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Il conflitto tra ragione e spirito nella tragedia di Antigone
Questo traspare da tutte le produzioni culturali e istituzionali greche. Ad esempio, nel teatro di Sofocle, Antigone (protagonista dell'omonima tragedia) si oppone a Creonte (re di Tebe) poiché questi non consente la sepoltura del di lei fratello Polinice, reo di aver combattuto contro la Città, in tal modo si genera un conflitto che la ragione e il dialogo non riescono a risolvere; Antigone onora le divinità familiari che impongono la sepoltura (legge spirituale), mentre Creonte fa valere la ragione di Stato che la esclude (legge civile). In tal modo l'equilibrio fra spirito e natura, fra individualità e comunità si spezza e ciò determina la fine di entrambi, ossia dell'intero mondo che ambedue rappresentavano. La conclusione della tragedia affidata al Coro (voce della comunità sgomenta) manifesta la constatazione che senza equilibrio fra individualità e comunità, "avere un equilibrio razionale è di gran lunga il primo comunità".
non si dà vita felice: requisito d'un vivere felice per gli umani è non peccare mai per empietà, non offendere Dio". Lo stesso accade nell'Edipo re, allorché si constata come il protagonista non sapesse quello che aveva fatto preparando con le sue stesse mani la propria rovina. La fine della bella eticità, della sostanza etica greca, la parabola dell'intera civiltà greca, secondo Hegel, è espressa simbolicamente nella battaglia di Cheronea, dove essa soccombe dinanzi alle truppe di Alessandro Magno: sia perché questi è a capo di un Impero (entità etico-politica meno libera della Città greca ma più universale); sia perché i greci si sono mantenuti legati alla loro dimensione ristretta di Città cui resta ancorata l'idea limitata di uomo libero come cittadino di quella piccola comunità; sia perché, beffardamente, Alessandro era stato istruito da Aristotele, che trai filosofi greci era il più grande, e dunque figlio di quella civiltà in qualche modo il Macedone era.- L'uomo romanoAd Atene gli individui rappresentano direttamente l'azione della comunità: il fine dell'agire individuale corrisponde immediatamente all'interesse della comunità. Gli individui agiscono in modo etico, non morale. Le loro azioni sono azioni della comunità dei (pochi) liberi e solo come tali sono riconosciute. Quando un individuo non agisce in accordo con l'ethos, con leggi e costumi condivisi dalla Città, è considerato empio e viene bandito. Socrate appellandosi al dèmone interiore che gli suggerisce cosa sia il bene è reputato dal tribunale dei cittadini ateniesi reo di negare le leggi della Città: le uniche in grado di stabilire ciò che è giusto e ingiusto e che non derivano dall'interiorità bensì dalle tradizioni.
In tal modo l'uomo greco
È sì libero all'interno della propria comunità ma solo in quanto membro di essa. Quando l'uomo greco scopre che il bene e il vero hanno una estensione maggiore rispetto alla Città, scopre la sua stessa fine. L'uomo greco sa immediatamente quale è il bene: suo e della Città, ma quando apprende che esiste un bene più ampio che abbraccia anche aspetti che non aveva considerato (es. gli schiavi che lavorano per la Città ma non la governano e sono dei non liberi) e quando apprende di conseguenza che il vero e il bene possono avere una diversa origine rispetto alla Città (es. l'interiorità dell'uomo, la coscienza: come Socrate sembra prefigurare), ed una maggiore estensione (il vero, il bene e il bello in sé di Platone), allora capisce che la propria certezza, il proprio ethos, sono crollati. Questo sapere dell'uomo greco deriva prima dalla conquista delle Città greche ad opera di Alessandro Magno,
che le ingloba nel più universalistico impero macedone (338 a.C. battaglia di Cheronea), e poi con l'impero romano. "[Coscienza infelice] Il fine dello stato Hegel in Lezioni sulla filosofia della storia: [romano] è quello di sacrificare a sé gli individui nella loro vita e nei loro costumi; il mondo è precipitato nel cordoglio, il suo cuore è spezzato ed è ormai finita per la naturalità dello spirito, giunta al sentimento dell'infelicità. Ma solo da questo sentimento può sorgere lo spirito libero, soprasensibile, del cristianesimo". Se l'uomo greco esprime la giovinezza dell'umanità, l'uomo romano ne incarna l'età adulta, matura, consapevole degli obblighi derivanti dal lavoro e dalla appartenenza ad una patria libera (coscienza infelice). Il regno romano non è più il regno degli individui liberi, a Roma non c'è più gioia bensìil duro lavoro, il sacrificio degli individui che si piegano ai superiori interessi dello Stato (dura lex sed lex). I cittadini romani debbono adempiere il fine universale dello Stato, che non coincide più, come in Atene, con l'interesse privato di ciascuno di essi. Gli individui debbono rinunciare a se stessi, e in cambio diventano individui universali, ossia persone giuridiche in quanto individui privati, cittadini romani; il pubblico si separa dal privato, ma gli interessi privativengono riconosciuti come interessi universali (astratti). Ciò accade innanzi tutto con il riconoscimento del diritto di proprietà, cardine del diritto romano (insieme al diritto di successione), i cui documenti fondamentali sono stati raccolti da Giustiniano all'inizio del VI secolo nel Corpus Iuris Civilis.
