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I fautori della causa in concreto dicono che è sbagliato il riferimento al 1344 c.c. (ma in questa
sentenza ancora la Corte è prigioniera del retaggio antico per cui un contratto tipico è un contratto
lecito in quanto a causa e quindi richiamano il 1344 c.c.) e che qui c’è una violazione diretta della
norma imperativa perché la causa del contratto è la garanzia. Questo contratto in realtà non è
elusivo di una norma di legge, ma è direttamente in violazione di una norma di legge perché la
causa in concreto della vendita con patto di riscatto non è la causa vendendi ma è la causa cadendi
così come si accerta in concreto da taluni elementi sintomatici quali per esempio la temporaneità del
trasferimento che è di per sé incompatibile.
Questo discorso si è riprodotto con riferimento al cd sale and lease back che è un’operazione con
le quale le parti impiegano il contratto di leasing a delle condizioni che normalmente non sono
quelle del contratto di leasing. Questa operazione si ha quando una società in difficoltà economica e
in crisi di liquidità ma che ha beni strumentali che non può vendere o dare in pegno vendo i beni
alla banca o alla scoietà di leasing che contestualmente me li riaffida in leasing
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(Tra l’altro adesso hanno creato il pegno mobiliare non possessorio rotativo anche per cercare di
sopperire a queste problematiche, secondo Orestano è un istituto farraginoso costruito in modo folle
che non potrà avere nessun tipo di applicazione pratica, anche l’idea del registro telematico dei
pegni non possessori risulta complicato attuare perché si è sempre detto non si può fare un registro
di alcuni beni mobili ad esempio i tavolini perché si rischia di ingenerare grosso contenzioso
quando si tratterà di far valere la prelazione magari rispetto al Fallimento con il pegno perché il
Curatore dirà non è quel tavolino ma l’altro oggetto del pegno, non essendo possessorio il tavolino
rimane dov’era quindi è difficile stabilire qual’era.)
Nel sale & lease back l’imprenditore oggi può sopperire alla mancanza di liquidazione dando in
pegno beni strumentali e addirittura il magazzino senza consegnare questi beni al creditore. Il
pegno ha due deviazioni rispetto alle regole codicistiche:
la prima è che non è possessorio quindi il possesso del bene rimane all’imprenditore che
ovviamente di deve lavorare, cambia il titolo per cui il debitore gode del bene è un
gioco solo cartaceo il bene non esce mai dalle mani del debitore
è rotativo per cui c’è la possibilità della sostituzione dei beni oggetto di pegno ma il
legislatore si è dimenticato di prevedere l’equivalenza di valore.
Il bene fisicamente non esce mai dall’azienda è solo un gioco cartaceo, cambia il titolo per il quale
godo di questi beni (prima ne ero proprietario adesso ne sono utilizzatore) , con tutte le
caratteristiche del leasing, quindi devo pagare il canone periodico, alla scadenza potrò optare per
riacquistare i beni che nel frattempo sono in proprietà della società finanziaria, e se smetto di pagare
le rate alla società finanziaria, si risolve il contratto di leasing e i beni rimangono alla società di
leasing che è garantita da questa proprietà, e il debitore non avrà più diritto di lottare per il
riacquisto.
Quando è uscita questa operazione tutti hanno gridato alla violazione del divieto di patto
commissorio ex art 2744 c.c.: la vendita serve ad avere il cash flow, sembrerebbe che garantisco la
restituzione del capitale, degli interessi ecc con la proprietà dei beni che la banca/società finanziaria
ha acquisito e rischia di tenersi definitivamente se io non pago i canoni del leasing. È molto simili
quindi alla vendita con patto di riscatto. Ci furono infatti molte sentenze di merito che dissero che
non si poteva fare.
La Cassazione sentenze 18920/2014 5438/ 2006 e 7296/ 2006 (attenta alle esigenze delle banche)
però ha detto che questa operazione è astrattamente valida, che vengono prima della sentenza sulla
causa in concreto, è meritevole perché risponde alle esigenze di imprese sane che possono aver
bisogno di contanti e liquidità e che non possono dare in pegno i beni perché ne hanno bisogno per
il ciclo produttivo ma poi il Giudice del merito deve andare a vedere se il singolo contratto viola il
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patto commissorio. Qui trattandosi di un contratto atipico (ancora teoria vecchia per cui il contratto
tipico non poteva avere causa illecita) quindi va visto caso per caso a luce di elementi sintomatici
(es. differenza tra il valore dei beni e l’importo della vendita ecc), quindi il Giudice del merito deve
andare a indagare se in concreto la singola operazione è fata in violazione del divieto del 2744 c.c.
con la sua consequenziale nullità.
