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BELLEZZA E ABBIGLIAMENTO

Per essere belle le ragazze romane dovevano essere magre e le madri le costringevano a drastiche diete, anche se non tutte erano d'accordo. Tendenzialmente, però, la magrezza era considerata bellezza, al pari di oggi. Plinio il Vecchio si scandalizzava: "Oggi si vanno a comprare i vestiti di seta in Cina, si vanno a pescare le perle in fondo al Mar Rosso, a trovare nelle viscere della Terra gli smeraldi, oggi addirittura si è inventati di bucarsi il lobo delle orecchie: non bastava portare i gioielli nelle mani, sul collo o fra i capelli, dovevano essere conficcati anche nel corpo."

La differenza tra vesti maschili e femminili non consisteva tanto nella foggia, quanto piuttosto nei tessuti e nei colori. Infatti, anche le donne romane utilizzavano la TUNICA, conforme al vestiario maschile, ma esse indossavano in aggiunta la STOLA, ossia l'abito nazionale, come la toga per i maschi adulti. Questa, che ha subito attraverso il tempo vari

mutamenti a seconda della moda, era in origine una sopravveste molto ampia, che scendeva sino ai piedi, stretta in vita da un cingulum (talvolta le cinture sono due, una più alta e l'altra sui fianchi) e chiusa sul petto da una fibbia, oppure sulle spalle da bottoni ornati di pietre preziose; le maniche potevano essere lunghe o corte; nella parte inferiore la stola era ornata da una striscia di porpora o da una balzaricamata in oro. Talvolta, al posto della stola, come tunica superiore si indossava la subucula, che era di lunghezza varia, ma mai fino ai piedi (per cui la parte inferiore della subùcula rimaneva in vista); somigliava al chitone greco, ma aveva i fianchi sempre cuciti; i margini superiori, invece, venivano accostati con fibule o cammei, in modo tale da creare due false maniche lunghe quasi fino al gomito. Infine esisteva la recta, equivalente ad una tunica bianca, sprovvista di maniche, aderente alla vita e scampanata in basso; era il vestito delle giovani spose romane.

completato dal "flammeum", dal nome, un ampio velo color giallo fiamma, che andava posto sul capo e fatto scendere sul retro. Per uscire in pubblico, nei primi secoli dell'età repubblicana le matrone usavano gettare sulla stola un mantello quadrato di dimensioni piuttosto limitate, cui si andò sostituendo, con il passar del tempo, la "PALLA" ossia un grande mantello rettangolare che, a differenza della toga maschile, copriva entrambe le spalle; poteva essere lungo fino ai piedi, ma generalmente scendeva fin sotto le ginocchia. Simile al mantello greco, veniva indossata in modi svariati, talvolta anche poggiandone un lembo sul capo; era l'equivalente del pallium maschile, diversa da questo per la vivacità dei colori e non tanto per la linea. ("Quando il pallio di lei pende troppo e tocca il terreno, prendilo e sollevalo con delicatezza dal fango della strada. Come ricompensa ai tuoi occhi si presenterà subito, senza che la fanciulla possa evitarlo,

lo spettacolo delle sue gambe. » -Ovidio, Ars amandi-) Tornando all'aspetto delle stoffe femminili, va specificato che esse potevano essere di diversi colori e, inoltre, non c'erano solo stoffe in tinta unita, ma anche a strisce, come dimostrano numerosi busti romani, i cui vestiti erano imitati dal marmo, e pure ricamate o intessute a telaio di disegni vari. Le donne usavano in particolare come biancheria intima una fascia per reggere il seno, lo "STROPHIUM", o la fascia che lo ridimensionava, ossia la "FASCIA SUBLIGARIS" o mammillare, perché il seno era considerato bello se piccolo, ma nel caso fosse eccessivamente grande, era necessario ricorrere alle "imbottiture". Riassumendo, va specificato che l'abbigliamento matronale romano rappresentava una BARRIERA fra il corpo della donna e l'occhio estraneo, dal forte significato simbolico, identificativo del rango di appartenenza, che la proteggeva come una sorta di "corazza". Pertanto gli indumenti,è considerata la sfera privata della donna, avrebbe potuto mettere in discussione la sua reputazione e il suo status sociale. Per questo motivo, l'abbigliamento delle matrone era caratterizzato da una grande moderazione e sobrietà. La stola, in particolare, era un indumento simbolo delle donne sposate e rappresentava la loro posizione nella società. Indossare la stola significava essere riconosciute come matrone e rispettate come tali. La stola aveva anche una funzione protettiva, poiché copriva il corpo della donna e la preservava dagli sguardi indiscreti degli uomini. Il semplice fatto che un uomo guardasse una donna in modo inappropriato violava il concetto di pudicitia e riservatezza che la donna aveva il diritto di mantenere. Pertanto, proteggere questa condizione, anche attraverso un abbigliamento adeguato, era un dovere per le matrone. Al contrario, permettere a sguardi estranei di oltrepassare i limiti della sfera privata della donna avrebbe potuto compromettere la sua reputazione e il suo status sociale.DOVEVA ESSERE L'INVALICABILE BARRIERA DELLA VESTI COSTITUIVA, PER LA DONNA, UN ATTO CHE LA RENDEVA NON PIÙ MOGLIE MA ADULTERA.

IL VELO (esempio massimo di messaggio in codice)

Nella società romana la donna sposata, ossia la matrona, era caratterizzata dal fatto di non poter uscire in pubblico con il capo scoperto. Tale uso aveva inizio con il matrimonio: la vergine che andava in sposa indossava un velo, detto FLAMMEUM (che probabilmente era di un colore arancio, poiché le testimonianze che ci sono giunte al riguardo ce lo descrivono talvolta come giallo, talvolta come 'color sangue'), che però copriva anche il volto. Una volta sposata la ragazza era destinata appunto a non uscire mai più di casa a testa nuda; essa infatti veniva coperta con un lembo della "PALLA", e questo caratterizzava tutte le occasioni della loro vita in cui si recavano in contesti pubblici di qualunque genere.

