Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
VEICOLI
Si intende la base formulativa in cui è presente il principio attivo
Saccarosio Sciroppo (sciroppo semplice)
Lo sciroppo è un sistema utilizzato per solubilizzare principi attivi, ma non è un vero e proprio
solvente, è infatti una soluzione già di per sé avendo al suo interno molecole disciolte, e viene
pertanto definito un veicolo.
E’ costituito da 665 g di saccarosio e 335 g di acqua depurata, ed eventualmente dei conservanti
disciolti nell’acqua depurata.
Preparazione: storicamente esistono tre metodiche, ma l’unica ancora ad oggi utilizzata è la
procedura a caldo.
Viene portata ad ebollizione per 20 minuti una quantità di acqua depurata sufficiente, e poi,
mantenendo la temperatura ad 80-85°C, si scioglie il saccarosio agitando, preferibilmente a
bagnomaria. Si mescola per omogeneizzare e si filtra immediatamente a caldo su di una garza.
L’aspetto dello sciroppo deve essere limpido e non più intensamente colorato, poiché il colore giallo
indica che lo zucchero si è denaturato.
Il saccarosio in uno sciroppo ha la caratteristica di addensante.
E’ importante utilizzare le concentrazioni di saccarosio prescritte dalla farmacopea per due motivi:
utilizzando concentrazioni superiori si arriverebbe facilmente alla saturazione, e pertanto si
avrebbero grosse difficoltà nella solubilizzazione di altre sostanza. Invece utilizzare una minor
quantità di saccarosio determinerebbe una densità e pressione minore, e non sarebbe più
autoconservante, addirittura sarebbe un ottimo terreno di coltura per microrganismi.
In alternativa esiste la preparazione a freddo, la cui unica differenza è che la fase di mescolamento
avviene a temperatura ambiente: sebbene abbia il vantaggio di avere un rischio molto più basso di
caramellizzazione, la preparazione richiede molto tempo e non è sempre conveniente. La terza è la
percolazione.
La farmacopea prescrive che gli sciroppi vadano conservati in recipiente ben chiusi, ma non in
frigorifero, in quanto essendo la solubilità del saccarosio influenzata dalla temperatura, a basse
temperature si potrebbero formare fenomeni di ricristallizzazione.
Sciroppi
Lo sciroppo di saccarosio potrebbe essere controindicata per alcune fasce di popolazione, quali
diabetici o persone con diete che richiedono restrizione calorica, quindi si usano gli sciroppi speciali,
preparazioni contenenti particolari eccipienti in grado di sostituire il saccarosio.
Tra questi, sono molto usati i polialcoli (glicerina. sorbitolo etc) e dolcificanti artificiali (aspartame)
che ne migliorano le caratteristiche organolettiche e non essendo dolcificanti nutritivi, hanno un
potere calorico basso o quasi nullo.
Ad ogni modo, col solo utilizzo di polialcoli e dolcificanti, non è possibile raggiungere le
caratteristiche chimico-fisiche date dall’uso di saccarosio, in particolare per quanto riguarda la
viscosità, quindi è necessario aggiungere dei agenti viscosizzanti, e i più utilizzati sono derivati
sintetici della cellulosa, ad esempio la metilcellulosa.
Basi per preparazioni liquidi per uso orale
La farmacopea definisce due ‘basi’, ovvero due veicoli per preparazioni liquide ad uso orale, che
sono presentate come alternative ad acqua, sciroppo semplice e sciroppi speciali.
I costituenti delle due formulazioni, in diverso rapporto, sono sorbitolo, glicerolo 85%, saccarosio e
acqua depurata.
DISPERSIONI
I sistemi dispersi sono sistemi bifasici nei quali una fase, definita fase dispersa, è distribuita sotto
forma di particelle o goccioline in una seconda fase definita fase disperdente.
I sistemi dispersi sono quindi sistemi costituiti da due elementi tra loro dissimili, e una caratteristica
peculiare è la presenza di una regione di confine tra le due fasi, detta interfaccia.
Classificazione: una modalità molto utilizzata fa riferimento allo stato fisico del sistema disperso e
degli elementi che lo costituiscono. Possono esistere in tre stati della materia.
La terza e ultima classificazione è termodinamica, che divide i sistemi dispersi in
termodinamicamente stabili (liofili) e instabili (liofobi).
Dispersioni colloidali
Si ottengono quando le particelle disperse nel mezzo liquido sono macromolecole o aggregati di
molecole con dimensioni comprese tra 1 nm e 1 μm, e rappresentano un termine intermedio tra le
soluzioni e le sospensioni vere e proprie.
Le troviamo nei prodotti caseari, come yogurt burro e panna, o nell’elettronica, poiché costituiscono i
display ed i cristalli liquidi.
Gli elementi della fase dispersa delle dispersioni colloidali possono avere diversa natura, e,
sebbene si tenda in genere ad assimilare la forma d'una sfera, vi sono casi in cui si formano i rod,
ovvero bastoncini, a disco, random coil, tipica delle macromolecole dei polimeri, che significa
letteralmente gomitolo casuale.
Un parametro fondamentale da cui dipende in larga misura la stabilità di un sistema disperso. è
l’area superficiale, rappresentata dalla superficie di contatto tra elementi discreti e fase disperdente.
