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Determinazione della massa cellulare di una coltura microbica

In molti studi, è più conveniente stimare la massa delle cellule di una coltura piuttosto che il loro numero. Per avere una stima quantitativa della massa cellulare di una coltura, si può procedere determinando il peso secco (biomassa) e il peso umido.

Per determinare quantitativamente il peso secco, bisogna procedere centrifugando la coltura ed eliminare il surnatante. Poi si disidrata la massa cellulare ottenuta dalla centrifugazione. La disidratazione si esegue ponendo la massa cellulare in una stufa a 100-105°C per una notte. Dopo aver fatto questi passaggi, si pesa la massa cellulare. Questo metodo, però, considera sia le cellule vitali che quelle morte.

Il peso può essere conosciuto utilizzando le bilance per umidità che determinano il peso della massa cellulare e misurano la quantità di acqua eliminata (peso umido).

Per determinare la massa cellulare di una coltura microbica si può ricorrere...

La torbidità è una misurazione della coltura stessa. Una sospensione cellulare appare torbida perché le cellule in essa contenute assorbono la luce e quanto maggiore è la concentrazione di cellule presenti tanto maggiore sarà la luce assorbita e quindi la torbidità. Dato che le dimensioni dei microrganismi è nell'ambito dei micrometri, prevale il fenomeno dell'assorbimento. Una tecnica che sfrutta l'assorbimento dei raggi luminosi per determinare il livello di torbidità di un liquido prende il nome di turbidimetria. L'intensità luminosa di un raggio che attraversa un fluido torbido (senza deviare dalla sua direzione) subisce un progressivo indebolimento, che può essere espresso mediante una funzione esponenziale:

-adI=I *100

dove "I" è l'intensità luminosa uscente dal fluido, "I" è l'intensità luminosa entrante nel fluido, "d" è

La distanza percorsa dal raggio luminoso è "a" ed è il coefficiente di assorbimento. Con la turbidimetria viene misurata, quindi, la luce assorbita dal campione (assorbanza; in passato definita densità ottica) e questo valore viene convertito nella concentrazione della sostanza presente nel campione. L'assorbanza può essere misurata utilizzando uno spettrofotometro. Si possono utilizzare anche degli strumenti chiamati turbidimetri, che misurano la turbidanza (una grandezza analoga all'assorbanza, quindi misurabile come il log (I/I0)) che dipende anch'essa, come l'assorbanza, dalla concentrazione dell'anila (cellule microbiche in questo caso). Anche in questo caso non possiamo distinguere cellule vive da cellule morte, quindi viene eseguita una conta totale. Una volta ottenuto il valore dell'assorbanza, da questo si può ricavare la concentrazione di cellule presenti nel campione tramite la Legge di Lambert Beer: A =

ε x l x C

Dove ε = coefficiente di assorbimento molare (dipende dalla lunghezza d'onda che in questo caso è di 600 nm, dal solvente, e dalla specie chimica che dà l'assorbimento); ha unità di misura di 1/(M cm), dove M=molare

l = cammino ottico, cioè lo spessore della che contiene il campione che dà assorbimento; ha unità di misura di 1 cm

C = concentrazione delle cellule, in questo caso, presenti nel campione; ha unità di misura di 1 M (molare= mol/L)

DELLA COMPONENTIQUANTIFICAZIONE CELLULARI

In alcuni casi, la determinazione dello sviluppo cellulare può essere correlata all'incremento di componenti cellulari. Occorre, tuttavia, ricordare che alcuni componenti non risultano specifici per le sole cellule (ad esempio azoto totale, proteine, fosforo ecc.), mentre altri lo sono (ad esempio DNA, RNA, ATP, NAD ecc.). Se si vuole determinare, ad esempio, la quantità di proteine sintetizzate dalle

Per determinare la quantità di proteine presenti nelle cellule, è necessario effettuare un lavaggio della massa cellulare per rimuovere tutte le proteine presenti nell'ambiente extracellulare. Successivamente, si utilizza il metodo di Kjeldhal per determinare la quantità di azoto totale, che verrà poi convertita in grammi di proteine.

Per eseguire questo metodo, si procede prima alla precipitazione delle proteine utilizzando acido tricloroacetico o un altro precipitante delle proteine, al fine di rimuovere l'azoto non proteico presente nel campione. Il precipitato viene poi lavato e su di esso si determina l'azoto totale.

Il precipitato viene quindi miscelato con acido solforico (H2SO4) all'interno di un pallone a collo lungo, che serve a controllare gli schizzi dovuti all'ebollizione tumultuosa dell'acido solforico. La miscela ottenuta viene poi riscaldata a 400°C in una fase chiamata digestione. Durante questa fase, tutto l'azoto proteico (NH3) presente nel campione viene trasformato.

) in solfato di ammonio ((NH4)2SO4) (più specificamente, si dice che l'azoto proteico viene mineralizzato). A questo punto si lascia raffreddare il pallone e si passa alla seconda fase, chiamata distillazione. Durante questa fase viene neutralizzato l'acido solforico in eccesso con una soluzione concentrata di idrossido di sodio (NaOH). Successivamente si aggiunge un eccesso di idrossido di sodio (o detto anche soda) per trasformare gli ioni ammonio (NH4) in ammoniaca (NH3):

A questo punto, il pallone contenente il campione viene collegato all'apparecchiatura di Kjeldahl.

