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MEDEA
Le tragedie di Ennio, Accio e Lucano, andate perdute, avevano come argomento la figura di Medea e
l’infanticidio. Dai pochissimi frammenti rimasti, peraltro di difficile ricostruzione, si ricava che fossero
dipendenti dal modello euripideo.
In questi casi si parla di tragedie romane, ma in realtà non si sa bene quale tipo di teatro ci fosse all’epoca,
tanto che tuttora si discute se fossero opere destinate alla lettura pubblica o alla rappresentazione
pubblica (recitatio); la cosa indubbia è che, sia se lette sia se rappresentate, dovevano avvenire in qualche
teatro di corte ristretto e con un pubblico altrettanto ridotto; di sicuro al tempo non esistevano teatri al
pari di quello di Dioniso e in essi la parola era tutto ed era proprio quella che faceva lo spettacolo.
OVIDIO (I sec. d.C.)
MEDEA
La Medea di Ovidio è una tragedia perduta risalente alla giovinezza del poeta che, secondo fonti antiche,
Seneca riprese molto e che fu assai apprezzata anche da Quintiliano e da Tacito per la sua fattura retorica
e stilistica.
A differenza di Euripide, qui l’infanticidio avviene sulla scena (come poi sarà anche in Seneca, tant’è che
in un suo passo dell’Ars poetica Orazio lo accusa di aver violato la regola del decorum artistico mettendo
in scena l’omicidio). HEROIDES
(fotocopia 5)
Ovidio si è occupato della figura di Medea anche in un’altra sua opera più matura, intitolata Heroides,
ossia una collezione di 12 epistole d’amore immaginarie, scritte da eroine della mitologia antica ai propri
consorti, mariti o innamorati.
In particolare, nella XII lettera Medea scrive a matrimonio già concluso a Giasone mentre è in esilio e in
povertà. Nelle sue parole non si respira un’aria di vendetta ma di malinconia, disperazione e supplica;
Medea, infatti:
non è vendicativa ma fragile, triste e completamente innamorata del marito, come in Apollonio
§ Rodio;
ricorda a Giasone (“Mi ricordo”) quanto accaduto in passato attraverso una serie di domande
§ incalzanti (“Perché…?”);
gli rimembra le tre prove a cui è stato sottoposto dal re Eeta per conquistare il vello d’oro (aggiogo
§ dei tori, semina di semi destinati a generare popoli e addormentamento degli occhi del drago custode
del manto);
spera che la reminiscenza delle imprese passate possa ridare fuoco alla fiamma amorosa e spingere
§ Giasone a tornare sui suoi passi.
Questo tipo di Medea non si cancellerà mai nella tradizione successiva, sebbene non sia prevalente.
SENECA (I sec. d.C.)
MEDEA
(fotocopia 6)
Prologo: monologo di Medea, che appare come un personaggio demoniaco che invoca gli dèi del
matrimonio in modo del tutto sconvolto per fare in modo di avere la sua vendetta.
Il coro festeggia e si prepara per le nozze di Giasone e Creusa, elogiando le qualità di entrambi gli sposi.
I episodio: dialogo tra Medea e la nutrice: Medea incolpa il tiranno Creonte per tutte le sue sofferenze e
giura vendetta verso di lui, mentre la nutrice cerca di far rinsavire la sua padrona. Successivo dialogo tra
Medea e Creonte: Medea chiede che Giasone l’accompagni in esilio dal momento che sono sue le colpe, che i
loro figli restino al sicuro e di avere il tempo di salutarli, mentre Creonte le concede un giorno in più prima
di esiliarla.
Il coro ricorda le imprese degli Argonauti, indicandoli come colpevoli delle sventure di Giasone, visto che
hanno sfidato il dio del mare Nettuno.
II episodio: colloquio con la nutrice, in cui ci sono i dubbi di Medea sulla precisa vendetta da realizzare.
Successivo dialogo con Giasone, che spiega i motivi politici e affettivi (l’amor paterno) che lo hanno spinto a
venir meno alla fedeltà verso Medea; ella dà la colpa a Giasone per tutti i misfatti che ha commesso per amor
suo e decide di vendicarsi sul suo punto debole: i figli.
Il coro espone l’antefatto della tragedia: racconta le punizioni che vennero inflitte agli Argonauti e infine
chiede con un’invocazione a Nettuno di risparmiare Giasone.
III episodio: attraverso le parole della nutrice e della stessa Medea si entra in una dimensione magica e
sinistra. Medea prepara i veleni con cui ricoprire i finti doni per Creusa e manda i suoi figli a portarglieli.
Il coro proclama che sarà un giorno funesto, descrivendo l’ira di Medea e identificando le passioni che la
agitano, come l’amore per i suoi figli e l’ira verso Giasone.
Esodo: sono presenti i sopravvissuti alla tragedia e avviene il rovesciamento del finale euripideo. La nutrice
torna con i bambini, il messaggero narra la tragedia che ha ucciso Creonte e Creusa e che sta distruggendo
il palazzo, Medea uccide i suoi figli e getta i cadaveri ai piedi del padre.
