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Con il passare del tempo la concezione di cultura cambiò: il Francia nell’800 si parlava di crescita
spirituale sia in termini individuali che collettivi ma sempre legati alla civilizzazione, in Germania
invece cominciò ad essere un concetto prettamente collettivo, un patrimonio comune, legato alla
nazione stessa. Si comincia dunque a parlare di “culture” al plurale e a staccare tale concetto da
quello di civilizzazione, dato che può solo essere singolare poiché indica solo lo sviluppo tecnico.
Tylor
La prima definizione antropologica di cultura fu quella dell’inglese Tylor della seconda metà
dell’800: la cultura è quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la
morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine che l’uomo acquisisce come
membro di una società.
La particolarità della definizione di Tylor è che è descrittiva e non prescrittivi: la cultura è il
prodotto di una attività umana e non un ideale a cui tendere; è un dato di fatto. Essa è:
- universale: propria di tutte le società
- appresa: non innata o trasmettibile geneticamente. Si ha una certa cultura poiché ci si nasce
e cresce dentro, in senso sia intellettuale che pratico, acquisendo capacità e abitudini
- sociale: è il prodotto di una società e della sua storia evolutiva.
Tylor spiega le differenze culturali con il percorso evolutivo: le culture sono diverse perché
appartengono ad ere diverse. E spiega le somiglianze affermando che il processo evolutivo non ha
cambiato l’”unità psichica del genere umano”, ossia il fatto che la mente umana funziona sempre e
dovunque allo stesso modo in situazioni analoghe. In realtà oggi si pensa che le differenze non
siano solo riferibili al processo evolutivo ma che come i singoli soggetti cambiano anche le culture
sono soggette a mutamento.
Dopo la definizione di Tylor è comunque restata un po’ di ambiguità sul termine cultura. Fino al XX
secolo veniva utilizzato in opposizione al termine civiltà: la civiltà è la società più evoluta, meglio
organizzata e soprattutto mutevole, mentre la cultura è caratteristica di una società meno sviluppata,
più vicina alla natura e per questo sempre uguale a se stessa, immobile. Addirittura si è arrivato a
sostenere che le civiltà dovessero essere studiate dalla scienza e le discipline mentre per le culture
era sufficiente un lavoro antropologico con approccio solistico, ossia intendendo l’oggetto di studio
come un concetto unitario.
Concezione mentalistica
Queste contraddizioni e limitazioni furono superate dal lavoro dell’antropologo tedesco Boas che
lavorò negli Stati Uniti. La nuova definizione di cultura di cui ci occuperemo è stata in realtà
coniata da un suo allievo, Kroeber: le culture sono le forme specifiche, particolari e storicamente
determinate di una modalità d’essere della vita sociale propria di tutte le società. E’ prodotta
storicamente ed è appresa tramite il processo di inculturazione.
La cultura è vista come una realtà sia mentale che sociale. E’ mentale, e dunque interna, nel senso
che coincide con il nostro modo di agire, il nostro modo di sentire, percepire e pensare noi e il
mondo. E’ sociale, e dunque esterna, poiché è presente, e a sua volta si origina, nelle relazioni
sociali.
La presenza della cultura viene spiegata in relazione a un dato proprio della fisiologia e della
psicologia umana: nel percorso di crescita si assiste ad una regressione degli istinti, della capacità
umana di rispondere agli stimoli ambientali. I questo senso, la cultura ci dà le linee guida da seguire
per “interagire” con l’ambiente.
La cultura, inoltre, non è appresa in maniera uniforme da tutti i membri della società: si imparano
aspetti diversi della cultura in base al sesso, alla generazione, al rango, il lavoro, il reddito, c’è chi
sa e sa fare e c’è ci sa che gli altri sanno fare, ma lui non sa fare, ci sono diversi modi di intendere il
giusto e lo sbagliato. In ogni cultura ci sono delle subculture o culture di gruppo.
Il limite di questa teoria è che con l’accentuarsi dell’autonomia della cultura come realtà mentale si
arriva alla conseguenza che la cultura è slegata da qualsiasi altro condizionamento, come le risorse
tecniche, l’accesso alle risorse, ampiezza demografica dei gruppi, insomma, alcuni fondamentali
aspetti pratici. Così come si rischia di pensare che la cultura, essendo soprattutto sovrastruttura
mentale, sia al di sopra dei comportamenti umani e che questi ultimi non possano a loro volta
influenzarla e modificarla. La cultura, invece, nasce e crea allo steso tempo l’uomo e la sua natura.
Definizione dinamista
I limiti della teoria mentalista vengono superati sottolineando che le culture sono realtà prodotte e
in continuo processo di produzione da parte degli esseri umani di una società e per tutta la loro
vita. La teoria mentalista dava della cultura una concezione statica, non relazionale. La teoria
dinamista sottolinea invece come la cultura sia sì la nostra maniera di vedere noi stessi e il mondo,
ma che essa è correlata alle dinamiche culturali , del processo di significazione della realtà che è un
processo collettivo a cui partecipa tutta la società. La cultura è il senso che il loro agire ha per i
soggetti sociali agenti. La cultura è il che cosa e il perché facciamo qualcosa.
