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L’impianto di Bresso scarica le acque trattate nel fiume Seveso, un corpo idrico che presenta già condizioni di
vulnerabilità e inquinamento diffuso. Il contributo degli impianti di depurazione al carico complessivo del
bacino deve quindi essere attentamente monitorato e gestito per evitare il superamento della capacità
assimilativa del sistema fluviale.
Un problema ulteriore riguarda i periodi di forti precipitazioni, durante i quali il sistema fognario unitario può
risultare sovraccarico. In questi casi, si attivano i cosiddetti sfioratori di piena, che scaricano direttamente nel
fiume parte dei reflui non trattati, generando un impatto ambientale acuto e improvviso. Sebbene tali eventi
siano previsti dalla normativa e contemplati nella progettazione del sistema, essi rappresentano una delle
principali fonti di inquinamento episodico e sono oggetto di crescente attenzione da parte delle autorità
ambientali.
Nel contesto italiano, gli impianti di depurazione sono distribuiti in maniera disomogenea sul territorio, con una
copertura elevata nelle regioni settentrionali e carenze significative in alcune aree del Sud e delle isole. Questo
squilibrio si riflette anche nella qualità dei corpi idrici recettori, che in molte aree non raggiungono lo “stato
buono” previsto dalla Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE). La carenza o l’inefficienza degli impianti è
una delle principali cause delle infrazioni europee a carico dell’Italia in materia di trattamento delle acque reflue
urbane.
A livello gestionale, si sta affermando sempre più la centralizzazione degli impianti di depurazione, in modo
da concentrare le risorse, migliorare l’efficienza operativa e facilitare il controllo dei processi. Tuttavia, questa
tendenza comporta anche criticità, come la necessità di potenziare la rete fognaria per convogliare i reflui verso i
grandi impianti e il rischio di perdita di resilienza in caso di malfunzionamenti o emergenze. La gestione
integrata del servizio idrico richiede quindi un attento bilanciamento tra dimensionamento, efficienza, impatto
ambientale e sostenibilità economica.
In conclusione, gli impianti di depurazione rappresentano un’infrastruttura essenziale per la tutela dell’ambiente
e della salute pubblica. La loro progettazione, gestione e integrazione nel territorio devono rispondere a criteri di
efficienza tecnica, sostenibilità ecologica e conformità normativa. Il riuso dell’acqua depurata, la valorizzazione
energetica dei fanghi e la riduzione degli impatti sugli ecosistemi acquatici costituiscono le principali sfide e
opportunità per il futuro del settore.
Le fasi iniziali del trattamento: disoliatura, desabbiatura e sedimentazione primaria
Negli impianti di depurazione come quello di Bresso, le prime fasi del trattamento delle acque reflue
comprendono una serie di pretrattamenti volti alla rimozione delle componenti solide grossolane, sabbia, oli e
grassi. Le vasche di disoliatura vengono alimentate in parallelo e funzionano grazie all’insufflazione di bolle
d’aria che favoriscono la separazione dei grassi per galleggiamento. Si formano così schiume che vengono
asportate meccanicamente dalla superficie mediante un carroponte che si muove avanti e indietro. Questo
sistema consente di rimuovere in maniera efficace sia gli oli che i grassi.
Parallelamente, si attua il processo di desabbiatura, il cui scopo è la separazione della sabbia tramite
precipitazione. In alcuni impianti, soprattutto dove lo spazio è limitato, si ricorre a sabbiatori circolari, che
vengono agitati per favorire la sedimentazione per effetto della forza centrifuga. La sabbia raccolta sul fondo
viene successivamente smaltita. Nell’impianto di Bresso, ad esempio, essa viene inviata a cementifici dove
viene lavata e reimpiegata come materiale da costruzione.
Una volta rimosse queste componenti (grigliato, sabbie, oli e grassi), l'acqua reflua passa alla fase di
sedimentazione primaria. Questa fase può avvenire in vasche a pianta rettangolare o circolare, ma nei grandi
impianti urbani è più comune che i sedimentatori primari siano rettangolari, mentre quelli secondari tendano a
essere circolari. Le vasche di sedimentazione primaria hanno il compito di trattenere i solidi sedimentabili in
sospensione nel liquido per un tempo variabile tra 30 minuti e tre ore. Il tempo di ritenzione dipende dalla
portata idraulica in ingresso, che a sua volta può variare sensibilmente in funzione delle precipitazioni.
Durante gli eventi di pioggia, infatti, le reti fognarie, essendo per lo più miste, convogliano una maggiore
quantità d’acqua verso l’impianto. Gli impianti sono dimensionati per tenere conto anche di queste condizioni,
garantendo comunque un tempo minimo di permanenza di 30 minuti nei sedimentatori primari. Quando la
portata supera la soglia di progetto, parte dell’acqua può essere scaricata tramite appositi sfioratori, posizionati a
monte o a valle della sedimentazione primaria. In ogni caso, il sistema è pensato per mantenere una capacità di
trattamento adeguata anche in condizioni di maltempo.
Per garantire questa funzionalità, i sedimentatori vengono progettati sulla base della portata massima accettabile
durante gli eventi di pioggia, e si impone una velocità di sedimentazione compresa tra 1 e 2 metri cubi per metro
quadrato all’ora. In alcuni casi, si adottano soluzioni integrative come le vasche volano o le vasche di prima
pioggia. Le prime servono ad accumulare temporaneamente l’eccesso di portata durante eventi meteorici intensi,
mentre le seconde raccolgono le prime acque dilavanti particolarmente inquinate e le rilasciano successivamente
in modo graduale.