La tragedia di Seneca è arrivata a noi per intero e riprende con variatio quella di Euripide:
• è più breve;
• quando inizia la Medea di Seneca, il nuovo matrimonio di Giasone non è ancora compiuto,
diversamente che in Euripide;
• il prologo è recitato non dalla nutrice, come in Euripide, ma da Medea stessa, che rivolge una
preghiera a diverse divinità, prima tradizionali (Lucina, Minerva, Sole e Nettuno) e poi delle tenebre
(Ecate protettrice della magia, Caos, Plutone e Proserpina), affinché la assistano nella sua vendetta
che si estenderà su tutta Corinto (non solo su Giasone, Creusa e Creonte) e che quindi avrà
dimensioni ancora più catastrofiche che in Euripide;
• il coro non è composto dalle donne di Corinto ma da uomini legati a Giasone e non è in sintonia con
Medea, come in Euripide, ma la condanna fin dal principio;
• manca del tutto la figura di Egeo e la scena a esso collegata poiché qui non necessaria: in Euripide,
infatti, il re serviva per esaltare la città di Atene come di un luogo in cui anche una donna come Medea
poteva trovare rifugio;
• Giasone, mentre in Euripide ha un’evoluzione patetica e alla fine appare come una vittima per cui
provare compassione, in Seneca è rappresentato in termini positivi ed è quindi in netto contrasto
con la negatività di Medea: egli è il buon cittadino romano, è saggio, si comporta in modo razionale
secondo l’etica stoica, e intercede con Creonte affinché Medea non vada in esilio. Più volte sottolinea
come la sua scelta del matrimonio con Creusa sia compiuta per amore non di lei ma dei figli, per dar
loro un futuro in una casa reale. Alla fine del dramma, mentre Medea sta per ammazzare i figli sulla
scena davanti a lui, Giasone si propone di essere ucciso al posto loro. C’è quindi una bontà d’animo
in lui e tutto ciò che gli accade, secondo Seneca, deriva solo dal suo passato e dall’impresa degli
Argonauti, con la quale ha contaminato il mondo occidentale e orientale;
• Medea passa dall’essere un’eroina tradita e sofferente a essere concepita sin dall’inizio come un
personaggio infernale, in quanto legata alla magia nera, al culto dei morti e all’oltretomba,
rimanendo fino alla fine dominata da ira e furor: il furor è l’agire in modo illogico, irrazionale e
impulsivo perché così vogliono le cose, ed è l’opposto di quella bona mens che ragiona con
moderazione e che Euripide chiama sofrosùne, propria della nutrice che cerca di ricondurre Medea
alla lucidità. Medea, dunque, è il modello dell’anti-saggio, ossia del come non deve comportarsi una
persona che agisce secondo ratio. In Euripide, invece, Medea è un personaggio saggio, complesso e
in evoluzione, che alterna istinto, rabbia e lucidità e che arriva all’infanticidio passo dopo passo;
• a differenza della cultura greca, emerge qui un aspetto strettamente legato alla cultura romana: il
matrimonio di Medea e Giasone è un connubium che non si basa, come in Euripide, su giuramenti
sacri, ma sul vincolo dei figli, mentre il repudium (= divorzio) è un atto unilaterale che può compiere
soltanto il marito; quando avviene, i figli devono lasciare la madre per andare a vivere con il padre e
la nuova madre. Applicando queste strutture antropologiche della comunità romana di allòra,
quando Medea viene ripudiata, perde ogni diritto di maternità sui figli ed è per quello che li uccide;
quindi, l’infanticidio rappresenta l’impossibilità di essere madre: se i figli devono vivere senza la loro
vera madre, è meglio che essi muoiano. Inoltre, la morte dei figli diventa anche una sorta di auto-
punizione per espiare la colpa di aver ucciso il fratello Apsirto prima di partire per la Colchide (si
tratta di una logica primitiva infernale secondo cui “sangue chiama sangue”);
• la scena finale del carro del Sole presente in Euripide viene qui abolita e vi sono due tappe
dell’infanticidio: Medea prima ammazza un figlio in casa e poi sale sul tetto della casa con il suo
cadavere e il figlio ancora vivo e qui completa il suo misfatto davanti agli occhi di Giasone; poi si
libera dei loro miseri corpi scagliandoli a terra ai piedi di Giasone (atto di disprezzo). In Euripide,
invece, li uccide entrambi in casa e poi li porta con sé nel tempio di Hera Acraia fondando il culto dei
figli uccisi, sebbene Giasone le chieda di seppellirli (gesto di compassione). La loro morte non è
raccontata dal coro, come in Euripide, ma avviene sulla scena;
• negli ultimi versi Medea, in un monologo rivolto a se stessa, dice di essere diventata la vera Medea,
“Ora io sono Medea”: è un’affermazione che sa di metaletterario perché, se con Euripide è
l’infanticida, ora finalmente è degna della sua fama.
VALERIO FLACCO (I sec. d.C.)
ARGONAUTICHE
Valerio Flacco, con un revival del genere epico, compone le Argonautiche: si tratta di un poema
frammentario in esametri che doveva comporsi di 12 libri come l’Eneide, ma dei quali rimane solo parte
dei primi 8 (non si sa se i libri mancanti siano stati davvero scritti o se siano invece andati perduti).
In particolare, i primi 4 libri contengono il viaggio fino in Colchide, mentre i successivi 4 narrano le
vicende in Colchide e menzionano Medea; quelli perduti, invece, dovevano raccontare il ritorno in Grecia.
Il I libro si apre con la dedica encomiastica all’imperatore Vespasiano, in carica in quel tempo, per aver
difeso in Britannia i confini; le sue imprese avevano permesso le navigazioni nell’oceano, così come il
primo dei navigatori Giasone ha reso possibile all’uomo di navigare il mare.
La poetica di poco eroismo e tanta psicologia permette di scavare in profondità nell’animo dei personaggi
ed è molto simile ad Apollonio più che a Euripide.
Lo scopo di Valerio Flacco è quello di rappresentare l’innamoramento di Medea che non sa se cedervi o
no. Vi sono di esso pi