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ORIGINE DELLA DISUGUAGLIANZA
Sulla disuguaglianza
Rousseau concepisce due genere di disuguaglianza:
1. naturale o fisica, che riguarda la differenza in salute, età, forze corporee ed
intelligenza ed è stabilita dalla natura;
2. morale o politica, è stabilita o almeno autorizzata dal consenso degli uomini.
Consiste nei diversi privilegi di cui alcuni godono a danno degli altri: essere più
ricchi, più onorati o più potenti.
Scopo del discorso è quello di indicare il momento in cui la natura fu sottomessa alla
legge, come ha fatto il più forte a sovrastare sul più debole.
Rousseau critica gli studiosi che hanno attribuito caratteristiche come la giustezza,
avidità, orgoglio e la proprietà, agli uomini selvaggi, nello Stato di natura, senza
nemmeno porsi il problema se quelle caratteristiche erano già esistenti nello Stato di
natura. Secondo Rousseau, i filosofi hanno sempre descritto l’uomo civile senza tener
conto delle vere caratteristiche dell’uomo selvaggio.
Rousseau cerca di spiegare ai lettori la storia di un qualsiasi uomo, in una qualsiasi
parte della Terra, ed egli ricava la storia dell’uomo dalla natura, perché essa non
mente mai a differenza dei libri i quali mentono.
Parte prima
Rousseau inizia la parte prima del suo discorso esponendo la sua idea di esame o
analisi dello stato naturale dell’uomo: egli esclude l’analisi di tipo naturalista in quanto
scienza troppo incerta. Prende in considerazione l’uomo spogliato dei capricci e delle
modernità, che cammina su due piedi (quindi scarta l’idea naturalista dell’evoluzione
dalle scimmie), che utilizza le mani come strumenti per procacciarsi del cibo. Il
risultato è un animale meno forte di alcuni e meno agile ma più organizzato (critica la
tradizione del pensiero che vede l’uomo avvantaggiato dall’intelligenza che lo
differenzia dagli animali), ma che riesce a soddisfare i propri bisogni primari grazie alla
robustezza del corpo.
Successivamente Rousseau critica la società del suo tempo in quanto rendeva l’uomo
meno capace di sopravvivere senza strumenti moderni di industrializzazione: l’uomo
selvaggio conosce il proprio corpo e sa come usarlo per trovare del cibo, scappare da
una bestia feroce, o combattere per la propria vita, mentre l’uomo civile è
condizionato e punito dalla modernità della società che lo porta sicuramente a perdere
se messo a confronto con le abilità di sopravvivenza dell’uomo selvaggio.
Rousseau cita la visione di Hobbes, il quale vede l’uomo selvaggio come aggressivo e
coraggioso, mentre Rousseau sostiene come l’uomo sia privo di relazioni di amore o
amicizia con altri uomini, come egli sia piuttosto timido e pronto a scappare al primo
rumore nuovo ma allo stesso tempo come egli sia abituato a un ambiente naturale,
dove la sua agilità e robustezza vanno ad sovrastare sulla ferocia degli animali come
lupi o orsi, una volta che l’uomo selvaggio avrà imparato a costruirsi delle armi per
difendersi.
Ciò che veramente va a minacciare l’uomo nello stato di natura non sono le bestie
feroci, piuttosto la vecchiaia, l’infanzia e le malattie (quest’ultime più presenti
nell’uomo della società). Sull’infanzia, Rousseau osserva come la specie umana sia
avvantaggiata nel ruolo di madre, piuttosto del mondo animale in quanto la donna può
soddisfare i propri bisogni e nutrire il figlio, mentre una madre animale deve
continuamente separare la nutrizione dall’ approvvigionamento di cibo per sé stessa e
i cuccioli.
La presenza di eccessi di ogni genere, dalla ricchezza al cibo e alle passioni, quindi le
disuguaglianze in generale sono la causa del male dell’uomo in quanto se questo fosse
rimasto nello stato di natura, le malattie e i vizi non sarebbero stati prescritti all’uomo.
Avendo l’uomo selvaggio poche possibilità di contrarre gravi malattie, Rousseau
deduce che la storia della malattie umane segua la storia delle società civili.
Rousseau propone un esempio tra animali selvaggi ed addomesticati, ponendolo a
confronto con uomo selvaggio e uomo civile. Un cavallo, un gatto o un toro hanno una
struttura robusta e possente in natura tuttavia se addomesticati, perdono il vigore e il
coraggio che li contraddistingue dagli altri animali. Lo stesso succede all’uomo, il
quale diventando socievole diventa debole.
La differenza principale tra uomo selvaggio e bestia è che in condizioni di crisi, come
ad esempio carestia, l’animale non avrebbe la furbizia di mangiare qualcosa che non è
nei suoi canoni ma che potrebbe tuttavia saziarlo e tenerlo in vita. L’ uomo, al
contrario, un agente libero, egli è comandato dalla natura come le bestie ma si
riconosce libero e può resistervi o sottostarvi.
Ciò significa che vi è un’altra qualità che distingue l’uomo dalla bestia, e questa è la
facoltà di perfezionarsi, facoltà propria della specie umana la quale se non segue
questo concetto di perfettibilità ne subirà le conseguenze: diventare inferiore alle
bestie, avere poche capacità come percepire e sentire.
