza tradizionale, sono quasi sempre contenitori vuoti che poco spiegano l'originario contenuto. [...]

Poche generazioni e una rapida acculturazione separano il mondo popolare, contadino, dal tempo della tradizione caratterizzato da un

più profondo e sapienziale rapporto con i ritmi della natura. Le stagioni, gli astri ed in particolare la luna, scandivano il calendario contadino ciclico, qualitativo, liturgico, opposto a quello che l'Occidente ha imposto, caratterizzato da un tempo metropolitano lineare, cronometrico e laico.

Tra i pochi saperi che non si sono arresi al processo fordista ad un destino di rimozione ci sono quelli connessi al cibo, alla cultura alimentare, al patrimonio gastronomico. In molti casi la ri-apparizione, re-invenzione e la ri-funzionalizzazioni di pratiche appartenenti alla tradizione del passato sono riproposte come pratiche neo-comunitarie che non sempre coinvolgono attori locali quali la gente, il popolo, la comunità, ma sono piuttosto proposte grazie all'impegno di istituzioni, intellettuali locali e organizzazioni che agiscono alla reinvenzione in un'ottica spesso non solo culturale quanto economica, promozionale, turistica. Grazie a questi interventi, negli ultimi

Decenni del Novecento è stato un progressivo tentativo di recupero di alcuni dei ritmi costitutivi del calendario della tradizione, in particolare della festa comunitaria di tradizione orale, ha cominciato a riapparire con una certa frequenza e sistematicità, perlomeno in Europa. L'individuo che vive quotidianamente di spazi e i tempi strumentali della società complessa inizia a consolidare un percorso pendolare che talvolta lo porta a ri-ancorare la propria esistenza e la propria sopravvivenza culturale ai ritmi della tradizione. [...] Il cibo, nelle forme e nelle pratiche della tradizione, conosce assai meno i complessi processi di invenzione, di reinvenzione, perché conserva ancora una memoria attiva del suo trascorso. Una memoria, una tracciabilità materiale, ma anche fortemente simbolica. La tradizionale cucina contadina apparteneva infatti ai compiti e alle competenze di quel soggetto riproduttivo che il mondo rurale riconosceva essenzialmente.

Nella donna, nella figura di madre e di nutrice, che pertanto doveva generare molti figli, possibilmente maschi, affinché la cascina disponesse di braccia per i campi e assicurasse solidarietà e mutualità generazionali; ed era suo compito, inoltre, provvedere al fabbisogno della famiglia. Alla donna di casa veniva assegnato, dunque, l'incombente e gravoso compito di provvedere per la sopravvivenza della famiglia, nonostante la scarsa disponibilità di materie prime contribuisse a rendere difficile la cura secondo diete alimentari appropriate. In questo quadro la conoscenza delle erbe costituiva uno dei più importanti saperi che la donna di casa doveva dominare per mantenere in salute la famiglia. Oggi la cucina tradizionale vede affacciarsi un nuovo attore, il maschio, impegnato ai fornelli dell'innovazione e della tradizione. In generale, la ricerca sulla cucina tradizionale permette all'individuo di trovare nei piatti del passato tratti affettivi.

identitari, generatori di comunità. La cucina ritrovata non richiama più l'antico fabbisogno di calorie che ha condizionato le culture della sopravvivenza, oggi provvede soprattutto ad imbandire tavole simboliche, diventando rigeneratrice, ricostruttrice di memorie forse più di ogni altro tratto della tradizione. Si potrebbe ipotizzare che l'inedita autorappresentazione dell'uomo in cucina sia anche uno degli esiti della crisi che ha segnato la ricomposizione della famiglia contemporanea, mononucleare, un regime di coppia con pochi o senza figli. La cucina tradizionale in buona parte si fondava sulla capacità, la creatività e la fabrilità della donna che sapeva re-interpretare con genialità e oculatezza i prodotti della cascina. Ciò che rimaneva di un pranzo, veniva recuperato in un processo culinario ricombinatorio che ha generato, nei secoli, l'eccezionalmente ricca e parsimoniosa cucina contadina. Se questi sono

alcuni degli esiti che attengono alla riscoperta del tempo e delle pratiche della tradizione e contemporaneamente alle nuove funzioni che il cibo potrebbe assumere nella società contemporanea, possiamo convenire che il sempre più avvertito bisogno di salvaguardare la biodiversità sia ancora più urgente.

Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
13 pagine
15 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher mtt_sold di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Bonato Laura.