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Identità, Memoria, Radici
L'associazione fra tradizione e identità costituisce il centro del nostro dibattito culturale, come se l'identità collettiva possa essere concepita come qualcosa che è legato direttamente e solo alla tradizione. Una delle affermazioni che oggi ricorrono con maggiore forza è: "l'identità si fonda sulla tradizione". Chi lo sostiene, sembra quasi dare per ovvio il fatto che l'identità sia un prodotto della tradizione, lasciando al passato la facoltà di capire chi siamo nel presente. Questo da un certo punto di vista può essere vero, quasi ovvio è invece affermare che la tradizione, la lingua che apprendiamo, le abitudini alimentari contribuiscano a rafforzare la personalità di un individuo. E, poiché questo è un aspetto condiviso da più persone, sembra
ovvio pensare che essi contribuiscano a consolidare l'identità collettiva del gruppo di cui facciamo parte, nonché tutto l'insieme dei sentimenti di appartenenza. D'altronde, nessuno nega che il nostro panorama culturale possa contenere modi di pensare e concepire il mondo propri del passato: Istituzioni → Concetti → Parole → Grandi libri. È interessante un messaggio scritto da TVETAN TODOROV: "occorre superare la sterile opposizione fra queste due concezioni: da un lato l'individuo disincarnato e astratto, che esiste fuori dalla cultura; dall'altro l'individuo imprigionato a vita nella propria comunità culturale d'origine." Se esiste un qualcosa che connota la cultura, bene, questo è proprio il suo mutare, il suo trasformarsi nel tempo; quindi appartenere alla specie umana, significa possedere in primo luogo la possibilità di cambiamento. L'esempio più chiaro di questo.Il concetto deriva da un discorso di MARCELLO PERA:
"i fondamenti morali li offrono le tradizioni... la nostra storia, la storia dell'Europa e dell'Occidente, è storia giudaico-cristiana e greco-romana. Scendiamo da tre colline: il Sinai, il Golgota, l'Acropoli. E abbiamo tre capitali: Roma, Gerusalemme, Atene. Questa è la nostra tradizione. Da qui sono nati i nostri valori. Senza le leggi di Mosè, senza il sacrificio del Cristo, non avremmo quel sentimento morale che ci fa sentire tutti - credenti e non - fratelli, uguali, compassionevoli. Senza la ragione dei greci e il diritto dei Romani, non avremmo quelle forme di pensiero che sorreggono le nostre istituzioni pubbliche. Lo so che, scesi da quelle colline, lasciate quelle capitali, abbiamo fatto tanto cammino grazie anche a tanti altri apporti. Ma lo abbiamo fatto a partire da lì, nutriti con ciò che abbiamo imparato da lì, convinti che il senso della strada fosse lì."
Chi rinnega queste origini tradisce la propria storia e perde la propria identità. Noi non dovremmo consentirlo."
La sua posizione è molto chiara: l'identità deriva dalle tradizioni e si trova in specifici luoghi mitologizzati, veri e propri monumenti culturali.
Quando si vuole indicare la tradizione culturale di un gruppo o di un paese, l'immagine che più ricorre è quella delle radici. Esse occupano una posizione dominante nelle metafore contemporanee che descrivono gli aspetti dell'identità. La metafora, infatti, non è solo un ornamento del discorso, ma è anche uno strumento conoscitivo. E questo accade anche nell'ambito della metafora delle radici.
Cicerone afferma: "ogni metafora [...] agisce direttamente sui sensi e soprattutto su quello della vista, che è il più acuto [...] le metafore che si riferiscono alla vista sono molto più efficaci."
Perché pongono al cospetto dell'animo ciò che non potremmo né distinguere né vedere." Nessuno può vedere la tradizione, ma tutti possono nella loro vita vedere le radici. Ecco perché in questo percorso su identità e tradizione, i ragionamenti vengono spostati sulle metafore. È necessario dare una più specifica attenzione alla ricerca di una definizione esatta di tradizione. La cultura classica in questo senso ci tramanda un episodio piuttosto singolare: una volta gli Ateniesi spedirono una ambasciata a Delfi, per porre una domanda particolare. Essi chiesero all'oracolo quali dovessero essere i riti sacri da conservare e quali no. L'oracolo rispose che i riti dovevano essere conformi al costume degli antenati, cosa che potrebbe suonare come un "attenetevi alla tradizione". Gli Ateniesi se ne andarono dall'oracolo; solo dopo aver sufficientemente riflettuto, decisero di tornare da Apollo per
un'ulteriore domanda. La risposta che ricevettero fu di attenersi al costume migliore. Questo episodio rivela un'insita saggezza, che riscontra la principale ingenuità nella domanda posta dagli Ateniesi. Non era possibile indicare la migliore o la vera tradizione, perché proprio come avevano constatato già essi, era cambiata numerose volte nel corso del tempo. Ecco spiegata in questo senso la risposta dell'oracolo.
