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CAVITA' DELLABLASTOCISTI(BLASTOCELE)TROFOBLASTOMASSACELLULAREINTERNA
Queste cellule vengono poste in coltura (all'interno di fiasche da coltura) e volendo possono anche essere stimolate nella crescita. Si procede con l'inserimento di DNA esogeno nel nucleo di queste cellule: questo passaggio può essere fatto attraverso una microiniezione di DNA esogeno (vedi prima) o attraverso la TRASFEZIONE. Con il termine trasfezione si fa riferimento proprio all'introduzione di materiale biologico (in questo caso DNA) all'interno di cellule eucariotiche (in questo caso, cellule di mammifero) attraverso un particolare sistema che prende il nome di vettore, che è una molecola di DNA plasmidico, cioè DNA batterico (il vettore può essere anche virale) di forma circolare e a doppia elica e che contiene quindi il gene esogeno. La trasfezione è molto simile alla trasformazione batterica (nella trasfezione il DNA ricombinante è inserito in.
cellule eucariotiche; nellatrasformazione il DNA ricombinante è inserito in cellule batteriche). Considerandol’introduzione di DNA in vitro all’interno di cellule di mammifero attraverso latrasfezione, il problema che ci si pone riguarda il fatto che sia l’acido nucleico sia lamembrana cellulare sono carichi negativamente: il DNA, per forze di repulsioneelettrostatiche, quindi, non interagirà mai spontaneamente con la membrana. Moltimetodi di trasfezione in vitro, quindi, servono per mascherare i gruppi anionici delDNA, in modo da renderlo neutro da un punto di vista della carica. Uno dei metodi ditrasfezione in vitro più semplici e meno costosi è quello che prevede l’uso di fosfato dicalcio. La procedura prevede il mescolamento di una soluzionetampone HEPES contenente ioni fosfato insieme a una soluzione di cloruro dicalcio (CaCl2) e il DNA da trasfettare. Il mescolamento delle due soluzioni produce unprecipitato di calcio fosfato,
che andrà a legare la molecola di DNA. Il precipitato viene prelevato, risospeso e aggiunto al terreno di coltura (di solito una coltura monostrato). Con un processo ancora non ben noto le cellule legano il precipitato e permettono l'ingresso del DNA nella cellula. Un altro metodo biologico molto efficace per la trasfezione è la lipofezione, il quale sfrutta l'uso dei liposomi, piccole vescicole lipidiche che inglobano il DNA e sono indotte ad entrare con esso nella cellula simulando i processi di endocitosi cellulare. La capsula lipidica favorisce il passaggio del DNA attraverso la membrana. Molto utilizzato come metodo di trasfezione è anche l'elettroporazione, che consiste nell'applicare una differenza di potenziale ai lati della cuvetta che contiene la soluzione con le cellule e il DNA da shock elettrico: lo provoca la formazione di pori nella membrana che permettono l'ingresso del materiale genetico. Ha come difetto l'altapercentuale (%) di cellule che non sopravvivono in seguito al trattamento.
Una volta che le cellule sono state trasfettate, il gene esogeno dovrà integrarsi nel genoma della cellula ospite e lo fa attraverso una particolare tecnica che prende il nome di GENE TARGETING.
La produzione di animali transgenici è limitata spesso dalla bassa e non prevedibile espressione dei geni esogeni prescelti, a causa soprattutto delle integrazioni casuali ottenute con le classiche tecniche di transgenesi. Per ovviare a questo problema, l'alternativa oggi è rappresentata dalle tecniche di "gene-targeting", che garantiscono inserzioni/delezioni geniche mirate in un locus predeterminato. Sebbene ciò non garantisca alti livelli di espressione, assicura comunque che il livello di proteina codificata dal gene esogeno sia sempre la stessa, non essendo influenzata dal "positional effect". Il "gene-targeting" sfrutta l'evento di ricombinazione.
