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Estratto del documento

L’INDUSTRIA PESANTE

Era un po’ il pallino dei governi comunisti. L’industria pesata presenta, con il ne ultimo della produzione

(anche di strumenti di difesa), per l’ideologia comunista, il principale strumento per la creazione della

potenza dello stato, e questo anche perché crea una classe operaia specializzata. Stalin fu colui che, pagando

un peso del sangue enorme, fece fare all’URSS il salto da stato prettamente agricolo a stato fortemente

industrializzato. Tutti i paesi dell’europa orientale, non avevano (salvo la parte Cechia della Cecoslovacchia)

avuto negli anni precedenti uno sviluppo industriale, ovvero infrastrutture, paragonabili alla gemerai nazista,

francia, gran bretagna. Le nazioni erano prettamente legate all’agricoltura.

Fu un presidente USA a dire che l’in uenza dell’apparato industriale sul senato degli USA era tale da

poterne condizionare le scelte dei governi USA. E l’acciaio aiuta quindi a creare potenza. Ma l’acciaio non si

mangia. E infatti le rivolte succedono perché manca ciò che l’agricoltura può dare: uno stato potentissimo è

in grado di fare la guerra, ma la guerra o la vinci subito, o la devi sostenere con le risorse.

Quindi, gli investimenti destinati al settore industriale e all’industria pesante tolsero risorse alla fase di

produzione di beni e servizi per la popolazione. Nella destinazione degli investimenti annui, il settore

industriale era il prediletto. E a ciò si aggiunge anche l’esistenza dei tentativi di realizzare le grandi opere, che

servivano come propaganda, ma che avrebbero dovuto risolvere problemi di antica memoria (dighe, ponti,

aeroporti). In alcuni casi queste opere ebbero un’opportunità, in altri furono solo occasioni di sperpero, e

quindi di fondi perduti che furono tolti al settore dei servizi. E’ questa una costante della storia dell’Europa

orientale. 123

fl fi

Gli effetti della destalinizzazione

La morte di Stalin e il culto della personalità

La morte di stalin — anni 50 — (segretario generale del partito comunista dell’Unione sovietica — PCUS)

rappresentò per l’Europa orientale comunista, e per l’URSS principalmente, una sorta di trauma collettivo.

Stalin morì, e con lui morì, a seconda dei punti di vista, un tiranno sanguinario, un crudele uomo politico, il

salvatore della patria sovietica, il vincitore dei nazisti nonché liberatore dell’intera europa orientale. Stalin

rappresentò per molti il tiranno che spostava le nazionalità, a seconda dei progetti che aveva in testa, verso

zone impervie dell’asia o siberane; è stato colui che organizzò e volle l’eliminazione dei kulaki. Questi sono

riferimenti che sono stati vissuti in maniera differente all’interno die vari stati dell’europa centro-orientale e

balcanica.

Comunque, la storia dell’unione sovietica e dell’europa orientale successivamente, la si considera

periodicizzata come prima e dopo stalin, perché quello che fece caratterizzò il divenire di questi paesi. Nel

periodo in cui era vivo, il culto della personalità verso di lui era fortissimo (statue, nomi di città con suo

nome, fotogra e nelle scuole e asili… era il migliore amico dei medici, dei bambini, degli scrittori).

Con Stalin moriva un tiranno, ma moriva anche la concezione che verso di lui avevano generazioni che

crebbero nel culto della personalità di Stalin. Questo culto della personalità fu poi replicato all’interno dei

paesi dell’Europa orientale da ognuno dei segretari generali del partito. Quali sono gli elementi del culto della

il culto della personalità è

Gli elementi sono tanti, ma quello che ci interessa è questo:

personalità?

funzionale in quanto deresponsabilizza il leader. Il leader comunque fa bene, e se qualcosa è

fatta male è perché non l’ha voluto lui, ma perché l’hanno indotto in errore o gli hanno dato le informazioni

sbagliate. Il culto della personalità crea quindi un personaggio che è totalmente distaccato dalla realtà, pur

essendo in uente in maniera decisiva nella realtà che lo circonda (anche l’attuale presidente della

federazione russa è oggetto del culto della personalità, sicuramente però non al livello della società

staliniana). La deresponsabilizzazione del leader fa del leader una gura unica all’interno di uno stato, e ai

vari leader dell’europa centro orientale furono date le attenzioni necessarie alla costruzione di un mito,

quella gura del leader deresponsabilizzato, che aveva comunque davanti gli obbiettivi di grandezza che

avrebbe cercato di realizzare, e qualora non ce l’avesse fatta non sarebbe stata colpa sua.

Il culto prevede un’operazione continua da parte civica, civile, del leader stesso. Quindi, la presenza continua

del leader alle manifestazioni e l’osanna nei suoi confronti, i tributi alla sua benevolenza e alla sua capacità di

interpretare i bisogni: il leader che è in grado di fare tutto e di fare comunque bene. E’ questo il culto della

personalità.

