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Estratto del documento

L'antropologia, derivante da Anthropos (=Universalità), è un processo umanamente spontaneo,

in quanto consiste nel riconoscere in un'altra persona lo stesso nostro grado di umanità. Spesso

le violenze contro l'altro derivano dal fatto che non troviamo in lui una realtà antropologica, non

lo riconosciamo in quanto essere umano uguale a noi. Per esempio in una situazione di guerra,

dove giovani ragazzi si scontrano in frontiera è necessario interrompere il riconoscimento

antropologico per poter uccidere senza scrupoli. Nella nostra percezione è infatti più semplice

eliminare qualcosa che conosideriamo "un po' meno umano", più distante quindi da noi. Per

questo forse i vegetariani non riescono a mangiare carne, perchè riconoscono negli animali la

nostra stessa realtà antropologica. Per fare un ulteriore esempio, durante il colonialismo gli

stermini di massa delle popolazioni indigene sono avvenuti perchè circolavano retoriche da parte

dei governi "dominanti" che dicevano che quei popoli ancora non industrializzati fossero più

vicini agli animali che agli umani. Addirittura è da collocarsi fra '700 e '800 il dibattito che si

interrogava sul fatto che gli indigeni avessero o no un'anima. Possiamo comprendere queste

teorie razziste pseudoscientifiche calandoci nella situazione dell'epoca: per colonizzare i soldati

dovevano sterminare famiglie, e come avrebbero potuto farlo se vedevano in quella famiglia

somiglianze con la loro? Compito quindi di queste retoriche di conquista era eliminare l'inconscio

riconoscimento antrolopogico presente in ognuno di noi.

L'antropologia culturale si basa su un forte impegno etico e civile e sulla necessità di mettersi in

prima linea contro il razzismo.

L'ETNOCENTRISMO è un altro concetto chiave dell'antropologia culturale. Il significato letterale è

"sentirsi al centro del proprio ethnos". Il sentimento presuppone una convinzione di superiorità

culturale rispetto agli altri popoli, è la propria autopercezione di avere una forte identità etnica e

dei valori reputati "i migliori". E' un concetto diverso dal razzismo, e meno "pericoloso", in

quanto l'etnocentrismo parla di una differenza culturale, non di una differenza antropologica che

viene invece messa in discussione nel concetto di razzismo. L'etnocentrismo non mette quindi in

discussione l'altro come essere umano, ma semplicemnte lo reputa inferiore o primitivo rispetto

alla sua cultura, ritenuta oggettiva e assoluta. E' un rischio che sviluppano tutti i popoli, e

dipende strettamente dall'educazione impartita ai bambini. C'è da sottolineare che un certo

grado di etnocentrismo è ineliminabile, anche nelle persone più aperte di mente, dipende infatti

dalla cultura con la quale siamo stati cresciuti. Ci troviamo in una "bolla cognitiva" che nel

momento del contatto con l'altro ci fa guardare con occhi storti usanze differenti o modi di

guardare il mondo che noi non avevamo mai considerato. Compito dell'antropologia è anche

quello di decostruire le retoriche etnocentriche, facendo apparire ingenuo il concetto di verità

assoluta.

Riporto il curioso studio di Ernesto de Martino, un famoso antropologo che, essendo andato a

fare ricerca nel Sud Italia, durante gli anni '50 si trovava a Marcellinara, uno sperduto paesino

della Calabria. Qui lo studioso, avendo un giorno perduto la strada, chiese indicazioni stradali ad

un contadino. Questo si propose di accompagnarlo e di fare quindi un pezzo di strada con loro.

De Martino osservò che mano a mano che l'automobile si allontanava dal paesino, il contadino

veniva sempre più preso dall'ansia. Guardava con angoscia il campanile che sempre più si

sfumava alla vista. Evidentemente il contadino non era mai uscito dai confini del suo piccolo

paese.

A partire da questo esempio, De Martino definì l' Etnocentrismo come il "nostro campanile", il

posto dove siamo cresciuti e dal quale non ci allontaniamo facilmente.

La soluzione sembra essere l'etnocentrismo critico, ovvero un lavoro di mediazione tra ciò che è

familiare e ciò che 'è altro'.

Strettamente collegato al concetto di antropocentrismo è il concetto di RELATIVISMO, un sistema

ideologico (i suffisfi -ismi sono infatti legati alle ideologie) basato sulla RELATIVITA' dei costumi.

Un ottimo esempio di atteggiamento relativistico è contenuto nelle Storie di Erodoto, dove egli

racconta l'esperimento culturale di Dario, il re dei Persiani. Posti a confronto Greci e Indiani

Callati, Dario chiede loro a quale prezzo sarebbero disposti a rinunciare ai loro rispettivi costumi

funerari (quello di bruciare i cadaveri da parte dei Greci e quello di divorare il corpo dei genitori

defunti da parte degli Indiani), ricevendone in entrambi i casi una risposta non solo negativa, ma

indignata: agli occhi dei Greci è repellente mangiare i cadaveri; agli occhi degli Indiani è

altrettanto obrobrioso bruciarli. L'atteggiamento relativistico è quello per il quale perde senso la

questione di quale sia il costume 'migliore': il giudizio su ciò che è migliore viene espresso dagli

individui che adottano i costumi della propria cultura; e non è pensabile ad un'istanza superiore

alle singole società. "Il costume (nomos) è sovrano di tutte le cose" così Erodoto conclude il

brano. Alla base del relativismo vi è una profonda diffidenza nei confronti dell'universalità di

strutture psichiche o mentali -di ordine naturale- che accomunerebbero tutti gli uomini. Non

nega che esistano tali strutture, ma ritiene che esse rappresentino una componente minoritaria

nell'organizzazione umana: più importante invece è la dimensione culturale, con la sua

inevitabile variabilità, quindi ciò che contraddistingue l'uomo nella sua essenza è proprio questa

variabilità invece che l'uniformità di leggi o strutture mentali.