omologhe sono indicate con HB3 e HB4). Queste sequenze omologhe sono necessarieper favorire la ricombinazione omologa tra il vettore e il genoma ospite. Inoltre, ilvettore dovrà contenere anche sequenze di riconoscimento per enzimi di restrizione,che permetteranno di inserire il gene esogeno nel vettore in modo preciso e controllato.Infine, il vettore dovrà essere dotato di un marcatore di selezione, che permetterà diidentificare le cellule che hanno integrato correttamente il gene esogeno nel genomao- 5spite. In questo modo, sarà possibile selezionare e isolare le cellule che hanno subito laricombinazione omologa desiderata.Servono all'analisi dell'integrazione che verrà spiegata dopo). Attraverso un doppio evento di ricombinazione omologa, il gene esogeno (che nell'immagine soprastante è indicato con TG) sostituirà completamente il gene sul cromosoma. La ricombinazione omologa prevede innanzitutto che ci sia un allineamento tra il vettore e la regione del cromosoma che contiene il gene che deve essere sostituito. Questo allineamento avviene proprio tra le regioni omologhe del vettore e del cromosoma. Per regioni omologhe si intende regioni che condividono una elevata percentuale di basi. Il transgene di interesse entrato nel cromosoma viene trascritto a partire dal promotore del gene endogeno che è stato sostituito. Se il gene endogeno viene sostituito con un gene esogeno funzionale o che presenta una mutazione che mantiene la sua funzionalità cambiando il solo fenotipo si parla di gene Knock-in. Se, invece, il gene endogeno viene sostituito con un gene
esogeno nonfunzionale o che presenta una mutazione che lo silenzia (e quindi lo rende nonfunzionale), si parla di gene Knock-out. L'animale knock-out, inoltre, rappresenta attualmente il sistema di elezione per la creazione di modelli sperimentali di patologia umana da difetto monogenico. La tecnica del gene targeting, tuttavia, presenta problemi di vario tipo, soprattutto legati al ruolo del gene bersaglio: se tale gene è molto importante potrebbe essere letale per i feti, e non dare origine ad alcuna progenie; se invece è ridondante (cioè ripetuto), non si noterà alcun effetto fenotipico. Una volta che il materiale genetico si è integrato nel genoma ospite, bisogna controllare e verificare se l'integrazione è avvenuta correttamente o meno. Per eseguire questa verifica si può procedere attraverso due tecniche: una selezione negativa-positiva o un'analisi meditante PCR. La prima tecnica sfrutta la costruzione di un vettore incui il transgene è affiancato dal gene della resistenza alla geneticina fosfotrasferasi (gene Neo) e da due sequenze della timidina chinasi (tk1 e tk2). In una corretta integrazione del gene esogeno nel genoma ospite, si inserisce in quest'ultimo anche il gene Neo, mentre le sequenze tk1 e tk2 vengono mantenute fuori dal genoma ospite. Se avviene un'integrazione aspecifica (cioè dove il ricercatore non vuole), invece, tutto il costrutto (il vettore) si inserisce nel genoma ospite (quindi, anche le sequenze tk1 e tk2). Quando si aggiunge al terreno di coltura l'antibiotico geneticina, le cellule che sopravvivono sono quelle in cui è avvenuta l'integrazione perché hanno il gene Neo (il gene Neo conferisce la resistenza a questo antibiotico). Per capire, però, se l'integrazione è avvenuta correttamente (senza delle sequenze tk) si aggiunge anche un'altra sostanza (ganciclovir o il suo analogo G418). Questa sostanzaè tossica perle cellule se priva di gruppi fosforici; risulta, invece, tossica quando viene fosforilata. Sapendo che le sequenze tk codificano per proteine in grado di fosforilare, in questocaso, ganciclovir, le cellule che muoiono quando si aggiunge questa sostanze sonoquelle in cui l'integrazione è avvenuta ma è avvenuta in un modo scorretto. Se, invece, è avvenuta una integrazione sito specifica, nelle zone per la ricombinazioneromologa si inserisce il geno Neo, ma vengono persi i geni per la timidina chinasi. Quindi in presenza del ganciclovir, esso non subisce l'attacco dei fosfati e le cellulepossono sopravvivere. L'analisi dell'integrazione può essere effettuata ancheutilizzando la PCR. In questo caso il vettore che trasporta il gene esogeno avràcaratteristiche differenti dal vettore descritto precedentemente: il vettore, infatti, saràcostituito dal gene esogeno centralmente (indicato con TG); a fianco aquesto gene è disposta una sequenza US (cioè una sequenza presente solo nel vettore e tipica del batterio ed assente nel genoma murino); a fianco a questa sequenza e a fianco al gene esogeno ci sono sequenze omologhe al sito del genoma murino dove vogliamo avvenga la ricombinazione omologa.
Si procede progettando una coppia di primer (un forward e un reverse): il reverse viene progettato considerando la sequenza US; il forward viene progettato, invece, considerando una sequenza (chiamata CS1) presente nel genoma ospite e sarà adiacente ad HB2 se avviene la ricombinazione. Se c'è integrazione sito-specifica, in seguito a un ciclo di PCR, si ottiene un amplificato del quale sono note le dimensioni; se l'integrazione non avviene o avviene casualmente non si ottiene l'amplificato, dato che non esiste la sequenza CS1 alla quale può legarsi il primer forward.
Molto spesso, i vettori che vengono utilizzati per il gene targeting, oltre a contenere
I geni marcatori come Neo, tk1, tk2 ecc., contengono anche dei geni chiamati genireporter. Si tratta di geni facilmente esprimibili ed evidenziabili. Vengono utilizzati, ad esempio, per verificare l'avvenuta integrazione come in questo caso oppure per studiare sequenze regolatrici (come i promotori) di un determinato gene che viene sostituito con il gene reporter. Esempi di geni reporter sono il gene lacZ, il gene per la luciferasi e il gene GFP. Il gene LacZ codifica per la β-galattosidasi che è un enzima idrolitico che catalizza nei polisaccaridi noti come beta-galattosidi tramite la rottura dei legami beta-glicosidico. Questo enzima provoca la colorazione delle cellule che lo esprimono quando esse si trovano in un terreno contenente X-Gal (X-galattosio) che idrolizzato genera un prodotto di colore blu. La luciferasi è un enzima che catalizza l'ossidazione della luciferina una reazione che, in presenza di un eccesso di ATP, ossigeno e ioni magnesio, perde energia.
ssono essere osservati. Gli elettroni sono particelle subatomiche con carica negativa che orbitano attorno al nucleo di un atomo. La loro presenza può essere rilevata grazie alla loro interazione con la luce. Quando un elettrone viene eccitato, cioè quando assorbe energia, può passare a un livello energetico superiore. Successivamente, l'elettrone rilascia questa energia in forma di radiazione luminosa quando torna al suo stato energetico originale. Questa radiazione luminosa può essere osservata e misurata utilizzando strumenti appositi come spettrofotometri o fotocamere. In questo modo, gli elettroni possono essere studiati e le loro proprietà possono essere analizzate.