Le caratteristiche principali che lo distinguono dagli animali è la capacità di migliorarsi,
di progredire, di sviluppare sensi e capacità. Altrimenti l’uomo, visto come un animale,
sarebbe privo di passioni, i desideri non andrebbero al di là de bisogni fisici e non
conoscerebbe morte, in quanto concetto che l’uomo svilupperebbe allontanandosi
dalla concezione animale.
Rousseau apre un’analisi sull’origine delle lingue e come queste fossero nate in uno
stato di natura. Egli comprende la difficoltà per gli uomini selvaggi di creare un
linguaggio per comunicare, con una sintassi e una grammatica sviluppate abbastanza
da permettere la comunicazione tra individui. Ecco perché Rousseau presuppone che
tra gli inventori della prima lingua fosse già stabilita una sottospecie di società: in
quanto non esiste un linguaggio di segni o di parole se non vi sono raggruppamenti di
individui, e non vi è la necessità di comunicare in assenza di commercio tra le famiglie.
Rousseau presuppone come il numero di linguaggi fosse paragonabile al numero di
individui esistenti, i quali cercavano di comunicare come potevano con gesti e segni. Il
primo linguaggio degli uomini nello stato di natura era il grido della natura, ovvero un
suono che veniva proliferato solo in caso di emergenza, di aiuto o per allievare i mali.
Una volta che gli individui iniziano a raggrupparsi, la necessità di pensare e
comunicare aumenta e così aumentano i segni e il linguaggio diventa più ricco.
La miseria
Rousseau si sofferma ad analizzare il significato di miseria, in contesto di stato di
natura e nel contesto della società in cui vive, e si chiede quale delle due società sia
più soggetta a miseria (che egli definisce come privazione dolorosa o sofferenza del
corpo). Riflette sul fatto che uno selvaggio non potrebbe lamentarsi della sua vita o
addirittura uccidersi. Nello stato di natura non vi sono relazioni morali, doveri,
cattiverie o vizi.
La pietà
Secondo Rousseau l’unica qualità che va attribuita all’uomo è la pietà: questa qualità è
così spontanea e naturale che anche gli animali ne mostrano i segni, in quanto ad
esempio un animale resta turbato nel vedere il corpo di un suo simile giacere inerme,
oppure si può notare nella tenerezza delle madri verso i loro cuccioli. Secondo
Rousseau la pietà è il moto della natura, ciò che esiste senza l’uso della ragione, forza
che anche nella società civile fatica a distruggersi, anzi ne emerge durante le lotte o
gli spettacoli nei quali le persone sono sensibili alle scene di dolore. Rousseau continua
elencando sentimenti nel quale la pietà è ben presente, come la clemenza, l’umanità,
l’amicizia e la generosità nei quali l’uomo desidera la felicità altrui e di conseguenza
non vuole il male. La compassione, secondo l’autore, è estremamente viva nell’uomo
selvaggio ma debole nell’uomo civile in quanto la compassione è quanto più forte
quanto l’animale che la prova si immedesima nell’animale che soffre.
È grazie alla pietà che l’uomo non è tentato o spronato a fare del male, in quanto
nessun uomo selvaggio avrebbe il coraggio di rubare un pezzo di pane ad un vecchio
infermo o ad un bambino, quando lo stesso uomo selvaggio può procacciarsi il cibo in
autonomia.
L’amore fisico e l’amore morale
Secondo Rousseau l’amore fisico è il desiderio generale che porta due sessi ad unirsi
mentre l’aspetto morale è quello che preferisce un determinato soggetto rispetto ad
altri.
Quest’ultimo si è sviluppato nella società e viene celebrato dalle donne per
riaffermarsi, nonostante siano essere il sesso dominato. Per l’uomo selvaggio invece,
essendo questo sentimento di amore fondato su canoni o merito, esso non è grado di
percepire sentimenti in quanto non in grado di fare paragoni. Il suo cuore non è
suscettibile, gli uomini nello stato di natura non percepiscono il fervore e la passione,
sono quindi loro meno inclini a dispute e meno crudeli. Così dicendo si afferma che
l’amore e tutte le passioni, si siano fortemente sviluppati nella società. egli pone in
esame le differenze tra accoppiamento tra animali e tra uomini e donne nello stato di
natura, specificando come nel mondo animale l’accoppiamento sia feroce e burbero in
quanto le femmine abbiano ridotti momenti di calore, mentre nella specie umana
questo non accade e di conseguenza le guerre e i disordini non sono necessari.
In conclusione, l’uomo solo senza progresso industriale, senza fissa dimora, senza
sentimenti e passioni, viveva la sua vita nello Stato di natura giorno per giorno
soddisfando i propri bisogni e se egli, spinto dalla curiosità, faceva dei progressi non
poteva nemmeno comunicarlo ai suoi simili o ai figli, in quanto non li riconosceva
come tali.
Conclusione parte prima
Rousseau si avvia verso la conclusione della prima parte del discorso confermando
quanto detto in tutto questo capitolo: l’uomo nello stato di natura è libero, egli non ha
bisogno di essere comandato, non è in preda a passioni che lo spingono alla lotta
continua con altri suoi simili. Rousseau sostiene come sia impossibile per l’uomo
selvaggio obbedire ad un altro uomo, in quanto le catene della servitù si sono
sviluppate con la nascita della società. la disuguaglianza nello stato di natura si fa
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