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ANTICOAGULANTI

La capacità coagulativa del sangue (coagulazione del sangue) è il processo responsabile che porta alla formazione del

coagulo a partire da precursori circolanti. È il meccanismo alla base della formazione del tappo emostatico e della

trombogenesi. I farmaci anticoagulanti sono in grado di interrompere il

processo a vari livelli, bloccando la trombogenesi. Ci sono vari meccanismi a

diversi livelli della cascata coagulativa che possono essere bersaglio di attività

farmacologica. L'uso principale dei farmaci anticoagulanti è la prevenzione di

situazioni in cui possono formarsi dei trombi.

Quando c'è una lesione vascolare si attivano diversi fattori tessutali (TF), il

principale è il TF-III che dà inizio ad un'attivazione a cascata di vari fattori fino

all'attivazione della trombina, la quale trasforma il fibrinogeno in fibrina e

quindi formazione del tappo enzimatico. Naturalmente con l'intervento delle

piastrine, le quali si aggregano. Non si aggregano nel torrente circolatorio

perché sono presenti dei fattori antiaggreganti fisiologici (NO, prostaciclina,

ecc). Il fenomeno della coagulazione ha un'attivazione amplificata. Da una

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molecola di TF si liberano in un minuto 2.5x10 molecole di trombina e si

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arriva a 3x10 molecole di fibrina.

Approfondimento (da www.albanesi.it)

Il danneggiamento di un vaso è il fenomeno scatenante il processo emostatico. Le pareti vascolari sono ricche di sostanze che stimolano

l’attivazione e l’aggregazione delle piastrine; queste sostanze sono il fattore di von Willebrand (una glicoproteina dal peso molecolare di circa

250 kD), il trombossano A e il fattore attivante le piastrine; a seconda dei casi i vasi danneggiati rilasciano anche il cosiddetto fattore tissutale.

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Nel corso della fase vascolare i vasi danneggiati tentano di ridurre al minimo la perdita ematica; lo fanno attraverso una vasocostrizione vasale

che però non è in grado di assicurare un’emostasi permanente a meno che non ci si trovi di fronte a lesioni capillari. Purtuttavia, anche in caso

di lesioni di maggiore entità, il fenomeno vasocostrittivo è di notevole importanza e verrà stimolato anche nel corso delle fasi successive del

processo di coagulazione, per esempio durante la fase plasmatica.

La fase piastrinica riveste notevole importanza all’interno del processo di coagulazione del sangue. In modo molto schematico possiamo

distinguerne cinque momenti principali: adesione delle prime piastrine alla zona danneggiata; attivazione delle piastrine adese alla superficie

danneggiata; rilascio di segnali chimici contenuti nelle piastrine attivate; cascata di attivazione di altre piastrine che viene stimolata dalla fase

precedente e infine aggregazione piastrinica; quest’ultimo fenomeno è un processo reversibile perché le piastrine hanno la tendenza a

disperdersi e, se non interviene la fase di coagulazione, si ha una ripresa dell’emorragia. La fase piastrinica, quindi, pur essendo molto

importante nel processo emostatico, non è sufficiente all’emostasi definitiva.

La fase coagulativa (o plasmatica) è la fase più importante del processo di coagulazione del sangue. In condizioni normali, essa porta

all’arresto permanente della perdita ematica. La fase plasmatica è finalizzata alla trasformazione del fibrinogeno (una glicoproteina presente

nel circolo sanguigno) in un coagulo di fibrina, una proteina che, in collaborazione con le piastrine, occlude la zona danneggiata.

A questo punto, fermata l’emorragia e riparato il vaso lesionato, si passa alla fase ultima, quella fibrinolitica. In questa fase si registra

l’intervento di un’altra proteina, il plasminogeno, che viene trasformato in plasmina, una proteina che degrada il coagulo di fibrina

ripristinando alla fine la situazione precedente alla lesione del vaso (restitutio ad integrum); la fibrinolisi, quindi, pur facendo parte del processo

emostatico, è però una componente antiemostatica.

La cascata coagulativa

La fase di coagulazione è, come detto, la fase che riveste maggiore importanza a livello del processo di coagulazione sanguigna. Detta fase si

caratterizza per il suo particolare funzionamento, detto “a cascata” (si parla appunto di cascata coagulativa); di fatto, detto un po’

grossolanamente, viene attivata una determinata proteina, l’attivazione di questa porta a trasformare la forma inattiva di una seconda

proteina in attiva; la seconda proteina attivata porta all’attivazione di una terza proteina e così via. La successione di questa cascata di eventi è

strettamente specifica: la prima proteina attiva la seconda, ma non può attivare la terza; tutto avviene quindi secondo uno schema ben

determinato.

L’attivazione avviene in presenza di molecole dette cofattori; una di queste molecole è il Tissue Factor; quest’ultimo svolge un ruolo importante

all’interno della cascata coagulativa, ovvero l’attivazione del fattore VII che, una volta attivato, attiva il fattore X, quest’ultimo attivato, in

presenza di calcio e fattore V attivato, consente la trasformazione del fattore II (noto anche come protrombina) in fattore II attivato (noto

anche come trombina); è grazie al fattore II attivato che si verifica la trasformazione da fibrinogeno in fibrina (vedasi paragrafo precedente).

Comunemente si distinguono due vie principali che attivano il processo di coagulazione: la via estrinseca e la via intrinseca, queste due vie

convergono poi dando origine alla cosiddetta via comune.