"le leggi della coscienza, che noi diciamo nascere dalla natura, nascono dalla consuetudine (o

costume)" Michel de Montaigne.

TRAVEL

l'etimologia inglese del termine viaggio conserva qualcosa di relativo alla sofferenza: il tripalium,

un antico strumento di tortura così chiamato perchè formato da tre pali. E' appunto questa idea

di sofferenza che si è conservata nel termine italiano di travaglio.

Parliamo del viaggio perchè è stato proprio lo scoprire nuove culture differenti alle nostre a

determinare la nascita dell'antropologia culturale.

C'è un'enorme differenza fra il viaggio inteso in senso antico e il viaggio moderno. I viaggiatori

del mondo antico viaggiavano in luoghi a loro sconosciuti, non sapevano cosa avrebbero

incontratoed il loro scopo era appunto lo scoprire e il creare mappe che potessero ampliare la

sfera del conosciuto. Il viaggio moderno è invece il classico viaggio turistico, ovvero uno spostarsi

nelle diverse parti del mondo ritrovando tutti i comfort ai quali siamo abituati e mantendendo

sempre presenti le coordinate culturali dalle quali siamo partiti. Sostanzialmente è un viaggio

poco avventuroso, che non implica una grossa dose di scoperta ma che offre tutt'al più

conoscenza e divertimento.

Negli ultimi decenni possiamo osservare un piccolo cambiamento nei rapporti viaggio antico-

moderno: i processi di globalizzazione hanno portato ad un movimento di molte masse di

persone e i viaggi delle persone migranti assomigliano ai viaggi del mondo antico, dove era

molto alta la probabilità di perdere la vita o di rimanere a vagare per anni.

Per quanto riguarda il viaggio turistico, se oggi ci rechiamo in un'agenzia turistica molto

probabilmente l'impiegato ci mostrerà, sullo schermo del suo computer, un'immagine del

pianeta dove muoversi da un punto all'altro sembra 'a portata di click'. Il fatto che tutto ci venga

mostrato ben scoperto, sotto controllo e raggiungibile rilascia in noi un senso di tranquillità ed

onnipotenza umana che ci spingerà, probabilmente, ad acquistare il biglietto aereo per una meta

anche piuttosto lontana tramite quell'agenzia in cui lavora il commesso tanto gentile. Non ci

viene detto che ci sono un sacco di luoghi fuori mappa, i luoghi non riconosciuti, spesso in

guerra, quelli da cui i migranti arrivano.

Viene allora spontaneo chiedersi: ma chi ha deciso l'immagine del mondo sulla carta? Ogni

cartografo ragiona infatti secondo la propria prospettiva culturale, non potendo avere esperienza

di una visione globale del mondo. Le cartine che solitamente guardiamo ci offrono una visione

falsata: sono infatti costruite secondo una prospettiva eurocentrica. Vediamo le parti vicino al

Nord ingrandite- il Polo Nord non è infatti così grande!- e l'Africa rimpicciolita, poichè essendo

vicino all'equatore subisce una contrazione opposta e viene ridotta. Curioso il caso del

Presidente dell'Argentina, che anni fa chiese di costruire una mappa rigirata poichè l'Argentina

appariva in fondo.

Questo ci dimostra come l'immagine del mondo che noi tutti abbiamo sia una retorica

culturalmente costruita.

In questi giorni sta avvendendo la ridefinizione delle mappe orientali, in particolare dei confini

tra Siria e Iraq. Le mappe di questi due paesi erano infatti state stilate in epoca coloniale da

amministratori che non avevano niente a che fare con i popoli stessi. Questi, tracciando con linee

di penna i confini sulla carta, si erano dimenticati il Curdistan, paese d'origine della popolazione

curda che occupa attualmente un pezzo di Siria e un pezzo di Iraq. Il popolo curdo ha

enormemente sofferto per essere rimasto fuori dalla spartizione coloniale ed ancora oggi, cento

anni dopo, lotta per ottenere un riconoscimento come popolo e come territorio.

Le mappe che possediamo sono quindi molto fittizie, essendo state disegnate dai 'vincitori', e

tengono in scarsa considerazione le persone che vivono in certi territori.

Uno studioso di nome Erick... divise il processo del viaggio in 4 tappe:

-partire

-transitare

-arrivare

-ritornare

La partenza evoca una separazione, un taglio. Da qui il detto "Partire è un po' come morire".

Morire in questo caso significa morire socialmente, distanziarsi dalle relazioni sociali che ci

tengono incollati in quel luogo, ed è particolarmente valido come concetto se inserito nel

contesto delle migrazioni italiane fra '800 e '900, quando gli italiani partivano per l'America con

un solo biglietto di andata. In ogni partenza rievochiamo una crisi, partire infatti significa

sradicarsi dal ruolo che ci eravamo costruiti. Ma nel momento in cui l'aereo decolla, o il treno

p

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Publisher
A.A. 2014-2015
6 pagine
7 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giada.finucci di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Spagna Francesco.