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SETTORE BANCARIO:
1° direttiva emanata a livello comunitario nel 1977 e recepita in Italia nel 1985.
Questa direttiva contiene tre principi:
1. Il primo principio fa riferimento alla definizione di ente creditizio, visto come un
ente che raccoglie risparmio tra il pubblico e eroga il credito. Quindi tutti gli enti
creditizi devono svolgere congiuntamente le due funzioni. In Italia questa
definizione non porta niente di nuovo perché in Italia l’ente creditizio è l’ente
che raccoglie risparmio dal pubblico e eroga servizio. In altri paesi comunitari
invece questa definizione ha comportato una capacità di adeguamento (ad
esempio in Germania l’ente creditizio poteva o raccogliere risparmio dal
pubblico, o erogare credito). Il leasing prima era considerato un ente creditizio
negli altri paesi, in Italia invece no come tuttora.
2. Il secondo principio riguarda la libertà di stabilimento: vuol dire che le banche
dei paesi appartenenti all’UE avevano la possibilità di esercitare l’attività anche
in paesi diversi da quello dell’ordinamento nazionale (la banca italiana poteva
andare ad insediarsi in qualsiasi parte del territorio comunitario, inoltre poteva
prestare in questo territorio comunitario i servizi i quali era abilitata a fare.
3. Il terzo principio riguarda appunto la liberà di prestazione di servizi: una volta
esercitata l’attività anche in paesi diversi da quello dell’ordinamento nazionale,
poteva prestare i servizi che era abilitata a svolgere.
Cosa succede? L’Italia non era abituata ad attività cross-border. Era infatti un paese il
cui ordinamento era molto chiuso e quindi ha dovuto adattarsi, ecco perché il
recepimento della normativa si è avuto quasi 10 anni più tardi. L’Italia ha dovuto
rivalutare ed adattare la normativa a quelli che erano i parametri europei quindi ha
dovuto definire dei piani con i quali si consentiva alle banche di esercitare la
prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento. A questo punto quale era il
cambiamento? Far lavorare le banche dove vogliono però solo se la loro attività
risponde a requisiti oggettivi (dovevano avere requisiti minimi, per esempio il
coefficiente di solvibilità. Nel rispetto di questo coefficiente le banche potevano
insediarsi dove volevano e svolgere le attività che erano in grado di offrire (questi
requisiti oggettivi erano di tipo patrimoniale, economico o finanziario). Qual è quindi la
nuova condizione? Prima di questa direttiva la possibilità per le banche di offrire i
propri prodotti e servizi era legata alla richiesta di un’autorizzazione alla BI: cioè tutte
le volte che le banche volevano aprire u nuovo sportello, volevano esercitare l’attività
in un luogo diverso, dovevano chiedere l’autorizzazione alla BI. Quest’ultima come
concedeva l’autorizzazione? Sulla base di un criterio definito “esigenze economiche di
mercato”. Se le esigenze economiche di mercato in quel momento giustificavano
l’apertura dello sportello, la BI acconsentiva; viceversa la BI non autorizzava. Emerge
quindi una forte discrezionalità dell’autorità di vigilanza (BI).
2° direttiva Banche, emanata nel 1989 a livello comunitario e recepita in Italia nel
1992. I principi che troviamo in questa direttiva (e che poi ritroveremo nel TUB) sono:
1. Definizione di ente creditizio che riprende la definizione della prima direttiva
2. Il secondo principio è il principio di armonizzazione minima delle discipline
comunitarie. Vuol dire andare ad armonizzare le discipline dei paesi comunitari.
Quindi si trattava di andare a creare uno zoccolo duro, un insieme di normative
che dovevano essere recepite in ciascun paese. Poi ciascun paese poteva
adottare ulteriori regole restrittive, ma tutti i paesi comunitari dovevano
rispettare queste normative armonizzate (normative che dovevano essere
rigidamente armonizzate: condizioni di accesso e esercizio attività bancarie;
conti annuali delle banche; disciplina dei fondi propri; vigilanza consolidata sui
gruppi; disciplina grandi fidi)
3. Il terzo principio è il lungo riconoscimento: le banche operanti nei diversi paesi
comunitari potevano svolgere nel paese comunitario l’attività del paese di
origine, riconosciuta pienamente negli altri paesi
4. Il quarto principio è l’home country control (oggi non esiste più). Ciascun paese
poteva operare nei paesi comunitari secondo la disciplina del paese d’origine,
però il controllo sull’attività doveva avvenire da parte del paese di origine
(quelle attività che la banca svolgeva nel suo paese, ma che nel paese
ospitante non erano considerate).Quindi la disciplina che le banche seguivano
nell’affermazione del principio di riconoscimento era quella del paese di origine.
