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Douglas (e Daniel Miller) ha focalizzato questo aspetto proponendo una lettura cognitiva: l’aspetto emergente
di sistemi categoriali socialmente condivisi che ordinano l’esperienza del mondo naturale e sociale. La storia
delle mode (il portare i capelli in un certo modo, vestire largo o stretto, gonna o pantaloni, avere tatuaggi,
ecc..) non è più dettata da norme inflessibili ma diventa oggetto di strategie di gruppi di persone che in quel
modo trovano la propria identità. I beni sono dunque indicatori di categorie culturali e oggetto di pratiche di
tipo rituale necessari a dare un senso al flusso indistinto degli eventi.
9 – Corpo, salute, malattia
9.1 Il nucleo concettuale dell’antropologia medica dice che il corpo e la mente non sono già dati prima e
indipendentemente dalle relazioni sociali: piuttosto, si costituiscono attraverso le cose, in precisi contesti
storico-culturali. Questo significa che non è possibile descrivere la mente senza tirare in ballo aspetti sociali,
politici e culturali. Quando si parla di malattia è opportuno individuare 3 livelli: l’esperienza di dolore dei
pazienti, la comunicazione dello stesso dolore da parte dei pazienti verso il medico, oggettiva situazione
clinica del corpo. Con una diagnosi, quindi, si tenta di isolare la caratteristica patologica oggettiva del corpo,
interpretando l’esperienza soggettiva dei pazienti. Dopo lo spartiacque storico inaugurato da Focault, la
razionalità medica non attribuisce più senso alle connessioni fra gli stati del corpo e concetti quali il peccato,
le corrispondenze armoniche, l’impurità rituale.
9.2 L’antropologia positivista si basa sulla netta distinzione tra conoscenze e credenze. La conoscenza esiste
semplicemente perché è vera, le credenze non sono invece necessariamente corrispondenti alla realtà ed
occorre spiegare come possano perpetuarsi nonostante la loro illusorietà: in questo ultimo frangente entra in
campo l’antropologia classica. Quella che oggi chiamiamo antropologia medica nasce proprio dal
superamento della demoiatria (studio comparativo delle pratiche mediche contadine/tradizionali) e dalla
volontà di trattare allo stesso modo tutte le medicine possibili.
9.3 In antropologia medica interessa affermare che il progresso non può essere semplicemente letto in termini di
passaggio dall’ignoranza alla conoscenza, ma come transizione tra complesse cornici di senso che articolano
in modo diverso il rapporto tra corpo, mente e linguaggio. Mauss lancia un vasto programma di etnografia
descrittiva riguardo agli usi del corpo che si sta apprendendo in modo differenziato in diverse culture. La già
citata Douglas invece insiste sulle grandi possibilità espressive del corpo umano che però vengo regolate o
limitate dalle regole sociali (defecazione, minzioni, vomito, sbadigliare, ridere, ecc..)
9.4 Per gli antropologi esistono 3 diverse affezioni di malattia: A – Disease: trasformazione evidente della
struttura/funzionalità del corpo, ovvero l’allontanamento da uno stato di normalità che viene fatto discendere
da cause specifiche. B – Illness: si intende l’esperienza soggettiva della sofferenza ed il significato che vi si
attribuisce, indissolubilmente legato a modelli e categorie di riferimento. C – Sickness: si riferisce al ruolo
sociale dell’ammalato, alle conseguenze comportamentali, alle conseguenze relazionali.
Queste tre accezioni dovrebbero dunque coincidere con la prospettiva biomedica: un paziente avverte un
disturbo (illness), questo viene diagnosticato (disease) e ne conseguono prescrizioni e condizioni che possono
cambiare lo status dell’interessato (sickness). Di fatto queste 3 condizioni non sempre coincidono.
per sindromi culturalmente condizionate si intendono malattie che sono riconosciute e diffuse in una
specifica area socio-culturale (p. es. il tarantismo del Salento).
9.6 Un postulato dell’antropologia medica è il concetto di incorporazione: teorizzato da T. Csordas, concepisce il
corpo non come un oggetto da studiare in relazione alla cultura, ma deve essere considerato come il soggetto
della cultura stessa, vale a dire il terreno esistenziale della cultura. Si intende dunque superare la classica
dicotomia tra mente e corpo, facendo di quest’ultimo il soggetto attivo delle pratiche sociali. Il corpo diventa
dunque sociale, politico e personale e la malattia può essere anche vista come il rifiuto di una condizione di
vita di disagio.
9.7 Per pluralismo medico ci si riferisce alla compresenza, istituzionalizzata o di fatto, di biomedicina e medicine
tradizionali nei sistemi di diagnosi e cura. Ecco che le medicine tradizionali, anziché essere annullate dalla
ricerca scientifico-biologica, sono sopravvissute mantenendo un ruolo importante come risorse diagnostiche e
terapeutiche. La diffusione, poi, delle medicine non convenzionali, è antropologicamente interessante perché
delinea un pluralismo medico che di fatto cancella la tendenza ad un omogeneo modo di curarsi ed anzi, la
globalizzazione non cancella le differenze ma anzi, per certi versi le moltiplica.