Un altro accorgimento impiantistico, soprattutto in contesti urbani ad alta densità abitativa, riguarda la copertura
dei sedimentatori primari, non tanto per evitare l’apporto diretto della pioggia – che risulta trascurabile rispetto
ai volumi provenienti dalla rete fognaria – quanto piuttosto per limitare le emissioni odorose.
Struttura e funzionamento dei sedimentatori
Dal punto di vista strutturale, i sedimentatori primari presentano solitamente un fondo a tronco di cono che
facilita la raccolta dei fanghi sedimentati verso il centro della vasca. L’acqua viene immessa dal basso e sfiora
verso l’alto all’interno di canaline laterali da cui viene convogliata all’uscita. Sul fondo agisce un raschiatore
rotante che spinge i fanghi verso un pozzetto centrale, da cui vengono successivamente aspirati e inviati alla
linea fanghi.
Nel caso dei sedimentatori circolari, la funzione di raccolta dei fanghi è analoga, anche se la geometria del
sistema varia. Anche in questi casi sono presenti elementi meccanici – come i bracci rotanti – che aiutano a
convogliare il materiale sedimentato verso il centro.
Il trattamento biologico e la sedimentazione secondaria
Successivamente alla sedimentazione primaria, l’acqua prosegue verso le vasche biologiche, dove avviene il
trattamento secondario. In questa fase, il refluo viene trattato mediante processi biologici che impiegano
microrganismi capaci di degradare la sostanza organica disciolta. Le vasche biologiche sono generalmente
rettangolari e ricevono aria insufflata per favorire lo sviluppo della biomassa attiva. Questo processo prende il
nome di trattamento a fanghi attivi, largamente diffuso negli impianti urbani grazie alla sua efficacia e
adattabilità.
Esistono anche altri sistemi meno diffusi, nei quali la biomassa non si trova in sospensione ma aderisce a
superfici di supporto. Questi sistemi, detti “a biomassa adesa”, vengono utilizzati soprattutto in impianti di
dimensioni ridotte o in contesti specifici.
A valle del trattamento biologico si collocano i sedimentatori secondari, il cui compito è separare il fango
secondario – cioè quello prodotto dalla crescita dei microrganismi durante il trattamento – dall’acqua depurata.
Questi sedimentatori sono spesso circolari e funzionano secondo lo stesso principio dei primari, con l'acqua che
sfiora in uscita e i fanghi che sedimentano e vengono raschiati e raccolti sul fondo. Parte del fango secondario
viene ricircolato nelle vasche biologiche per mantenere costante la popolazione microbica, mentre l’eccesso
viene inviato alla linea fanghi per ulteriori trattamenti.
Trattamenti avanzati e casi particolari
In alcuni impianti, sono presenti anche trattamenti terziari, finalizzati a migliorare ulteriormente la qualità
dell’effluente. Questi possono comprendere sistemi di sedimentazione avanzata, come quelli con lamelle
inclinate che aumentano la superficie utile alla separazione dei solidi. In questi dispositivi, l’acqua viene
suddivisa in numerose piccole vasche contenenti lamelle che favoriscono la deposizione del materiale sospeso.
Tra i trattamenti finali più sofisticati figura anche l’ozonizzazione, un processo chimico-ossidativo in cui
l’ozono viene prodotto in loco mediante appositi generatori e introdotto in reattori chiusi. L’ozono è un forte
ossidante e viene impiegato per rimuovere microinquinanti, odori e patogeni residui. Tuttavia, a causa dei costi
elevati e della complessità gestionale, tale trattamento non è sempre presente, ma viene riservato a contesti
specifici con elevate esigenze qualitative.
Il processo di depurazione prosegue, dopo la sedimentazione primaria, con il trattamento
biologico vero e proprio, che costituisce il cuore del trattamento secondario. Questo
avviene in apposite vasche, generalmente rettangolari, all'interno delle quali viene
insufflata aria, la cui quantità e distribuzione variano in funzione delle condizioni
operative e del processo specifico adottato. In queste vasche si sviluppano i cosiddetti
fanghi attivi, cioè biomassa costituita prevalentemente da batteri e altri microrganismi
in sospensione, responsabili della degradazione della sostanza organica presente
nell'acqua.
L’efficienza del processo biologico dipende strettamente da fattori quali la temperatura,
la concentrazione di ossigeno disciolto, il carico organico e il tempo di ritenzione. Le
condizioni aerobiche, mantenute mediante l’insufflazione di aria, favoriscono i processi di
ossidazione biologica delle sostanze organiche biodegradabili, trasformandole
principalmente in anidride carbonica, acqua e nuova biomassa.
Una volta completata la fase di trattamento biologico, l’effluente passa ai
sedimentatori secondari. Queste vasche, di solito a pianta circolare, hanno la funzione
di separare il fango biologico dalla parte liquida. Il principio di funzionamento è analogo a
quello della sedimentazione primaria: l’acqua, in ingresso dal basso, viene raccolta in
superficie attraverso canaline di sfioro, mentre il fango sedimentato si accumula sul
fondo e viene spinto verso un pozzetto centrale mediante appositi raschiatori rotanti. Il
fango