Morto il leader di riferimento, potrebbe il culto della personalità stabilirsi sul successore, ma non sempre è

così. Di solito il culto della personalità è strettamente legato a chi è stato oggetto di questo culto, che è in

grado di interpretare il ruolo di leader che si è dato e che gli è stato dato (ad esempio: in ex Jugoslavia, nel

periodo di Tito, questi fu oggetto del culto della personalità. Nella gura del maresciallo Tito si

concretizzavano le speranze e le memorie di chi gli tributava il proprio affetto e rispetto, ma anche la

propria paura. Il leader, comunque osannato, abbina il proprio essere al di sopra quasi delle necessità, pur

interpretandole, un’estrema durezza nel mantenere quel distacco, soprattutto nel mantenere l’obbligo

all’obbedienza da parte del popolo con cui ha rapporto. Tito interpretava benissimo la memoria partigiana

della resistenza, il mito, basato però su fondamenti consolidati anche, della liberazione della Jugosloavia in

maniera autonoma da parte degli occupanti nazifascisti — questo comunque era quasi vero —. Tito era la

gura che aveva unito, incarnato l’unità, e aveva fatto della Iugoslavia una potenza come paese fondatore del

gruppo dei non allineati. Quando Tito muore, non s trova il successore di una tale pesante eredità). Non

sempre quindi si riesce a trovare un successore.

Stalin non designò un successore, e questo era forse un limite dei paesi a democrazia popolare: non c’era

mai un successore designato. Di solito i cambiamenti al vertice di solito avvenivano in maniera repentina,

124

fi fi fl fi fi fi

dove qualcuno moriva (Bierut in polonia), oppure avvenivano dietro congiure, o con delle votazioni dei

comitati centrali, dove si votava (Krushof sarà eletto dopo la Troika e la questione della successione).

Muore stalin, e ci furono dei funerali con milioni di persone a piangere stalin in URSS: era la ne di un padre,

del migliore degli amici, e tutte le decine di attribuzioni di stalin. Però fu anche la ne di un capo molto duro,

e con la morte di stalin vengono fuori tanti problemi che erano stati sopiti dall’essere lui una gura tanto

forte. (pag. 306 libro 2)

destalinizzazione

La che è trattata come un processo rapidissimo, uguale dappertutto, non fu proprio

così, perché ognuno dei paesi dell’europa centro-orientale e balcanica aveva delle storie differenti dagli altri,

e quindi ognuno dei singoli paesi reagì in maniera quasi originali alla ne di stalin. La messa in discussione

dello stalinismo, come forma di potere avviene quasi subito, non bisogna aspettare Krushov. Di fatto, avrebbe

rimesso in discussione il sistema di potere che nelle singole repubbliche popolari era stato creato dopo la

ne della seconda guerra mondiale: la destalinizzazione avrà delle conseguenze differenti in ogni paesi, ma si

possono trovarne alcune che furono uguali per tutti, almeno in partenza.

la ne di stalin, in ognuna delle repubbliche popolari

Si può generalizzare, dicendo, che

• dell’europa centro-orientale, pose in problema della continuazione del governo di

stampo staliniano all’interno dei rispettivi paesi. Dovunque, la morte del tiranno ebbe delle

conseguenze interne perché si rimetteva in discussione un sistema: si riteneva che morendo stalin ci

sarebbe stata una maggiore, libertà all’interno delle singole repubbliche popolari. E questo è applicabile a

tutti i paesi dell’europa orientale. Inoltre, l’irrigidimento che c’era stato dal 45 in poi del controllo nei

confronti della società avrebbe dovuto diminuire.

Le elite al potere in ungheria, polonia, cecoslovacchia e tutti gli stati dell’europa centro orientale che non

avevano litigato con Krushov, si erano formate sia come rapporto con il potere che come riferimento

culturale, sico di esercizio del potere, con la gura di stalin. Applicarono, ognuno con risultati differenti

nei singoli stati, i principi che erano del potere staliniano. La destalinizzazione ebbe come caratteristica

comune la possibilità sentita da parte della popolazione che si allentasse il peso dello stato e dello stesso

partito nel controllo verso la società civile. D’altro canto, c’era la reazione delle elites al potere, che

formatisi così, non erano interessati a destalinizzare, perché la destalinizzazione a seconda dei paesi

avrebbe comportato comunque un mettere in discussione il loro stesso potere, e loro non volevano né

abbandonare il potere né come lo gestivano, in quanto lo ritenevano giusto, corretto, funzionale all’idea

che stavano portando avanti. Tutti i vari segretari dei partiti comunisti nei vari stati ressero quindi

all’ondata di destalinizzazione che arrivava dalla stessa URSS e resistettero, rimasero fermi sulle proprie

posizioni e prerogative.

Proprio a mosca avviene l’inizio della cosiddetta destalinizzazione, che si presente quindi come un fenomeno

complesso, con caratteristiche peculiari a seconda degli stati in cui esso avvenne. Era comunque il cremlino

che diceva di iniziare a fare cose diverse:

• un allentamento del controllo sulla società, quindi un minimo di liberalizzazione, di possibilità di discutere,

parlare, criticare, optare per strade differenti. Ma le elites al potere non volevano che ciò accadesse.

All’interno degli stessi partiti dei vari uf ci politici, c’erano le frange, i raggruppamenti, non staliniani, che

vedevano in Krushov la possibilità di trovare una via che fosse anche nazionale alla creazione del

socialismo. Non c’è però un desiderio di multipartitismo o di creazione di un regime parlamentare, e non

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Dettagli
A.A. 2022-2023
184 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/03 Storia dell'europa orientale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lastudentessainsessione di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'europa orientale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trieste o del prof La Mantia Cesare.