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I due procedimenti possono anche coesistere, si ordina l’esecuzione dei trattati (procedimento
speciale), ma data la molteplicità delle norme contenute nei trattati, si pensa successivamente alla
riformulazione delle norme non self-executing (procedimento ordinario).
L’adattamento del diritto italiano
Alle consuetudini
1.
Art. 10.1 della Costituzione italiana: questa norma fa riferimento al solo diritto internazionale
generale, essa procede all’adattamento del diritto italiano a quello internazionale, prevedendo un
procedimento speciale. Con essa si ordina il rispetto delle norme internazionali consuetudinarie.
Questa norma ha delle caratteristiche per cui viene definita “trasformatore permanente” in quanto
permette che il diritto italiano sia costantemente allineato con il diritto internazionale generale.
Il rango che le consuetudini internazionali assumono nel nostro ordinamento è definito secondo il
criterio di massima per cui una norma internazionale assume nell’ordinamento interno lo stesso
rango della fonte con cui si è proceduto all’adattamento. In linea di principio, seguendo questo
criterio, essa si affianca alla Costituzione. Il problema sorge qualora ci fosse un contrasto fra legge
ordinaria e consuetudine internazionale operante nel nostro ordinamento tramite l’art.10
quest’ultima prevarrebbe sulla prima, la vigilanza sull’applicazione su tale criterio è compito della
Corte Costituzionale, la quale può annullare la legge ordinaria per violazione dell’art.10.
Più problematica è l’ipotesi in cui si abbia un contrasto tra una consuetudine internazionale e una
norma della Costituzione, in questo caso anche la Costituzione cede di fronte alle consuetudini
internazionali a meno che esse non collidano con i principi fondamentali costituzionalmente previsti
(teoria dei contro-limiti). Questo contrasto si verifica in tutti quei casi di immunità in cui il valore
fondamentale sostenuto dalla Costituzione è garantito “per equivalenti”, ovvero in qualche altro
modo di far valere i propri diritti.
Ai trattati:
2.
L’adattamento del diritto italiano ai trattati avviene mediante l’ordine di esecuzione, ovvero l’ordine
di rispettare l’accordo, il quale solitamente avviene per legge ( = secondo articolo che rende
l’accordo operativo sul piano interno), essa è la stessa che contiene anche l’autorizzazione alla
ratifica (= primo articolo che afferma l’impegno sul piano internazionale).
Questa stessa legge potrebbe anche contenere le norme di riformulazione delle norme non self-
executing. Questo se si tratta di accordi previsti dall’art. 80 della Costituzione.
Se il rango che gli accordi assumono una volta immessi nel nostro ordinamento fosse stabilito
mediante il criterio della fonte nazionale di adattamento sarebbe molto facile violare gli accordi
tramite altre leggi, con commissione di un illecito da parte dello Stato e responsabilità sul piano
internazionale. Poiché tale criterio non è quindi applicabile, molte altre tesi si sono succedute per
risolvere tale questione, come il fatto che la legge che contiene l’ordine di esecuzione sia una legge
speciale, per la quale non vale il criterio che la seconda (temporalmente) prevale sulla prima, a
meno che il legislatore non espliciti questa volontà.
Una modifica costituzionale ha corretto questa situazione, oggi l’art. 117.1 dice che la volontà
potestativa (legge) è legata al rispetto degli obblighi internazionali, ciò ha l’effetto di collocare gli
accordi internazionali in una posizione intermedia fra la Costituzione e le leggi ordinarie (= norma
interposta), essi hanno un valore superiore rispetto alle leggi, ma minore rispetto alla Costituzione.
Laddove ci dovesse essere un contrasto tra una disposizione di un trattato e una norma
costituzionale, quest’ultima prevarrebbe, e la prima sarebbe incostituzionale. Se il contrasto fosse
tra una disposizione di un trattato e una disposizione di legge a prevalere è il trattato e la legge
interna contrastante è, in questo caso, incostituzionale, in quanto viola l’art. 117.
L’elemento almeno parzialmente insoddisfacente di questo discorso è che il giudice interno non può
da solo constatare il contrasto tra la legge e un trattato e disapplicare la legge interna contrastante,
deve sempre sospendere il suo procedimento e rivolgersi alla Corte Costituzionale. Ciò ovviamente
rallenta il giudizio e aumenta il lavoro della Corte Costituzionale.