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ATENE
Il primo museo archeologico nazionale greco sorto a Egina nel 1829,
successivamente all’affrancamento dei greci dalla dominazione ottomana venne
spostato nel 1830 ad Atene. Il primo museo fu ospitato nel vecchio tempio di Efesto
che dominava l’agorà di Atene e che subì nel corso tempo diverse modifiche,
passando da tempio greco a chiesa ortodossa e successivamente nuovamente in
tempio greco, modifiche che ne assicurarono comunque una buona conservazione.
Il tempio di Efesto presenta una crepidine di tre gradini ed è un tempio periptero con
colonne doriche e un fregio con metope lisce. La costruzione ebbe inizio intorno al
460 a.C. per terminare definitivamente intorno al 420 a.C. con la produzione delle
statue crisoelefantine, ossia in oro ed avorio, di Atena ed Efesto.
A partire dal 1889 il museo venne spostato in un nuovo edificio di costruzione
neoclassica, e si poneva il deliberato obiettivo di ricostruire cronologicamente
l’evoluzione dell’arte greca. L’ordine cronologico che permette di analizzare i
cambiamenti nell’arte greca trova il suo inizio con l’esposizione dell’Anfora del
Dipylon, dalle dimensioni monumentali (circa due metri) e databile intorno alla metà
dell’ottavo secolo a.C. Le figure fortemente geometrizzate rappresentano la morte di
una defunta collocata appunto su un letto funebre e accompagnata da alcune figure
che si uniscono al rito. L’anfora prende il nome dalla porta che conduceva alla
necropoli, appunto il Dipylon. Altra statua proveniente dalla necropoli è il Kuros del
Dipylon databile intorno al 600 a.C, anche questa scultura dalle dimensioni
monumentali ma della quale si conservano solo una mano e la testa. In quest’opera
è possibile riscontrare i tratti caratteristici dell’inizio dell’arte di stampo arcaico, come
per esempio gli occhi a mandorla e sporgenti in modo innaturale, la bocca chiusa e
una pettinatura a trecce che cadono lungo la nuca. Una benda legata sulla parte
posteriore della testa ci lasciano presupporre che la figura rappresentata fosse un
vincitore di qualche gara atletica. Le vene in tensione riscontrabili sulla mano
indicano verosimilmente la presenza di uno oggetto tenuto in mano. Dettagli
analoghi sono riscontrabili nel Kuros del tempio di Poseidone di Capo Suino,
proveniente da un tempio nella regione dell’Attica. La statua è caratterizzata da una
forte frontalità, raffigurata con le braccia lungo i fianchi ed i piedi uniti per una
questione di statica. I dettagli anatomici sono solamente abbozzati, elemento che ci
fa comprendere che non era ancora stata acquisita la capacità di rappresentare le
forme anatomiche con una resa realistica. L’esposizione all’interno del museo
permette un rapido confronto tra i due Kuros appena analizzati, una scelta però che
non tiene conto del contesto di provenienza delle due statue e quindi delle diverse
funzionalità che entrambe svolgevano in origine: la prima, infatti proviene da una
necropoli, la seconda da uno spazio sacro.
L’esposizione continua con il kuros di Tenea e il kuros ionico di Melos, entrambi
databili al 550 a.C. nei quali è possibile riscontrare un progressivo miglioramento
nella resa anatomica, anche se la bocca continua ad essere chiusa (sorriso arcaico).
Il Kroisos da Anavyssos in Attica è una scultura databile intorno al 530-20 a.C. un
periodo che si avvicina alla fine dello stile arcaico e l’inizio di quello severo:
l’iscrizione alla base dell’opera ci potrebbe far pensare che il soggetto rappresentato
fosse un eroe caduto in battaglia.
La statua funebre di Aristodikos da Mesogea in Attica è databile intorno al 500 a.C.
(molto vicino ai frontoni di Egina), infatti la capigliatura diventa più corta e le gambe e
le braccia non sono più attaccate al corpo ma collegato ad esso con dei puntelli per
evitarne la rottura.
La Nike attribuita ad Archermos di Chio da Delo può essere datata al 550 a.C. e
rappresenta una figura femminile colta nell’attimo del volo. L’incapacità di rendere il
movimento viene risolto con la cosiddetta corsa in ginocchio unitamente al mantello
che copre una gamba lasciando scoperta l’altra e mascherando dunque questa
soluzione anatomicamente impossibile.
La Kore Phrasikleia da Myrrihinous in Attica rappresenta la statua di una defunta ed
è databile intorno al 540 a.C. È caratterizzata da una forte policromia della veste,
quest’ultima simbolo della qualità delle fanciulle raffigurate. Un’iscrizione sotto la
statua allude alla leggenda che essa fosse morta vergine prima del matrimonio. Il
problema della staticità viene risolto grazie alla mano destra che stringe la veste e
quella sinistra dove tiene un tributo. L’applicazione di accessori quali per esempio
gioielli e diademi servivano a rendere l’idea della ricchezza della fanciulla.
