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Pertanto, è fondamentale effettuare una manutenzione giornaliera: mantenere un adeguato livello di

acqua distillata, lavare i vassoi e le superfici interne della camera con acqua ed un detergente non

aggressivo e pulire i tappi, i divisori o i filtri che possono essere rimossi.

In più, si effettua anche una convalida periodica, in quanto dopo un periodo di utilizzo(in media una volta

all’anno) oppure dopo un certo numero di cicli, è necessario verificare le prestazioni dell’apparecchio in

modo da assicurarsi che il livello di sicurezza iniziale non sia ridotto a causa dell’uso quotidiano o di altri

fattori.

Esistono quattro fattori fondamentali per ottenere un processo di sterilizzazione sicuro:

• Efficace contatto tra vapore e carico, eliminando l’aria dalla sterilizzatrice.

• Stabilità dei parametri termodinamici, ossia temperatura e pressione.

• Durata del tempo di esposizione lungo a sufficienza per assicurare l’efficacia della sterilizzazione.

• Garantire la qualità dell’asciugatura. Il carico, soprattutto se poroso o imbustato, a fine ciclo deve

essere completamente asciutto.

Quando troviamo nel carico sacche d’aria significa che i parametri prefissati non si sono raggiunti(121°-

134°) e, quindi, non è garantito il risultato sicuro ed uniforme.

Inoltre, è importante maneggiare adeguatamente il materiale sterilizzato e proteggerlo in modo da

mantenere la sterilità fino al momento dell’utilizzo, per cui occorre:

• Porre i vassoi su un ripiano asciutto, adeguatamente pulito e disinfettato.

• Separare il materiale sterile della zona dove sosta il materiale contaminato.

• Toccare il materiale o gli strumenti il meno possibile, prestando molta attenzione a non lacerare o

danneggiare gli involucri.

• Lasciare raffreddare gli strumenti prima di toccarli, usare i contenitori asciutti, puliti e disinfettati.

Procedure per lo stoccaggio—> Il materiale sterile deve essere identificato con la data di sterilizzazione,

riportata su etichette o sulla parte esterna della busta fuori dalla saldatura, per evitare contaminazioni.

Deve essere utilizzato prima il materiale conservato da più tempo in modo da evitare lunghi periodi di

immagazzinamento con i relativi rischi.

L’immagazzinamento deve avvenire in un ambiente idoneo, con temperatura e umidità controllate, e per il

tempo stabilito dal tipo di contenitore o confezionamento. Infine, le cassette vanno distribuite nelle sale

operatorie in modo ordinato e sicuro.

Evoluzione della malattia parodontale

A determinare il successo dell’igienista dentale non è soltanto la sua prestazione e la sua esecuzione della

detartrasi, ma ci sono una serie di competenze sia relazionali sia tecniche e per poter mettere in pratica

bisogna conoscerle e comprendere la dimensione non solo patologica, ma anche quella bio-psico-sociale

del paziente, in quanto bisogna prendere in cura la persona assistita in maniera totale(conoscere tutti i

fattori che ruotano intorno al paziente).

Generalmente si parla di malattia parodontale, ma non è solo questo perché ci sono anche altri aspetti che

bisogna valutare, grazie all’esistenza di indici di diverso tipo, ossia gli indici di salute gengivale e

parodontale, le alterazioni dei tessuti dentali(come white-spot e carie) e l’OAT(indice di Valutazione delle

Mucose Orali).

Nel corso del tempo c’è stata una evoluzione della classificazione della malattia parodontale in base alle

nuove scoperte e ricerche, in quanto non era più possibile identificarla come una patologia legata

esclusivamente alla presenza di placca batterica, ma ci sono tantissime altre cause.

Pertanto, anche le sonde hanno subito un’evoluzione: la prima sonda è stata quella del Michigan, la quale

rilevava 8 mm proprio perché si credeva che oltre gli 8 mm il dente era da estrarre, cioè non si pensava ad

una eventuale terapia parodontale. Attualmente, la sonda che viene utilizzata è quella del North Carolina,

che arriva fino a 15 mm.

Nel 1977 veniva riconosciuta solo la parodontite giovanile e quella marginale cronica, nel 1986 veniva

identificata la parodontite prepuberale(classificata in localizzata e generalizzata), la parodontite

giovanile(classificata in localizzata e generalizzata), la parodontite dell’adulto, la parodontite ulcero-

necrotica e la parodontite refrattaria.

Nel 1989 venne fatta un’ulteriore classificazione: parodontite a rapida progressione, in cui rientrano la

parodontite prepuberale(localizzata e generalizzata), la parodontite giovanile(localizzata e generalizzata) e

la parodontite rapidamente progressiva. Poi c’erano la parodontite dell’adulto, la parodontite ulcero-

necrotica, la parodontite refrattaria e la parodontite associata a malattie sistemiche.

Nel 1999 ci fu un’ulteriore classificazione, in cui c’erano la malattia gengivale(indotta da placca o non

indotta da placca), la parodontite cronica(localizzata o generalizzata), la parodontite aggressiva(localizzata

o generalizzata), la parodontite associata a manifestazioni di malattie sistemiche(es. disordini ematici..), la

malattia parodontale necrotizzante(che si distingueva in gengivite ulcero-necrotica e parodontite ulcero-

necrotica), gli ascessi del parodonto(che si distinguevano in gengivali, parodontali e peri-coronali), la

parodontite associata a lesioni endodontiche, la progressione di queste malattie associate ad altre

condizioni…

Ciò che differenza la vecchia classificazione e la nuova è il fatto che in passato si distingueva tra parodontite

cronica e parodontite aggressiva. Tuttavia, quando si presentava un paziente anziano che non aveva delle

radiografie eseguite precedentemente che potevano documentare quando era iniziata la malattia

parodontale, diventava piuttosto complicato definire quanto era aggressiva e quando si era cronicizzata.