La via estrinseca è la via più rapida dal momento che sono minori i fattori coagulativi che ne prendono parte. Essa viene attivata nel momento

in cui una lesione vasale produce la liberazione di fosfolipidi e di un complesso di tipo proteico noto come fattore tissutale (anche

tromboplastina tissutale); gli altri fattori attivati sono i fattori plasmatici VII, X e V.

La via intrinseca è così denominata perché i fattori che ne fanno parte sono sempre circolanti a livello ematico. La via intrinseca si attiva

generalmente quando il sangue viene a contatto con la matrice extracellulare. La formazione di un coagulo attraverso questa via richiede un

periodo di tempo di alcuni minuti; essa inizia con l’attivazione del fattore XII (fattore di Hageman) e comprende, oltre al fattore di Hageman e ai

fattori che prendono parte alla via estrinseca, anche i fattori XI, IX e VIII.

La via estrinseca porta alla formazione di un coagulo in un tempo molto breve, quantificabile in pochi secondi.

I farmaci anticoagulanti permettono l'intervento in varie condizioni in cui ci potrebbero essere dei problemi di

trombogenesi. Sono farmaci la cui terapia va attentamente monitorata. Un esempio di somministrazione cronica è

presente nella fibrillazione atriale (magari per una disfunzione della valvola mitrale) in cui la somministrazione del

warfarin e della digossina riducono le formazioni trombotiche a livello atriale. Finché queste formazioni sono lì non

danno problemi, ma se si staccano possono creare emboli. Per cui la terapia anticoagulante va rigorosamente

monitorata con delle unità di misura internazionali di cui le più utilizzati sono:

- aPTT (Activated partial thromboplastic time) Tempo di coagulazione di plasma citrato ricalcificato in seguito

all’aggiunta di fosfolipidi a carica elettrica negativa e caolino = 26-33 sec

- PT (Prothrombin Time). Tempo di coagulazione del plasma ricalcificato dopo aggiunta di ‘tromboplastina’

(estratto salino di cervello contenente fattore tissutale e fosfolipidi) = 12-14 sec

Anticoagulanti parenterali: EPARINA e derivati

L’eparina è un glicosaminoglicano di peso molecolare 15-30 kDa estratto dalla mucosa intestinale porcina o dal

polmone bovino L’eparina va somministrata per via s.c. o i.v. per infusione o bolo

Ha una rapida insorgenza di azione ed una breve emivita dipendente dalla dose (1-5 ore)

Le varie preparazioni sono biologicamente simili = 150 U/mg 1 U = quantità di eparina che inibisce la coagulazione di

1 ml di plasma citrato di pecora per 60 min dopo 0.2 ml di 1% CaCl

L'eparina va somministrata per via parenterale: per emergenza si può somministrare per endovena, in genere nelle

somministrazioni di qualche giorno si sceglie la via sottocutanea. Ha una rapida insorgenza d'azione e una breve

emivita (dipendente dalla dose, 1-5 ore). Successivamente all'eparina sono state sviluppate eparine a basso peso

molecolare (LMWH), ottenute mediate depolimerizzazione chimica o enzimatica. Hanno un peso molecolare medio

di 4000-5000 Da. Questi composti hanno un'emivita più lunga (3-4 volte maggiore rispetto l'eparina) poiché non si

legano alle plasma proteine ne alle cellule endoteliali. Il fondaparinux è un pentasaccaride sintetico analogo della

sequenza naturale con una emivita di 17 ore.

Il meccanismo d'azione dell'eparina non è altro che quello di favorire l'interazione tra l'antitrombina III e la

trombina. L'antitrombina III è un polipeptide glicosilato di circa 58 kDA sintetizzato nel fegato con concentrazione

ematica di 2.6 µM che agisce da inibitore di proteasi (particolarmente la trombina, ma anche altri fattori della

coagulazione). Fisiologicamente l'antitrombina regola la trombina, una proteasi molto potente, attraverso un

equilibrio che fa in modo che questo enzima sia inattivato e non eserciti la sua attività sul fibrinogeno. L'eparina,

agendo da substrato catalitico, favorisce l'interazione tra antitrombina III e la trombina facendo in modo che venga

inibita l'attività di quest'ultima. L'eparina agisce anche sul fattore Xa e con minore potenza sui fattori IXa e XIa. Sulla

trombina ci sono una serie di siti: un sito attivo e due siti accessori che vengono chiamati exosite 1 ed exsite 2.

L'antitrombina interagisce con il sito attivo, mentre l'eparina interagisce con exsite 2. La fibrina si lega alla trombina

mediante i due exsites, pertanto l'eparina non è attiva sulla trombina già legata alla fibrina. Il sito di legame di

eparina LMWH per l'antitrombina III è una sequenza pentasaccaridica specifica. Le differenze più imporanti tra

l'eparina a basso peso molecolare e quella NF (non frazionata) sono che la prima interagisce maggiormente con

fattore Xa rispetto che con la trombina, mentre la NF inibisce ugualmente i due e agisce debolmente sui fattori IXa e

XIa. C'è una grossa differenza circa il loro effetto sulle piastrine: l'NF produce molto frequentemente piastrinopenia

reversibile, la LMWH non ha questo effetto che si manifesta molto raramente. C'è una differenza di biodisponibilità

(30% contro 90%) a favore dell'eparina LMWH che non aumenta tra l'altro la permeabilità vascolare, cosa assai

frequente con la normale eparina.

Indicazioni cliniche. La trombosi cronica profonda può essere classif

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
5 pagine
SSD Scienze biologiche BIO/14 Farmacologia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher max-92_ di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Farmacognosia e farmacologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Salerno o del prof Parente Luca.