Il paese d’origine doveva effettuare i controlli su quelle attività per la parte non
armonizzata, perché per la parte armonizzata il controllo è uguale in tutti i
paesi. Nella parte non armonizzata invece il controllo doveva avvenire da parte
del paese di origine. Il controllo che tipicamente l’Italia faceva all’estero
riguardava la liquidità. Da quando la sovranità monetaria è passata dalle
autorità nazionali alle unità sovranazionali, non serve più il controllo da parte
del paese d’origine, quindi non ha più senso il principio dell’home country
control perché il controllo della liquidità passa ad un ente superiore (BCE)
A questo punto nonostante il sistema fosse normato, la crisi finanziaria del 2007 pone
in evidenza le debolezze delle normative comunitarie; la debolezza del coordinamento
degli obiettivi di vigilanza comunitaria. Questo avviene perché la normativa
comunitaria dell’intermediazione finanziaria in generale lascia spazi di discrezionalità
alle autorità nazionali nella definizione degli strumenti attuativi della normativa stessa.
Questa discrezionalità ha fatto sì che la crisi si propagasse. Per far fronte a questa crisi
vengono presi dei provvedimenti. Viene costituito un comitato (su decisione dell’UE)
con l’obiettivo di rafforzare la regolamentazione del sistema finanziario. Il comitato
analizza le normative in atto e redige un rapporto finale da cui emerge che a livello di
normativa primaria, questa era assolutamente armonizzata, mentre la normativa
secondaria risultava non essere armonizzata, disomogenea, tra i singoli paesi membri.
Emerge l’ottica micro-prudenziale nell’adozione di strumenti attuativi da parte
dell’autorità di vigilanza nazionale: ogni paese adotta uno strumento diverse. Succede
quindi che se una banca vuole lavorare cross-border, si ritrova un inasprimento dei
costi amministrativi perché essendo la disciplina diversa, gli strumenti diversi nei
diversi paese, la burocrazia aumenta. Altro aspetto che emerse da questo rapporto fu
la difficoltà di coordinamento tra le direttive, soprattutto in tema di risoluzione delle
crisi finanziarie, bancarie, cioè gli strumenti di risoluzione della crisi sono diversi nei
diversi paesi. Cosa fa allora il comitato? Definì una serie di regole prudenziali volte a
migliorare il coordinamento e la cooperazione tra le autorità di vigilanza europee e
nazionali. Viene redatto un corpo di regole armonizzate chiamato “single rulebook”
che in Italia recepiamo nel 2016. Qual è la differenza tra queste regole armonizzate
redatte dal comitato e quelle elaborate precedentemente? Che queste regole non
devono essere recepite, ma sono direttamente applicate e quindi viene meno la
discrezionalità sull’utilizzo degli strumenti. Nasce così il sistema europeo di vigilanza
sul sistema finanziario (SEVIF).
Tutto ciò rappresenta una prima fase perché poi vedremo che nel 2010 avverrà
un’ulteriore crisi e un’ulteriore necessità di rafforzare il sistema europeo di vigilanza
del sistema finanziario.
SEVIF:
Sistema costituito su più livelli e comprende autorità di vigilanza macro-prudenziali e
micro-prudenziali. Dalla slide è possibile vedere tre livelli di decentramento: il primo
livello prevede una vigilanza macro-prudenziale; il secondo e il terzo livello prevedono
invece una vigilanza micro-prudenziale.
VIGILANZA MACRO-PRUDENZIALE:
La vigilanza macro-prudenziale viene definita dalla ESRB (European systemic risk
board). Il Board è un comitato privo di personalità giuridica che definisce gli
orientamenti di vigilanza macro-prudenziale che poi vengono recepiti dalla normativa
dell’autorità del secondo livello, sempre autorità di vigilanza europee.
La finalità del Board è quella di andare a salvaguardare la stabilità finanziaria
esercitando in tal modo una vigilanza macro-prudenziale sul sistema europeo.
Le sue caratteristiche sono che è un organismo privo di personalità giuridica,
quindi non emana provvedimenti normativi ma si pone come organismo
consulenziale che definisce gli orientamenti di vigilanza macro-prudenziale,
tant’è che se andiamo a vedere, questo comitato opera sotto le leggi della BCE.
Composizione: si compone del consiglio europeo generale della BCE che è un
organo decisionale della BCE che però ha solo una funzione consultiva; questo
consiglio generale della BCE si compone delle 28 banche centrali nazionali
appartenenti al sistema europeo delle banche centrali. Quindi il consiglio
generale è formato dai governatori delle banche centrali nazionali dei paesi che
costituiscono l’UE. Al consiglio generale si affiancano i presidenti dell’EBA, EIOPA
e ESMA. Chi sono l’EBE, l’EIOPA e l’ESMA? Sono le autority europee; le autorità
di vigilanza europee che esercitano sul sistema finanziario ina vigilanza micro-
prudenziale. In particolare l’EBA è l’autorità di vigilanza che vigila sul sistema
bancario, l’EIOPA è l’autorità di vigilanza che vigila sul sistema assicurativo e
l’ESMA è l’autorità di vigilanza che vigila il mercato mobiliare. Si mantiene
quindi ancora la ripartizione settoriale dell’attività finanziaria.
Al Board partecipa anche la commissione europea che è un organismo politico
europeo che viene scelto all’interno della commissione europea.
Abbiamo quindi detto che lo scopo del Board è quella di salvaguardare la stabilità
dell’intero sistema finanziario e come? Mediante il continuo scambio di informazioni
dalle autorità di primo e secondo livello relativamente al controllo dei rischi sistemici.
VIGILANZA MICRO-PRUDENZIALE:
Al secondo livello abbiamo le autorità europee che esercitano