Prendendo due becker contenenti uno acqua e uno olio, e versandoli in un terzo becker si
otterrebbe un sistema costituito da due fasi, delle quali quella inferiore sarà l’acqua e quella
superiore olio. Questo accade perché sono fortemente poco miscibili, ed inoltre hanno diversa
densità, determinando così la stratificazione di quello più denso nella parte inferiore del becker, ed
avendo così la minore superficie di contatto tra i due liquidi. Questo è un sistema disperso.
Agitando la miscela, ovvero apportando energia meccanica, si ottiene un emulsione dove la fase
olio si disperde nella fase acqua, trovandosi sotto forma di microdroplets, goccioline, e avendo
quindi un’area di contatto molto maggiore rispetto alla situazione di partenza.
In un sistema di questo tipo, in tempi molto rapidi, le goccioline d’olio tendono a coalescere, ovvero
a fondersi tra di loro, determinando così il ristabilirsi della situazione di partenza in tempi più o meno
rapidi.
Quindi è necessario fornire energia per emulsionare dei liquidi immiscibili e sono dei sistemi instabili
che tendono a tornare alla situazione della massima stabilità, ovvero quella in cui vi è la minima
area superficiale.
La chimica dei colloidi ha quindi il duplice scopo di mix the unmixable e di keep it mixed, quindi
bisogna comprendere cosa influenza la stabilità dei colloidi per mantenere il sistema nella
condizione desiderata.
E’ questa quindi una delle principali differenza tra sistemi dispersi e soluzioni, nelle quali il mixing è
spontaneo, molecole e ioni si solubilizzano spontaneamente e le soluzioni risultanti sono
termodinamicamente stabili, non avendo mai separazioni di fase spontanea. Al contrario, nelle
dispersioni in cui vi è elevata instabilità, e nelle quali è necessario agire mediante eccipienti chiamati
stabilizzanti per mantenere il sistema stabile.
Altra importante differenza dal punto di vista tecnologico. Le proprietà di una soluzione sono
indipendenti dalla metodica utilizzata per la loro preparazione, mentre nella preparazione di un
emulsione il risultato sarà diverso a seconda della forza applicata, del tempo, della strumentazione.
Per ciò è molto importante considerare tutti questi parametri.
Definizione di stabilità in sistemi dispersi
Quando si parla di stabilità in questo ambito non ci si riferisce ad una stabilità di tipo chimico, ovvero
legato alla degradazione o modificazione di molecole presenti in un sistema disperso. Inoltre, la
stabilità dei sistemi dispersi non può essere definita in un senso assoluto, perché diversi sistemi
dispersi possono trovarsi a livelli differenti di stabilità.
Il livello di massima stabilità è quello in cui si ha la minima superficie di contatto tra due fasi che
costituiscono un sistema disperso, ovvero la situazione di separazione di fase, tutti gli altri stati
vengono definiti metastabili.
Un sistema disperso metastabile tende sempre ad evolvere verso il sistema stabile, ed è
un'evoluzione spontanea e termodinamicamente favorita.
Per evitare una rapida evoluzione del sistema verso la situazione di stabilità maggiore è necessario
avere barriere di attivazione in modo da stabilizzare cinematicamente il sistema, rallentando così il
processo di spontanea regressione allo stato stabile: infatti un’emulsione o una sospensione ad uso
farmaceutico deve rimanere in stato di metastabilità per un tempo utile all’uso (3-4 anni ad
esempio).
Nelle dispersioni colloidali le particelle vengono spesso in contatto tra loro a causa dei moti
browniani, e dalle forze di interazione che si originano tra le particelle dipenderà se queste collisioni
daranno luogo ad un contatto permanente (coagulazione), che porterà alla rottura del sistema
colloidale perché le particelle più grandi tenderanno a sedimentare, o se le interazione saranno
temporanee (flocculazione), o se le particelle si respingeranno e resteranno disperse (sistema
colloidale stabile).
Il termine ‘aggregazione’ indica, in maniera generica, la formazione di gruppi di particelle. La
coagulazione indica la formazione di aggregati stabili di particelle che hanno difficoltà a essere
nuovamente disperse (minimo primario). Nella flocculazione gli aggregati presentano una struttura
non compatta, all’interno della quale le particelle restano distanziate le une dalle altre. (minimo
secondario).
L’esame della curva relativa alla variazione
dell’energia potenziale totale di interazione V in
funzione della distanza tra le particelle, H, mostra
che le forze attrattive sono predominanti a bassi
valori della distanza e quindi il minimo primario è
molto profondo.
L’attrazione per valori maggiori di H, che dà
origine al minimo secondario, deriva dal fatto che
la diminuzione delle forze repulsive che si
osserva all’aumentare della distanza è più rapida
di quella delle forze attrattive.
A distanze intermedie la repulsione del doppio
strato può essere predominante, dando origine a
un massimo primario della curva.
Se il valore di questo massimo è elevato rispetto all’energia termica kT delle particelle, il sistema
colloidale dovrebbe essere stabile, cioè le particelle dovrebbero rimanere disperse. Altrimenti, le
particelle interagendo tra loro raggiungono il valore energetico del minimo primario e si osserva
l’aggregazione irreversibile, cioè la coagulazione.
Se il valore del minimo secondario è inferiore a kT le particelle non si aggregano ma si
respingono tra loro, ma, se il minimo è significativamente più grandi di kT,