A Gorizia, Basaglia incontra Carla Nardini, una paziente sopravvissuta alla deportazione ad
Auschwitz. Si rifiutò di collaborare con i nazisti e per questo viene deportata. Carla, rientrata in Italia, è
perseguitata e vittima di violenze in quanto ex fascista e subisce agguati e pestaggi che la fanno crollare
psicologicamente. La sua famiglia, incapace di prendersi cura di lei, la affida all’ospedale psichiatrico di
Gorizia. La vicenda di Carla è simbolica: lei stessa ha vissuto l’esperienza della deportazione, e ora si
trova nuovamente rinchiusa, ma in un contesto diverso. Basaglia, osservando la condizione di pazienti
come Carla, non si limita a denunciare le condizioni disumane dei manicomi, ma respinge anche l’idea
che i manicomi siano veri e propri lager, sottolineando come il loro scopo non sia lo sterminio.
La riflessione di Levi influenza profondamente Basaglia. Levi stesso confessa un certo disagio per
l’analogia tra manicomi e lager. Pur comprendendo l’allusione metaforica, Levi ribadisce che i
manicomi servivano per “difenderci” dai malati mentali, non per eliminarli, e che la morte dei pazienti,
purtroppo frequente, non era il fine ultimo di tali istituzioni.
“Ho
La forza di un'analogia→ Primo Levi: provato un certo disagio quando Basaglia mi ha mandato il
suo libro in cui citava Se questo è un uomo e in cui diceva che gli ospedali psichiatrici sono dei Lager.
Non credo che si possa arrivare a questo punto, se non in via di metafora, di allusione. Perché lo scopo
degli ospedali psichiatrici era forse quello di difenderci dai malati mentali, non quello di ucciderli. Se
poi morivano era un triste sottoprodotto, ma non era desiderato”.
Esistono degli scarti. I tassi di mortalità sono altissimi nei manicomi.
Franco Basaglia, simbolo della psichiatria, nasce a Venezia nel 1924 in una famiglia benestante e di
idee fasciste. Nonostante questo ambiente, fin da giovane si dichiara antifascista, rifiutandosi di
partecipare alle adunanze del regime. Con un approccio pragmatico, diventa noto come un uomo che
entra in un sistema e lo cambia dall'interno.
Durante il liceo, Basaglia si unisce a un gruppo clandestino di antifascisti nella sua scuola. La
disumanizzazione e la mancanza di libertà caratteristiche del fascismo lo spingono a prendere posizione.
Una volta scrive sul muro "morte ai fascisti, libertà ai popoli", un gesto di resistenza per il quale,
scoperto come autore, viene arrestato nel dicembre del 1944. Trascorre sei mesi nel carcere di Santa
Maria Maggiore a Venezia, in condizioni durissime, con cibo razionato. Questo periodo di prigionia
un trauma di cui faticherà sempre a parlare. Il 26 aprile 1945, durante un’insurrezione degli
rimarrà
agenti carcerari e dei prigionieri politici contro i nazisti, riesce a fuggire, e due giorni dopo la città viene
liberata.
Nel 1949 Basaglia si laurea in medicina e passa dodici anni come assistente universitario a Padova,
un’esperienza che lo delude profondamente. Si sente sfruttato e, quando gli viene detto che non ci sono
opportunità per lui, lascia l’università per diventare direttore dell’ospedale psichiatrico di Gorizia nel
1961. Basaglia non aveva mai visto un ospedale psichiatrico e, alla prima visita, è colpito al punto da
vomitare.
Un anno dopo, arriva il suo assistente Slavich, che lo supporta nel suo lavoro. In un’intervista, Basaglia
racconta come la prima volta in carcere da studente di medicina gli ricordasse la sua prima visita in
«C'era un odore terribile, un odore di morte… in
manicomio, per il senso di disumanità e degrado:
manicomio non c'era quell'odore, ma c’era un odore simbolico di morte». Per Basaglia, il manicomio
non è un luogo di cura, ma un'istituzione di controllo e repressione, funzionale solo agli stipendi di chi
vi lavora.
Franco Basaglia: «Quando sono entrato la prima volta in carcere ero studente di medicina. Lottavo
contro il fascismo e sono stato incarcerato. Mi ricordo della situazione allucinante che mi sono trovato a
vivere. Era l'ora in cui venivano portati fuori i buglioli dalle varie celle. C'era un odore terribile. un
odore di morte. Mi ricordo di aver avuto la sensazione di essere in una sala di anatomia dove si
dissezionavano i cadaveri. Tredici anni dopo la laurea sono diventato direttore di un manicomio e
quando vi sono entrato per la prima volta ho avuto quella stessa sensazione. Non c'era l'odore di merda,
ma c'era un odore simbolico di merda. Ho avuto la certezza che quella era un'istituzione completamente
assurda, che serviva solo alla psichiatra che ci lavorava per avere lo stipendio a fine mese. A questa
logica assurda, infame del manicomio noi abbiamo detto no>>.