Ma qual era il significato di questo costume? Certamente esso

si collegava con la necessità che tale categoria di donne tenesse un atteggiamento improntato alla massima riservatezza: essenziale era infatti il dovere di evitare ogni comportamento che potesse aprire la strada all'adulterio, che non doveva certo essere commesso da colei che era destinata a riprodurre la stirpe di suo marito. E, appunto, ogni contatto visivo improprio (analogamente a quanto avveniva per altre forme di contatto) poteva costituire la premessa di un adulterio, divenendo strumento di seduzione. Per questo motivo, una donna che non si preoccupasse di coprire la testa con la palla quando usciva di casa in un certo senso era come se si fosse comunque macchiata di tale colpa: e poteva, per questo, anche essere addirittura ripudiata dal marito. Ci racconta infatti VALERIO MASSIMO, un autore che scriveva nel I secolo d.C., che un certo Sulpicio Gallo ripudiò la moglie perché essa era uscita di casa a capo scoperto, motivando questa sua decisione con le seguenti

parole:“La legge ti prefissa solo i miei occhi per farti giudicare nelle tue forme. Per questi occhi acconcia la tua bellezza, a questi occhi dovrai apparire bella, all’infallibile commento di questi occhi devi affidarti. La circostanza che ti sia messa in vista in maniera troppo provocante ti rende necessariamente sospetta e colpevole.” (VI 3,10; trad. di R. Faranda).

Dunque, era sentito quale inderogabile il dovere da parte della matrona di coprirsi la testa per uscire: appare assolutamente chiaro che tale obbligo si collegava a un’esigenza di carattere culturale, costituita dalla necessità di proteggere con ogni riguardo la propria pudicizia, che imponeva una serie articolata e rigida di norme di riservatezza. Queste tendevano a isolare la matrona impedendole contatti indebiti e incontrollati di qualsiasi natura con uomini estranei e lo scopo di tutto questo era appunto l’esigenza di salvaguardare l’autenticità dei discendenti del marito, che

propagavano automaticamente anche la sua stirpe. Perciò nella cultura romana non erano motivazioni di natura religiosa o cultuale alla base della norma che prescriveva alla matrona di porsi un lembo del mantello sulla testa per uscire di casa.

>PROSTITUTE E SCHIAVE

In netta contrapposizione con la figura della matrona romana di alto rango, c'erano le donne di condizione inferiore, ossia le schiave o le prostitute, distinte dalle altre proprio per il genere di abbigliamento, completamente differente. Infatti, come le matrone accusate di adulterio, le caratterizzava l'AMICULUM, una sopravveste corta estretta di lino trasparente, che rendeva visibile il declassamento sociale e morale di ognuna. ORAZIO contrappone questa veste trasparente alla STOLA e alla PALLA della matrona, indumenti che non lasciavano intravedere nulla del sottostante corpo femminile, come si conveniva nel rispetto del matronale senso del pudore. Definiti da SENECA "non vestiti", questi abiti

così trasparenti e provocanti, se da un lato, solo con lo sguardo, escludevano chi li indossava dalla categoria "protetta" delle matrone, dall'altro inviavano un messaggio seduttivo molto chiaro, di disponibilità sessuale, che serviva ad attirare il cliente. Degno di nota è il fatto che il diritto romano poneva sullo stesso piano le prostitute vere e proprie e quelle donne che lavoravano a contatto ravvicinato con il pubblico, come ad esempio potevano essere le attrici (o mimae), le ballerine, le locandiere, e così via; queste non erano tutelate, poiché erano quasi tutte schiave o liberte. Le vesti indossate dai lavoratori e dagli schiavi erano molto simili, tali da farli apparire come facenti parte dello stesso ceto, mentre in realtà la loro condizione sociale era profondamente diversa. Della classe lavoratrice facevano parte pescatori, agricoltori, pastori, artigiani, commercianti, piccoli proprietari di botteghe e negozi e tuttoper i nobili e i ricchi, che potevano permettersi abiti più elaborati e costosi. Indossavano tuniche di lino o seta, decorate con ricami e gioielli, e mantelli di preziosa stoffa. Le donne nobili, in particolare, sfoggiavano abiti sontuosi e complessi, con ampie gonne e corpetti aderenti, impreziositi da pizzi e merletti. Nella società antica, l'abbigliamento era un segno distintivo di status sociale e di appartenenza a una determinata classe. I nobili e i ricchi cercavano di mostrare la propria ricchezza e potere attraverso i loro abiti, mentre i lavoratori e gli schiavi indossavano vesti semplici e pratiche, adatte al loro lavoro. Oltre all'abbigliamento, anche i gioielli e gli accessori erano importanti per esprimere il proprio status sociale. I nobili indossavano collane, braccialetti, anelli e orecchini di oro e argento, mentre i lavoratori e gli schiavi si accontentavano di pochi e semplici ornamenti. In conclusione, l'abbigliamento nell'antichità era un elemento fondamentale per definire la posizione sociale e l'identità di una persona. Mentre i nobili e i ricchi potevano permettersi abiti lussuosi e costosi, i lavoratori e gli schiavi dovevano accontentarsi di vesti semplici e pratiche.
Dettagli
Publisher
A.A. 2010-2011
10 pagine
1 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/01 Storia medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ninkasi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del costume e della moda e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Muzzarelli Maria Giuseppina.