Per questo motivo, nella nuova classificazione ci si basa su una serie di diversi parametri.

Inoltre, non erano descritte le perimplantiti, perché solo verso la fine del novecento hanno iniziato ad

avere successo anche gli impianti.

Nel 2017 è stato introdotto un nuovo sistema di classificazione, che poi è stato pubblicato nel 2018, in cui la

novità sta nel fatto che la diagnosi di malattia parodontale viene eseguita seguendo lo stadio(estensione,

gravità e complessità) e il grado(velocità con cui progredisce la malattia parodontale e anche i fattori di

rischio, come fumo e diabete non controllato).

Stadio 1–> La perdita di attacco è solo di pochi millimetri(circa 1-2 mm)(per cui quando si effettua il

sondaggio avremo un valore massimo di 4 mm), dal punto di vista radiografico abbiamo un riassorbimento

molto limitato che interessa solo la parte coronale(massimo entro il 15% dell’osso), non ci sono denti

persi(dentatura integra, a meno che il paziente non abbia tolto denti per motivi diversi e non per problemi

di natura parodontale), la profondità di sondaggio è al massimo di 4 mm(un valore che indica una

condizione fisio-patologica, cioè non è grave, ma non è neanche normale).

Stadio 2–> Non ci sono denti persi per motivi parodontali, abbiamo una perdita di attacco leggermente

superiore(circa 3-4 mm), la perdita di osso dal punto di vista percentuale nella visione radiografica è

superiore al 15% e arriva fino al 33%(interessa il terzo coronale), la profondità di sondaggio arriva ad un

massimo di 5 mm, il riassorbimento osseo è principalmente di tipo orizzontale.

Questi due stadi hanno una prognosi buona(tasche circoscritte).

Stadio 3–> Ha una perdita di attacco uguale o superiore ai 5 mm, il riassorbimento osseo inizia ad

interessare il terzo medio(la parte centrale della radice) o oltre ed é di tipo verticale(maggiore o uguale a 3

mm), perdita di denti per motivi parodontali(massimo 4 denti persi), la profondità di sondaggio è di oltre 6

mm(tasche profonde), iniziano a comparire danni nelle focazioni delle radici.

Stadio 4–> Perdita di attacco uguale o superiore ai 5 mm, il riassorbimento osseo dal punto di vista

radiografico interessa il terzo medio o oltre, il numero dei denti persi è maggiore rispetto allo stadio 3,

ovvero 5 o più denti persi per problemi parodontali, problemi a livello masticatorio e linguistico a causa

della mobilità che determina un trauma occlusale—> Si verifica il “collasso del morso”, cioè se prima il

paziente chiudeva in prima classe ora si riduce lo spazio tra gli incisivi superiori e quelli inferiori. Si ha anche

il cosiddetto sventagliamento, ossia lo spostamento in avanti degli incisivi superiori dovuto ad una perdita

di tessuto parodontale.

I gradi, invece, sono:

• Grado A(lenta progressione): nessuna perdita ossea/attacco significativa rispetto all’età, assenza di

fattori di rischio importanti.

• Grado B(progressione moderata): perdita ossea/attacco coerente con l’età, progressione “attesa”,

fattori di rischio moderati (es. fumo <10 sigarette/die).

• Grado C(rapida progressione): perdita ossea/attacco sproporzionata rispetto all’età,

peggioramento rapido, fattori di rischio marcati (es. fumo >10 sigarette/die, diabete non

controllato).

Una cosa importante della nuova classificazione è che viene descritta per la prima volta la salute come

parametro fondamentale al quale riferirsi per distinguere la salute dalla malattia. Invece, con le vecchie

classificazioni il paziente malato veniva considerato tale per sempre, senza possibilità di guarire.

Per poter identificare la presenza di uno stato di salute oppure di uno stato patologico, è necessario

utilizzare gli indici e uno degli indici più importanti che ci consente di capire se c’è salute o meno è proprio

l’indice di sanguinamento, perché se per esempio c’è un sanguinamento inferiore al 10% in un parodonto

intatto dove non c’è perdita di attacco si parla di salute.

Dunque, la salute è il primo parametro che viene rilevato; in seguito, ci sono la gengivite, la parodontite e i

suoi diversi stadi e tutte quelle condizioni che esprimono una correlazione tra le malattie sistemiche e le

patologie dentali. Infine, c’è una parte dedicata alle perimplantiti e mucositi.

Mentre la gengivite non è detto che progredisca in parodontite(condizione reversibile), nel caso della

mucosite c’è una maggiore probabilità che possa progredire in perimplantite. Questo perché il dente

naturale presenta il parodonto costituito da gengiva, cemento radicolare, osso alveolare e legamento

parodontale e si parla di parodontite quando tutte queste strutture sono coinvolte nel processo patologico.

Invece, negli impianti abbiamo solo osso, impianto e sigillo mucoso, per cui quando la mucosite inizia non

c’è tutta la struttura d

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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Stefanialoconte di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Tecniche di semeiotica e monitoraggio del cavo orale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bari o del prof Antonucci Antonella.
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