Culture e diversità
Pur essendo ognuna diversa dall’altra, tutte le culture hanno in comune alcune strutture interne;
tutte presentano.
- una lingua
- una concezione di spazio e di tempo
- una strutture delle idee sul senso dell’esistenza umana, le cosiddette cause prime e fini
ultimi
- una struttura di conoscenze
- una struttura di valori
Lingua
Tutti gli esseri umani parlano una lingua, le lingue vengono imparate, tutti gi esseri umani possono
potenzialmente imparare tutte le lingue.
Le lingue umane sono una fenomeno universale, nel senso che ogni cultura o società ne ha una.
La sua natura è convensionale. Le parole non sono copie delle cose ma sono delle “costruzioni”
artificiali che stanno per le cose. Le parole sono formate da suoni che fanno parte dell’alfabeto, un
sistema chiuso in cui ogni suono è in relazione di diversità e opposizione con gli altri suoni che lo
costituiscono. Ogni suono dunque, si distingue dagli altri e assume un significato preciso. Dunque,
nel caso della parola “tavolo”, essa è composta da una successione di suoni che non è strettamente
legata alla natura fisica dell’oggetto tavolo, ma per noi quei suoni assumono il significato di tavolo,
stanno per l’oggetto tavolo.
I suoni vengono chiamati fonemi, ossia dei segni carichi di significato. Il sistema dei fonemi è un
sistema universale di produzione di significato valido per ogni lingua, anche se ogni lingua crea i
propri legati di distinzione e opposizione all’interno del proprio alfabeto.
Le regole della lingua vengono imparare dall’infanzia, prima per imitazione e poi tramite
produzione creativa: avviene infatti che ad un certo punto il bambino comincia a produrre
linguaggio in maniera autonoma basandosi sulla somiglianza dei fomeni e sulle regole apprese per
imitazione.
La natura della lingua è anche simbolica: la lingua ci permette di usare le parole come se stessero
per. Noi possiamo pensare o parlare del tavolo anche in sua assenza e trasmettere agli altri un
significato assolutamente chiaro.
Le lingua sono realtà dinamiche: pur mantenendo relativamente stabili le proprie regole e il proprio
alfabeto, esse mutano, si evolvono, adeguandosi alla vita della società che è in continuo mutamento.
Basta pensare a tutti i termini che un tempo non esistevano come tecnologia, aereo, elettricità, o a
parole che ora sono in disuso . O ancora i cambiamenti grammaticali, con la sempre più imminente
scomparsa del congiuntivo, o il passaggio dal “Lei” al “Tu”. Le modificazioni linguistiche sono le
tracce tangibili dei cambiamenti sociali.
Oltre alla lingua parlata esistono altri tipi di linguaggi. Primo tra tutti il linguaggio scritto. La
scrittura si è sviluppata in modo tale da far coincidere un unico segno ad un unico fonema, cos’ la
scrittura alfabetica è diventato il sistema di trascrizione più vicino alla lingua parlata.
Altri tipi di linguaggi sono i gesti, le posture del corpo, i vestiti, i gioielli, gli oggetti stessi. In una
cultura tutto è comunicazione, tutto è significato.
Arrivati a questo punto ci si dovrebbe chiedere se le differenze linguistiche corrispondono anche a
differenti strutture di pensiero…ma questo non è ancora stato scoperto.
Tempo e spazio
La concezione occidentale del tempo e dello spazio è di tipo naturalista: pensiamo che siano due
grandi contenitori che esistono di per sé in natura e dentro i quali collochiamo le nostre azioni. In
realtà spazio e tempo non esistono in natura ma sono delle costruzioni dell’uomo, o, meglio ancora,
delle variabili definite all’interno del comportamento umano. In natura esistono l’alternarsi della
luce solare e del buio, il ciclico delle stagioni e la discontinuità dei corpi solidi, e su questo si
basano le esperienze di tempo e spazio. Tali esperienze sono relative poiché ogni cultura ne crea una
propria e perché sono soggette a cambiamenti. Inoltre, del tempo e dello spazio se ne fa un uso non
individuale ma sociale, e in quanto tale devono essere regolamentati.
Per quanto riguarda il tempo, esso è regolato in base alla distinzione di tempi diversi, come il
tempo sacro e quello profano, quello propizio e quello infausto, ecc. basti pensare all’origine della
nostra “settimana”, derivata dalla Bibbia che diceva di lavorare 6 giorni e il 7 dedicarsi alla fede;
oppure al coprifuoco in guerra, o in alcune culture in cui la donna dopo il calar del sole deve
rientrare in casa.
Regolamentare il tempo è un diritto ma soprattutto una forma di potere, tanto è vero che i primi
calendari furono proprio creati da caste sacerdotali. L’introduzione del calendario ha dato inizio alla
possibilità di scandire il tempo: sapere esattamente che giorno è e quanti giorni servono per arrivare
ad un preciso tempo dell’anno che corrisponde ad una precisa stagione è molto utile alla vita
umana. Basti pensare a come lo scandire del tempo sia servito per lo sviluppo dell’agricoltura che
ha tempi di semina precisi e di come abbia permesso la coordinazione del lavoro di tante pers