Il contratto di "sale and lease back" si configura secondo uno schema negoziale, socialmente tipico
(in quanto frequentemente applicato, sia in Italia che all'estero, nella pratica degli affari),
caratterizzato da una specificità tanto di struttura quanto di funzione (e, quindi, da originalità e
autonomia rispetto ai "tipi" negoziali codificati), e concretamente attuato attraverso il
collegamento tra un contratto di vendita di un proprio bene di natura strumentale da parte di
un'impresa (o di un lavoratore autonomo) ad una società di finanziamento che, a sua volta, lo
concede contestualmente in leasing all'alienante il quale corrisponde, dal suo canto, un canone di
utilizzazione con facoltà, alla scadenza del contratto, di riacquistarne la proprietà esercitando un
diritto di opzione per un predeterminato prezzo. Manca, pertanto, nella fattispecie negoziale "de
qua" quella trilateralità propria del leasing, potendo essere due (e soltanto due) i soggetti
dell'operazione finanziaria (e, conseguentemente, le parti del contratto), in quanto l'imprenditore
assume la duplice veste del fornitore-venditore e dell'utilizzatore, secondo un procedimento non
diverso da quello dell'antico costituto possessorio. Ne consegue che il negozio di "sale and lease
back" viola la "ratio" del divieto del patto commissorio, al pari di qualunque altra fattispecie di
collegamento negoziale, sol che (e tutte le volte che) il debitore, allo scopo di garantire al creditore
l'adempimento dell'obbligazione, trasferisca a garanzia del creditore stesso un proprio bene
riservandosi la possibilità di riacquistarne il diritto dominicale all'esito dell'adempimento
dell'obbligazione, senza, peraltro, prevedere alcuna facoltà, in caso di inadempimento, di
recuperare l'eventuale eccedenza di valore del bene rispetto all'ammontare del credito, con un
adattamento funzionale dello scopo di garanzia del tutto incompatibile con la struttura e la "ratio"
del contratto di compravendita, mentre l'esistenza di una concreta causa negoziale di scambio (che
può riguardare, o meno, tanto il "sale and lease back" quanto lo stesso leasing finanziario) esclude
in radice la configurabilità del patto vietato.
E', in linea di massima, astrattamente valido lo schema contrattuale del «sale and lease back», in
quanto contratto d'impresa socialmente tipico, ferma la necessità di verificare caso per caso
l'assenza di elementi patologici sintomatici di un contratto di finanziamento assistito da una
vendita in funzione di garanzia, volto cioè ad aggirare, con intento fraudolento, il divieto del patto
commissorio previsto dall'art. 2744 c.c., sanzionabile per illiceità della causa con la nullità, ai
sensi dell'art. 1344 c.c., in relazione all'art. 1418, comma 2. Detti elementi sono essenzialmente tre:
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1) la presenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l'impresa venditrice
utilizzatrice, antecedente o contestuale alla vendita; 2) le difficoltà economiche dell'impresa
venditrice, legittimanti il sospetto di un approfittamento delle sue condizioni di debolezza; 3) la
sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall'acquirente, che confermi
la validità di tale sospetto.
Qui possiamo vedere il doppio piano della meritevolezza astratta secondo cui 1) a livello tipologico
il contratto va bene ma 2) a livello di causa in concreto (interessi concretamente perseguiti) cioè il
livello dove si situa il giudizio di liceità, quindi bisogna andare a vedere se il singolo contratto di
sale and lease back pur riconducibile a uno schema astrattamente meritevole poi però non persegue
interessi contrastanti con le norme.
La Corte 18920/2014 Il contratto di sale and lease back, cosiddetto locazione di ritorno, è un
contratto di impresa socialmente tipico (cioè atipico perché non previsto dalla legge ma ormai
tipizzato dalla prassi) mediante il quale l’imprenditore vende alla società finanziaria un bene in
proprietà che poi quest’ultima gli concederà in leasing avendo la possibilità di riacquistare la
proprietà in seguito all’esercizio di restituzione. La causa concreta del contratto in questione è lo
scopo di finanziamento e risulta lecito in virtù del divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c. a
condizione che esista un giusto equilibrio tra il valore del bene venduto e il prezzo versato il
canone e il prezzo dell’opzione. Tale contratto è dunque fraudolento (in realtà in base a quanto
detto prima dovrebbe essere in violazione non fraudolento) se vi è l’esistenza di una preesistente
situazione di credito-debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice-utilizzatrice , le
difficoltà economiche di quest’ultima, la sproporzione tra il valore del bene da trasferire e il
corrispettivo (creteri sintomatici del 2006 qui rivisitati con la terminologia della causa in
concreto).
(Sentenza 1273 del 2005 è la prima sull’operazione in questione).
Dove invece è sempre e serenamente ammessa la alienazione con funzione di garanzia e nella
cessione del credito (art. 1260 c.c. e ss) che è uno strumento come si diceva un tempo a causa
variabile (terminologia tipica di quando si discuteva di causa in astratto) perché ci sono alcuni
contratti in cui la causa è tipica ma variabile.
Gli articoli che riguardano la cessione di credito infatti stanno nel titolo I del libro IV, quindi non è
disciplinata nella materia del contratto perché poi deve coordinarsi con le norme dedicate ai singoli
tipi di contratti a seconda di quella che è la configurazione causa