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Anfitrione e il teatro Greco
Tra le fugaci apparizioni del personaggio in Omero e il racconto della biblioteca, almeno
14 Anfitrioni, calcano le scene del teatro antico di cui 5 tragedie. Più consistenti sono le
testimonianze dell’Alcmena di Euripide, la cui ricostruzione può contare anche su pitture
vascolari tra cui una del IV secolo. Ma la storia di Anfitrione ispira anche poeti comici del V
secolo come ad esempio l’Anfitrione di Archippo e La lunga notte di Platone comico. È
invece certo che sia stato parodiato da Rintone, autore della magna grecia. Infine anche a
Roma la vicenda di Anfitrione, riscosse un grande successo: sono giunte fino a noi, infatti
un Anfitrione di Accio e un Alcumena di Ennio.
L’Anfitrione di Plauto
L’Anfitrione rappresenta un’anomalia nelle opere plautine. Ci si chiede infatti quale dei tanti
Anfitrioni abbia fatto da modello. Le risposte a questa domanda sono tre: quella di Platone
Comico o quella di Archippo, quella di Rintone e l’Alcmena di Euripide. L’anomalia si rivela
sì dal prologo il quale aveva la funzione di fornire le informazioni necessarie per seguire lo
spettacolo. Nel prologo questo compito lo ha Mercurio, il quale vuol saggiare la pazienza
degli spettatori annunciando che non si tratta di una commedia né di una tragedia, ma di
una mescolanza tra le due. La tragicommedia di Plauto è dunque una commedia dove si
intersecano elementi del genere tragico e dunque una commedia anomala. Un primo
aspetto è concesso alla figura del servo che è vile e lamentoso. Tutto ha inizio nella lunga
notte voluta da Giove, quando Sosia su incarico del padrone si avvia a palazzo per riferire
ad Alcmena il felice ritorno di Anfitrione ma a sbarrargli la strada c’è Mercurio del tutto
identico a lui. Mentre Sosia si cala progressivamente nel ruolo di vittima, vediamo come
l’altro invece si impone come terribile persecutore. Vediamo quindi come la somiglianza
non genera solo buffi equivoci, ma produce nei soggetti duplicati quell’effetto di
disorientamento dovuto all’improvviso insorgere di un inspiegabile anomalia in una realtà
nota e famigliare (Freud la definisce perturbante), per cui il servo esclama “non placet”
ovvero “non mi piacet”. Nel dialogo che si sviluppa in seguito deflagra la crisi di identità di
identità di Sosia ed entrano in gioco i motivi universalmente legati al tema del doppio: il
tentativo di rassicurarsi aggrappandosi alle più elementari certezze. Sosia manifesta
anche la sua appartenenza al mondo romano, nel lungo a parte conclusivo dove trovano
spazio considerazioni incomprensibili in codici culturali diversi e destinate quindi a
scomparire dalle riscritture successive. Ed è come schiavo che Sosia pensa di se stesso.
Per tutto il dialogo si aggrappa infatti all’autodefinizione (io) fino a che non arriverà la
rinuncia finale. Il legame tra Anfitrione e il contesto, lo cogliamo nel singolare spazio
concesso al tema della guerra. Prima dell’incontro con il doppio, Sosia è un messaggero
inviato a palazzo con l’annuncio per Alcmena che la guerra contro i Teleboi è vinta ed
Anfitrione è tornato. Sosia, quindi fingendo di voler ripassare tra se e se il suo discorso
interrompe l’azione per lanciarsi in un canticum contro i Teleboi. Solo dopo 500 versi
iniziano a comparire sulla scena i personaggi del triangolo; prima Giove e Alcmena, quindi
Anfitrione. I primi due appaiono non dissimili da una qualsiasi coppia di innamorati
borghesi. Per quanto riguarda la figura di Anfitrione, vediamo come Plauto lo ponga in
rapporto inizialmente, non con la moglie ma col Sosia. Anfitrione possiede con questi i
tratti più duri: la prepotenza, la collera, il timore di essere raggirato, il pronto ricorso alle
minacce e alla violenza. Nell’Anfitrione plautini tra i topoi presenti c’è quello della
confusione linguistica di cui cade vittima Sosia nel tentativo di riferire una realtà che
contravviene alle leggi della logica. Anfitrione reagisce a tutto ciò con la violenza fisica ma
anche con quel genere di violenza psicologica che consiste nell’intaccare la credibilità
dell’altro. Le stesse accuse le rivolgerà poi ad Alcmena e neppure l’esibizione di una prova
concreta, ovvero la coppa di Pretelao potrà convincere Anfitrione della buona fede della
moglie. Anfitrione si comporta infatti da padrone, per cui Giove dovrà vestire ancora una
volta i panni di Anfitrione. Anfitrione vede ricadere su di se le conseguenze della
frustrazione provocata nei suoi sottoposti; purtroppo la continuità del testo si interrompe
proprio quando il personaggio cerca invano di entrare in casa ma incontra lo sbarramento
di Mercurio. In seguito Anfitrione è abbandonato anche da Belfarone, un personaggio
chiamato a far da giudice tra i doppi. Solo allora Anfitrione si sente derubato della sia
identità. Si tratta di un identità garantita dal ruolo sociale: Sosia pensa a se stesso come
schiavo, mentre Anfitrione come pater familias. Anfitrione però non si arrende e medita
un’impossibile vendetta. Lo scioglimento della vicenda si fa strada con il racconto della
serva Bromia e l’Epifania di Giove che svela l’inganno e conferma l’origine divina del
piccolo Ercole. L’epilogo plautino finisce dunque per assomigliare alle tragedie euripidee.