L'uomo romano offre un primo strutturato modello di spiritualità (soggettività immateriale), in quanto si definisce attraverso il sistema della legge come
titolare di diritti, ossia come persona astratta. Mentre il cittadino ateniese era libero sulla base delle consuetudini e dei costumi caratteristici della Città. L'uomo romano diviene ben presto il cittadino dell'impero e dunque la sua libertà viene del tutto sradicata da un contesto limitato e tradizionale quale è quello di una città, di un popolo, di una tribù, di una gens, di una lingua, di una religione. L'uomo romano è tale a Roma, come a Costantinopoli, a Treviri, ad Antiochia, le leggi (scritte in latino) valgono su tutto il territorio dell'impero e questo si estende per l'intero mondo conosciuto. Dappertutto vigeva la stessa idea di uomo, come dappertutto circolava la stessa moneta, vigono le stesse leggi e governa lo stesso imperatore.
L'uomo come persona giuridica (es. come proprietario) è riconosciuto come privato e non conta più la sua appartenenza ad una famiglia (genealogia), ad un popolo.
(etnia), ad una cultura, ad una religione, i cittadini sono (potenzialmente) tutti uguali dinanzi alla legge, in quanto detentori di uguali diritti/doveri, come i sudditi in Cina. I cittadini proprietari però sono liberi e non (solo) sudditi, possono fare quel che vogliono dei loro beni e partecipano alla vita politica, anche se mantengono l'obbligo di servire la patria in guerra abbandonando i loro interessi privati, il loro lavoro (cittadino soldato). Dunque l'uomo romano estende la libertà dell'uomo greco al di fuori della ristrettissima comunità dei liberi, ed amplia l'universalismo dello Stato elevandolo alla libertà (astratta) della persona giuridica, titolare di diritti/doveri. Ma ad un tempo pone anche le premesse per lo sviluppo d'uno spazio interiore (astratto, universale, uguale per tutti), dove esso possa esercitare come privato, come singolo soggetto, la propria intelligenza, produrre idee diverse dagli altri nel rispetto.Delle altrui e la propria libertà, agire in modo diverso dagli altri nel rispetto della legge, eventualmente anche sbagliando sia nell'intendere, sia nel volere. Ma ben presto l'uniformità e l'universalità del diritto, con l'idea della persona umana soggetto di esso, ha un corrispettivo interiore grazie al cristianesimo. Considerando il risultato di questo sviluppo, la nozione di 'persona' si rivela tanto fondamentale nel cristianesimo quanto nel diritto, in entrambi i casi essa apporta all'uomo due qualità che in precedenza non possedeva unite e che ne fanno una persona privata: universalità astratta e libertà astratta. D'altronde l'uomo come cristiano è universale in quanto tutti gli uomini sono figli dello stesso Dio. Anche in questo caso (sebbene in ambito interiore) gli uomini sono tutti uguali, come afferma Paolo di Tarso con riferimento a genere, nazionalità, posizione sociale, etnia.
Ed anche in questo caso sono liberi e responsabili, in quanto astrattamente dotati da Dio di intelletto e volontà. Non c'è più E, ad esempio, non più determinati nelle loro azioni dal fato. Galati 3,28: "giudeo, né greco; non c'è più schiavo, né libero; non c'è più uomo, né donna; poiché tutti voi siete uno nel Dio di Abramo". Hegel distingue tre cristianesimi cui corrisponde lo sviluppo che condurrà in fine alla Riforma protestante:
- la predicazione di Gesù per come viene narrata nei vangeli pone le basi del nuovo credo, pur essendo Gesù ebreo e predicando ad ebrei diverrà poi il Cristo, dato seguito alla sua predicazione.
- solo con il IV secolo, attraverso l'Editto di Milano nel 313 d.C. e Concilio di Nicea nel 325 d.C. il cristianesimo si afferma come dottrina specifica e fornita di valore universale ('cattolica'), per un verso.