Rimane il fatto che questa metafora, già usata anticamente da Pindaro, Cicerone e anche da altri, conserva il suo carattere fortemente icastico. Per meglio comprenderlo sarebbe opportuno fare riferimento alla retorica classica: il retore Trifone, fra i 4 tipi di metafore, assegna un posto di rilievo a quello che procede "dagli esseri animati a quelli inanimati". Con questa metafora si ottiene, infatti, proprio questo effetto: si designa con il termine radici, con un concetto astratto come la tradizione. Attraverso questa immagine vitale,
essa riceve la propriagiustificazione. Per questo:
Le radici stanno immerse nel terreno;
Sostengono la pianta;
Trasmettono al tronco, ai rami e alle foglie il nutrimento di cui hannoa bisogno.
Attraverso questa immagine, possiamo vedere come la tradizione si possa mutarein qualcosa di biologicamente primario, che sta immerso nella terra, qualcosa chenutre, ovviamente la nostra identità. Le radici non sono solo forti, sono sicuramentefondamentali. La conseguenza non può che essere: l'identità culturale radicataattraverso la metafora delle radici viene estesa a un intero gruppo,indipendentemente dalla volontà dei singoli.
Altra metafora riguarda le radici che lasciano il posto alle sommità. Se possiamoaffermare che le nostre radici culturali sono greco-romane, dobbiamo ammetteree accettare una nostra discendenza da Greci e Romani. Quello che sorprende ècome questa metafora funzioni in modo assolutamente identico
alla metafora biologica. Questa metafora ci permette allora di rifarci nuovamente al discorso di Marcello Pera, nel momento in cui indicava i tre luoghi culturalmente simbolici. Le radici o le sommità di cui abbiamo parlato finora sono delle metafore: come tali esse hanno di per sé efficacia e limiti. Questo vuole semplicemente indicare che la tradizione potrebbe essere rappresentata anche con altre immagini.
Chiaramente, nella società attuale, proprio grazie alla facilità di contatto con altre culture, è bene accetta la possibilità di cambiare spesso queste metafore: la nostra, è, infatti, una società che cambia, che cresce e in cui i modelli culturali possono facilmente entrare in parallelo con i nostri. La tradizione potrebbe essere immaginata come qualcosa che si unisce con dei tratti distintivi e assieme ad essi contribuisce a formare l'identità delle persone.
Scriveva Montaigne: "per il fatto di sentirmi impegnato in"
"una certa forma, non vi obbligo gli altri comefanno tutti: e immagino e concepisco mille contrarie maniere di vita."
La retorica classica era a conoscenza di quanto fosse necessaria la EVIDENTIA, ossia la vivacità della visione immediata, che viene suscitata nella mente degli ascoltatori grazie all'efficacia di certe creazioni linguistiche. L'immagine delle radici presenta però anche un'implicazione che finora non abbiamo trattato: questa metafora rimanda all'idea che l'identità provenga dal luogo in cui le radici affondano. Ci viene suggerita l'immagine secondo cui sarebbe la terra a comunicarci chi siamo, accogliendoci o respingendoci. L'immagine delle radici ha in sé un po' quel principio che i Greci definivano: autochtonia, convinzione di essere unici figli di una terra e superiori a tutti coloro che vi sono giunti solo in un secondo momento.
Ci sono alcuni esempi, che possiamo portare: Umbricio,
presente nella terza Satira di Giovenale, che si sentiva un vero Romano solo perché da bambino aveva respirato l'aria dell'Aventino;
I leghisti che non si distanziano molto dall'esempio precedente.
La tradizione non è qualcosa che ci viene dalla terra e neppure qualcosa che scende verso di noi: è qualcosa che si costruisce e si apprende.
È qualcosa che deriva da precise scelte di acculturazione e di apprendimento, come accade per qualsiasi altro tipo di conoscenza. La forza di una tradizione risiede proprio nel suo avere origine nel passato e nel fatto che ne si insegnano i contenuti nel presente.
Una tradizione è tanto più solida quanto più è forte l'intelaiatura che la sorregge nel presente, ossia, per spiegarci meglio, quanto più la si insegna e la si ripete. La tradizione deve essere costruita e si deve apprendere, ma senza l'ausilio della scrittura, probabilmente nulla di tutto questo.
Esisterebbe. Il migliore alleato di questo insegnamento si trova nei caratteri dell'alfabeto. Il problema che si viene a porre è anche il significato della MEMORIA COLLETTIVA e quanto essa sia determinante in una tradizione. Già Halbwachs Maurice aveva distinto due tipi di memoria: memoria collettiva e memoria storica. È la memoria interna, che raccoglie i ricordi che caratterizzano un certo gruppo. È fortemente legata alla presenza fisica dei propri membri, ma è anche vincolata al contesto sociale a cui fa riferimento. È indipendente da gruppi fisici o contesti sociali e tende a formarsi nel momento in cui la tradizione vivente della memoria dei gruppi è tramontata. Questa concezione, così come vista dall'autore, si rivela oggi abbastanza inadeguata.