L'apparecchiatura per il metodo di Kjeldahl prevede una caldaia in cui l'acqua viene riscaldata e portata all'ebollizione. Il vapore prodotto, andando a gorgogliare nella soluzione iniziale, la riscalderà e trascinerà con sé i componenti più volatili della miscela, in questo caso proprio l'ammoniaca. Acqua e ammoniaca nello stato di vapore passano

attraverso un tubo dove verranno poi ricondensate (tramite un refrigerante) e fatte gocciolare in una beuta che contiene una soluzione di acido solforico con concentrazione nota (si può dire anche a titolo noto). Ha inizio così l'ultima fase del metodo che prende il nome di retrotitolazione. Prima di descrivere, però, la retrotitolazione bisogna dire in cosa consiste la tecnica di titolazione. La titolazione è una tecnica utilizzata per determinare la concentrazione incognita di una base (o di un acido) facendola reagire con una soluzione (acida se la soluzione precedente è basica e viceversa) a titolo noto. La soluzione da titolare (cioè quella della quale si vuole conoscere la concentrazione) ha un volume noto ma concentrazione incognita; la soluzione titolante ha, invece, concentrazione nota. Alla soluzione da titolare, e che è inserita in una beuta, vengono aggiunte due o tre gocce di un indicatore. Quindi, la soluzione a titolo noto.

viene aggiunta goccia dopo goccia alla soluzione da titolare. Non appena il colore dell'indicatore cambia bisogna interrompere l'aggiunta della soluzione a titolo noto. Bisogna stare attenti al viraggio dell'indicatore: potrebbe succedere che la soluzione cambia colore ma non in modo permanente. Non è questo il momento in cui bisogna interrompere l'aggiunta della soluzione titolante. La sua aggiunta verrà interrotta solo quando il cambiamento di colore sarà permanente. Dato che la soluzione titolante era contenuta in un cilindro graduato, si può sapere il volume della soluzione titolante utilizzato nella titolazione.

Quindi, a questo punto si conosce il volume e la concentrazione della soluzione titolante e il volume della soluzione da titolare. Di conseguenza, si potrà ottenere anche la concentrazione della soluzione a titolo ignoto. Ad esempio, immaginiamo di voler titolare 15 ml di una soluzione di acido cloridrico (quindi soluzione acida).

Questa è la soluzione da titolare. Si inserisce questo volume di acido cloridrico in una beuta insieme a due o tre gocce di un indicatore acido-base (ad esempio, fenolftaleina, che è incolore in ambiente acido). In una buretta, cioè un cilindro graduato dotato di un rubinetto a una estremità, si aggiunge una soluzione (basica in questo caso) di cui si conosce la concentrazione; questa è la soluzione titolante. Supponiamo che la soluzione basica sia idrossido di sodio e abbia una concentrazione di 0,1 M. Quindi, si procede facendo defluire goccia dopo goccia l'idrossido di sodio nell'acido cloridrico. Nella beuta, in cui si incontreranno acido cloridrico e idrossido di sodio, avviene la seguente reazione: NaOH + HCl → NaCl + H2O. La reazione è bilanciata. Si interrompe l'aggiunta della base quando la soluzione nella beuta assume un tenue colore rosa, perché in questo istante tutto l'acido è stato neutralizzato e ilPh è passato da acido a leggermente basico. Grazie al fatto che laburetta è graduata si può capire il volume di soluzione titolante aggiunto alla beuta. Ad esempio, sono stati aggiunto 18 ml di NaOH alla beuta. Conoscendo così il volume ma anche la concentrazione di NaOH e sapendo che: Molarità= numero di moli/ volume della soluzione (mol/L), ottengo: numero di moli= Molarità*volume della soluzione= 0,1 mol/L *0,018 L= 0,0018 mol di NaOH Consultando la stechiometria della reazione sopra riportata si può dire che: numero di moli di NaOH= numero di moli di HCl e quindi: Molarità di HCl= 0,0018 mol/15 ml= 0,12 mol/L= 0,12 M Quindi, ora, si può spiegare in cosa consiste la retrotitolazione. Come già accennato, la soluzione da titolare, che nel metodo di Kjendahl è composta da acqua e ammoniaca, viene versata all'interno di una beuta contenente un preciso volume di soluzione titolante, che in questo caso è.

L'acido solforico (H2SO4). Il volume della soluzione titolante deve essere ben oltre il volume della soluzione da titolare e deve essere noto.

Dal punto di vista chimico, l'ammoniaca (base debole) consumerà parte dell'acido solforico (acido molto forte). Quindi, per conoscere la concentrazione di ammoniaca bisognerà determinare innanzitutto la concentrazione di soluzione titolante che non ha reagito con l'ammoniaca utilizzando una seconda soluzione titolante, di cui si conosce la concentrazione ma non il volume. In questo secondo caso si procede come una normale titolazione. Quindi si verrà a conoscenza del volume della seconda soluzione titolante e si potrà pertanto risalire alla concentrazione di ammoniaca. Per capire come, bisogna fare un esempio pratico. Un campione di carbonato di sodio (Na2CO3), ad esempio, viene sciolto in 50 ml di una soluzione 0,1280 M di HCl (soluzione titolante). Per sapere quanto HCl non ha reagito con il car

Dettagli
A.A. 2019-2020
21 pagine
SSD Scienze biologiche BIO/19 Microbiologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher nazario.angeloro di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Biotecnologie dei microrganismi e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Politecnica delle Marche - Ancona o del prof Ciani Maurizio.