LEZIONE 3
Come già accennato in precedenza il passaggio dalla fase arcaica a quella dello stile
severo può essere collocato tra il 480 e il 450 a.C. immediatamente postumo alle
guerre persiane. Con il progressivo avvicinamento allo stile severo si comincia ad
assistere ad una maggiore consapevolezza nell’utilizzo del bronzo attraverso la
tecnica della fusione a cera persa, la quale permette di sperimentare posizioni più
ardite e a dare quindi una maggiore idea di movimento alle sculture. Altresì viene a
ridursi la forte frontalità delle opere a favore di una visione più organica, viene
dunque migliorata la resa anatomica, le acconciature diventano prevalentemente
con capelli più corti. Non bisogna comunque tralasciare il fatto che molte delle statue
bronzee originali di cui abbiamo notizie grazie alle diverse fonti letterarie non si sono
conservate nel tempo, spesso sono state ri-fuse e reimpiegate; spesso quindi le
opere che oggi abbiamo la possibilità di ammirare sono delle copie marmoree
romane.
Uno degli originali che è possibile ammirare oggi al museo archeologico nazionale
greco è il Poseidone di Capo Artemisio, proveniente da un naufragio nel mar Egeo.
Verosimilmente si tratta di Poseidone (al massimo Zeus) colto nell’atto di scagliare
un tridente. Dato l’uso della tecnica della fusione a cera persa per la realizzazione
dell’opera, viene resa perfettamente l’idea del movimento, la resa anatomica si va
perfezionando, si perde la frontalità dell’opera in favore di una visione più ampia ed
organica che permette infatti di incrociare lo sguardo del dio se osservata
lateralmente.
Una delle sculture che invece non si è conservata ma la conosciamo solamente
attraverso una copia romana è quella di Apollo dell’omphalos, proveniente dal teatro
di Dionisio ed esposta oggi al museo archeologico nazionale di Atene. L’originale
doveva essere in bronzo e scolpita verosimilmente a partire dal 480 a.C. ed era
attribuibile a Calamide. Nonostante sia una statua stante, il leggero movimento in
avanti di una delle gambe e il bilanciamento dei glutei alludono al movimento del
soggetto rappresentato. Una mostra sulla copistica organizzata circa tre anni fa dalla
fondazione Prada ha permesso di mettere a confronto tre copie della stessa
scultura: nel passaggio dall’uso del bronzo alle copie marmoree inevitabilmente
alcuni dettagli vanno persi, inoltre l’utilizzo del marmo aumenta il peso della scultura
ed impone quindi l’inserimento di un sostengo in questo caso il tronco sul quale
viene poggiata la faretra con le frecce.
Ci si avvicina alla fine dello stile Severo con il Doriforo di Policleto databile al 450
a.C. L’opera originale è andata perduta, quindi il museo di Atene la ricostruisce a
partire dalle informazioni offerte da una stele proveniente da Argo (città natale di
Doriforo) la quale rappresenta un giovane con una lancia che cammina: si utilizzerà
il termine Doriforo per far riferimento a statue che riproducono questo tipo di
soggetto. Con il Doriforo, l’artista Policleto detta i canoni della scultura spiegandone
tecniche, dimensioni e proporzioni; aumenta la resa anatomica e soprattutto anche
la resa del movimento, definito a chiasmo in questo caso. Una delle migliori copie
che si è conservata proviene da Pompei assimilabile verosimilmente ad Achille o
Teseo.
Un’altra scultura che si colloca nel periodo di transizione tra lo stile severo e l’età
classica è il Discobolo di Mirone, pervenuto fino ai giorni nostri solo attraverso una
copia romana in marmo di Lancellotti e conservata al Palazzo Massimo di Roma.
Avendo perso il contesto di riferimento non abbiamo la possibilità di identificare con
precisione il soggetto rappresentato, banalmente potrebbe essere un vincitore del
pentathlon. Nonostante vi sia una grande resa anatomica, che riesce a rendere
perfettamente lo sforzo fisico che si sta compiendo, la scultura si caratterizza per
l’assenza di pathos, infatti il volto sembra inespressivo senza nessun effetto di sforzo
atletico.
Sempre dello stesso periodo di transizione sono i Bronzi di Riace, databili al 460
a.C. Le informazioni sulla provenienza delle statue sono molto scarse,
verosimilmente facevano parte di un gruppo di statue ed erano inserite su delle basi
che però sono andate perse molto probabilmente quando vennero depredate per
essere spedite come bottino. Caratterizzati, almeno in origine, da una forte
policromia si presuppone che vi fossero anche alcuni elementi non in bronzo, che ne
determinerebbero quindi anche la sua caratteristica polimaterica, come per esempio
armi e scudi. Data l’impostazione della bocca semi-aperta, come se stesse parlando
al resto del gruppo scultoreo, si pensa che possano essere assimilati agli eroi “sette
contro Tebe”.
Sempre di età classica è il Diadumeno di Policleto databile al 430 a.C., seconda
opera più conosciuta di questo artista. Quella esposta al museo di Atene è una copia
del II sec a.C. proveniente da Delo. Il termine diadumeno significa colui che si sta
allacciando una benda, probabilmente grazie alla vittoria di qualche competizione
sportiva. Una delle fonti che riprende lo stesso soggetto è data da una stele
funeraria con il soprannome di Diadumeno e che riproduce lo stesso schema
figurativo dell’originale. Le proporzioni rimangono quelle tipiche delle sculture di
Policleto, ma si evince una maggiore raffinatezza nella rappresentazione del volto.
Sono inoltre state trovate delle tracce d’oro verosimilmente utili a riprodurre con
maggiore accuratezza l’originale opera bronzea.
Un’altra importante opera che si colloca in età classica è la copia di Atena Parthenos
di Fidia, databile al 438 a.C. Si presenta come una statua crisoelefantina di circa
dieci metri collocata nel tempio del Partenone nell’Acropoli. Rappre