Anfitrione tra Medioevo ed età moderna
Plauto durante il medioevo, conserva una vitalità carsica. Testimone di ciò è il Gaeta di
Vitale di Blois, il quale riprende a grandi linee il plot plautino adattandolo però al nuovo
codice culturale: Anfitrione infatti non è più un guerriero ma uno studioso di filosofia,
accompagnato dal servo Gaeta. Questi vede crollare le proprie conoscenze dopo
l’incontro con il doppio e nella sua mente si creano irresolubili aporie. Sopraffatto
dall’incertezza infatti egli finirà per gettare la spugna. La riscoperta nel 1427 delle dodici
commedie scomparse nel medioevo segna l’inizio di una nuova fase e testimone di ciò
sarà l’Anfitrione di Pandolfo Collenuccio (1487). Per tutto il ‘500 vediamo inoltre come
l’Anfitrione Plautino non cessa d’ispirare rivisitazioni e adattamenti nelle diverse letterature
europee. Abbiamo infatti: The Silver Age di Thomas Haywood; Os Anfitriones di Lui
Camoes; Il Marito di Ludovico Dolce, che traspone la vicenda mitica nella moderna
Padova con la totale rimozione dell’elemento soprannaturale e infine il Sacra mater virgo
di Johannes Brumeister dove ad Alcmena corrisponde Maria a Giove lo spirito Santo, ad
Anfitrione corrisponde Giuseppe e ad Ercole corrisponde Gesù bambino, per cui il finale
diventa una scena di adorazione natalizia.
La svolta di Moliere
Fino alla seconda metà del Seicento, alla base delle Metamorfosi di Anfitrione c’è sempre
stato il modello plautino. La svolta si avrà con Moliere, il quale prende come modello Jean
Rotrou che nel 1636 porta in scena Les Sosies. Tipica di Moliere è l’intensificazione della
comicità: nel suo dialogo bilaterale con Plauto e con Rotrou, l’autore non perde di vista la
finalità di divertire il pubblico, a cominciare dal prologo in cui Mercurio cerca di convincere
la luna a prolungare la notte per favorire gli amori di Giove. Il tema dunque riflette una
realtà sociale, in cui la corte costituisce un mondo a se, un satellite attorno al potere del
sovrano. Al prologo segue una lunga sezione in cui Moliere si attiene al modello plautino,
lasciando al centro della scena Sosia per il tempo più lungo possibile. L’effetto è comico,
tanto più che Sosia intervalla domande e risposte con autoelogi della sua prestazione
retorica. Inoltre il Sosia moderno vediamo come non solo subisce ma ammira anche
l’autorità del padrone di cui desidera l’approvazione. Altra novità è l’inserimento di una
serie di personaggi come ad esempio Clehantis moglie di Sosia o i due comandanti che
sostituiscono il personaggio di Belfarone. Alla fine, mentre il giudice plautino se ne va
incapace di formulare un verdetto, i personaggi molieriani optano per il falso Anfitrione
(Moliere, vuole ancora una volta prendere di mira le dinamiche del potere). Nel finale
vediamo come le modifiche al testo siano più radicali: il parto di Alcmena viene del tutto
rimosso e l’epifania di Giove viene del tutto laicizzata.
L’Anfitrione moileriano è dunque un commedia moderna e dietro i suoi personaggi è
possibile intravedere i cortegiani dell’epoca e c’è anche chi ci ha visto in quest’opera una
tresca amorosa di Luigi XIV. Sulla scia del nuovo modello si pongono L’Amphytrion di
Dyden e quello di Antonio Josè da Silva.
L’Anfitirone tragico di Kleist
L’Amphytrion francese è anche alla base della versione di Kleist. Per Kleist però a
differenza del suo predecessore, fine non è adattare l’opera al gusto contemporaneo con
un sapiente maquilage ma contrapporsi polemicamente al modello. I personaggi principali
sono Sosia e Anfitrione, per quanto riguarda Alcmena è presente in lei una confusione dei
sentimenti. Kleist è dunque interessato all’Anfitrione per la presenza dello sdoppiamento
che altera il processo di conoscenza. All’inizio del dramma Sosia fa la sua comparsa
munito di lanterna, ma privo dell’identità sociale di valletto. Rispetto al modello, la
prospettiva è infatti completamente rovesciata: il punto focale non è infatti l’esterno ma
l’interno. Il personaggio, infatti parla di se usando il linguaggio sofisticato ed elegante delle
conversazioni mondane ed è arricchito da una serie di elementi tipici del modello di Kleist:
il campo semantico dell’appartenenza, il dubbio, la costante ripetizione dei pronomi
personali e della negazione. Lo sconvolgimento radicale è ancora più chiaro nella scena di
congedo tra Giove e Alcmena dove i due non fanno sfoggio di retorica amorosa ma
dialogano in forma più semplice e diretta. Anche la scena successiva, ovvero quella del
litigio con il vero Anfitrione subisce una metamorfosi, rispetto il modello molieriano: non è
un battibecco tra coniugi ma un confronto serrato. La tensione culmina nella scena
successiva dove c’è un dialogo tra Alcmena e la serva Charis, moglie di Sosia a proposito
del diadema di Labdaco che Alcmena ha ricevuto in dono dal falso Anfitrione. Sul diadema
dovrebbe infatti esserci incisa una A (Anfitrione), ma al posto di questa è presente una
misteriosa G che Alcmena mostra sconvolta a Charis. In Alcmena è dunque visibile un
turbamento non diverso da quello già provato dal Sosia plautino di fronte al doppio.
Alcmena ne soffre molto di più di Anfit