10 – Tempo, memoria, storia
10.1 Sia l’antropologia che la storia si trovano interessate alla memoria a lungo termine, psicologicamente ben
distinta da quella a breve termine. Si è soliti suddividere la memoria lungo termine in 3 accezioni: quella
procedurale, quella semantica, quella episodica. Quella procedurale è quella che riguarda un apprendimento
svoltosi nel corso del tempo come l’imparare a guidare la bicicletta e spesso è difficile da spiegare. Quella
semantica riguarda invece le nozioni che una persona ricorda ed i segni/simboli relativi alla comprensione di
un linguaggio. La memoria episodica, infine, fa riferimento a collocazioni spazio-temporali precise delle quali
si è in grado di riferire. La psicoanalisi in effetti problematizza maggiormente le difficoltà di accesso alla
memoria oppure i processi che la rendono fallace e distorta.
10.2 Esistono aspetti del funzionamento della memoria che non sono interpretabili come semplici deficit, bensì
come precise strategie di ricostruzione del passato guidate da schemi e precise forme di senso. Esistono degli
schermi (Barlett) o copioni che definiscono il ricordo attorno al quale si plasmano una serie di piccoli ricordi
accessori. La psicoanalisi la pensa diversamente in questo ultimo caso affermando che il ricordo invece resta
intatto nelle profondità della psiche schermato da elaborazioni secondarie che lo rendono irriconoscibile. Per
gli antropologi, la consapevolezza del carattere “costruito” della memoria, impedisce di cogliere le
testimonianze in un ottica realista, spingendo invece gli studiosi ad indagare la costruzione pragmatica dei
ricordi. Il ricordare è quindi una pratica performativa e non puramente rappresentativa, la cui logica si
intreccia con quelle di altre pratiche sociali e in senso lato politiche. La memoria interna, ovvero i meccanismi
del ricordare, non può essere studiata a prescindere dalla memoria esterna, ovvero da quelle pratiche socio-
culturali di codifica simbolica di eventi, luoghi, pratiche.
10.4 Ci sono oggetti (gli archivi per quanto riguarda la nostra società, oggetti rituali di varia natura per quanto
riguarda società esotiche) che incorporano molto più delle specifiche informazioni che veicolano: incorporano
la memoria di un gruppo sociale e questo li contraddistingue come oggetti di culto, oggetti sacri. Il presente è
quindi spesso concepito da alcune comunità come la ciclica ripetizione del passato, un passato più circolare
che vettoriale e che quindi ben si presta all’utilizzo di oggetti simbolici e rituali duraturi, attinti dal elementi
del paesaggio o dalla natura in genere. In ambito mnemonico, alcune teorie affermano che la modernità,
operando una frattura nei confronti della tradizione, abbia acquisito una sostanziale consapevolezza della
storia, dell’irreversibilità del tempo, ed organizzandosi dunque in precise organizzazioni e finalità di scrittura
atte alla conservazione della memoria. Le civiltà meno moderne si mantengono invece sul tramandare
oralmente conoscenze ed usi proprio a causa della concezione ciclica e reversibile.
10.5 Assman formula un’utile distinzione tra memoria comunicativa e memoria culturale, intese non come
modalità che si susseguono evolutivamente, ma come tipologie coesistenti in ogni società o gruppo: la
memoria comunicativa afferisce ad un ambito d’utilizzo ristretto, ha una bassa gerarchizzazione, e risale
indietro nel tempo di poche generazioni; la memoria culturale invece è individuabile quando un evento entra a
far parte del patrimonio dei ricordi istituzionalizzati di una comunità.
11 – Il dono fra economia e antropologia
11.1 In antropologia si parla di “dono” a proposito di vari beni di scambio non riconducibili alla logica del mercato.
In esse sembrano venire meno i due principi cruciali della vita economica moderna: la ricerca dell’utile e la
legge dell’equivalenza del valore. Quale tipo di razionalità spiega questo fenomeno? Marcell Mauss nella
prima metà del 1900 scrive un testo molto importante su questo tema individuando alcune caratteristiche
fondamentali: si tratta di forme di scambio non legate ad una logica di mercato; la transazione è pubblica e
spesso marcata da riti e cerimonie; non ci sono accordi ma tradizioni che regolano il fenomeno e la “catena”
che vincola il processo è formata da dare, ricevere, ricambiare; le parti in gioco non gareggiano per ricevere
ma, anzi, per dare; nello scambio si intrecciano anche altri fattori giuridici, politici, religiosi. Secondo i
ricercatori, in grossa parte di queste pratiche, risiederebbe una credenza religiosa come fondamento dell’intero
sistema dei doni.
11.2 Nella prospettiva di Malinowski, Firth e altri sembra strano che Mauss sia ricorso ad una singola credenza
religiosa per spiegare il principio generale del ricambiare. Nella loro prospettiva è bene considerare più
ampiamente la reciprocità. Lo scambio non poggia secondo questi ultimi sul singolo scambio del dono, ma su
una regola complessiva che regola il corpo sociale. La stessa reciprocità che viene definita per quella
organizzazione di scambi che avviene in assenza di istituzioni o convenzioni economiche. Per Polanyi la
reciprocità è una delle tre principali forme di integrazione dell’economico nel sociale insieme alla
redistribuzione e al mercato. Per Levi-Strauss, che integra la definizione di Mauss, la struttura dello scambio o
della reciprocità preesiste ai singoli atti separati del dare, ricevere, ricambiare.
11.3 A partire dal 1980 il dibattito sul dono va intensificandosi diventando categoria centrale di una più ampia
discussione. Il principale protagonista di questo percorso è il MAUSS (Movimento Anti Utilita