Gorizia è una delle città italiane più lacerate dalla guerra. Dopo il conflitto, viene divisa in due: da un
lato la Gorizia italiana, dall'altro un confine, spesso solo una linea tracciata per terra, segna l'inizio della
Jugoslavia. Questa divisione taglia anche i campi dei contadini e la ferrovia, dividendo famiglie e
risorse. Nella parte jugoslava vige un regime dittatoriale, dove abitano i goriziani di origine slava,
soggetti a discriminazioni e persecuzioni. In quel contesto, molti italiani vengono uccisi nelle foibe.
Gorizia è, insomma, un luogo isolato e un po’ dimenticato. Molti considerano Basaglia eccentrico, quasi
folle, per aver scelto proprio questa città, dimenticata da tutti, per il suo lavoro.
Gorizia presentava un ospedale psichiatrico che conta 600 pazienti, di cui metà di origine slovena. Qui, i
reparti sono chiusi a chiave, e i pazienti sono legati ai letti, agli alberi o alle panchine nelle ore d’aria. I
pazienti "difficili" sono persino tenuti in gabbie. Basaglia è convinto che i manicomi negano la
singolarità dei pazienti e la possibilità di una vera guarigione, rifiutandosi quindi di firmare l’uso delle
contenzioni.
Nel 1966, Basaglia rilascia la sua prima intervista alla RAI, denunciando come i malati psichiatrici non
vengano considerati persone da curare, bensì semplici prigionieri da contenere. Nonostante venga
definito "antipsichiatra", Basaglia non è contrario alla cura delle malattie mentali; egli contesta,
piuttosto, il manicomio come istituzione che di fatto non cura, ma emargina e reprime.
5/11/24
Contenzione
La contenzione è uno strumento utilizzato per gestire i momenti di crisi nei pazienti psichiatrici,
specialmente in contesti come i manicomi. Quando un paziente si ribella o compie azioni considerate
pericolose o "sbagliate", gli infermieri ricorrono alla contenzione per immobilizzarlo. È un metodo
restrittivo volto a contenere comportamenti difficili da gestire.
Elettroshock
L'elettroshock, o terapia elettroconvulsivante (TEC), consiste nell'applicazione di scosse elettriche sui
pazienti. Questa pratica si è sviluppata durante la Prima guerra mondiale, con l’idea di infliggere ai
pazienti un trauma più intenso di quello causato dal conflitto, in modo da aiutarli a superare esperienze
traumatiche precedenti. L’effetto dell’elettroshock è quello di stordire i pazienti e sedare determinate
crisi. Tra i suoi effetti collaterali vi sono perdita di memoria e stati di confusione che, con il tempo,
possono portare a significativi problemi mnemonici. Questa terapia, come altre pratiche invasive, è stata
criticata per la sua tendenza a disumanizzare i pazienti, andando a cancellare o alterare una parte della
loro identità personale e della loro storia.
Terapia insulinica
La terapia insulinica è un altro trattamento invasivo, finalizzato più alla sedazione che alla guarigione
del paziente. Consisteva nella somministrazione di grandi quantità di zucchero (spesso attraverso un
imbuto) che induceva uno stato di coma. Tale pratica spesso portava i pazienti ad ingrassare
rapidamente, causando obesità.
Queste pratiche hanno portato alcuni giovani psichiatri a prendere le distanze dai manicomi, incapaci di
accettare l’idea di somministrare terapie come l’elettroshock e la terapia insulinica. Molti di questi
psichiatri, spinti da un'etica più umana, iniziarono a lavorare con Franco Basaglia, un pioniere della
riforma psichiatrica in Italia.
Franco Basaglia sosteneva che fosse impossibile curare le malattie mentali senza riconoscere la dignità
umana del paziente. Secondo lui, i malati mentali venivano spesso privati della loro identità e trattati
come prigionieri anziché come persone. La psichiatria tradizionale tendeva infatti a considerare i
pazienti come colpevoli della loro stessa malattia, come se fosse una loro responsabilità o una colpa
personale.
Basaglia denunciava il fatto che gli ospedali psichiatrici fossero simili a carceri, dove le persone
venivano rinchiuse non per aver commesso un crimine, ma semplicemente per la loro condizione
mentale. Questa visione disumanizzante, che li trattava più come prigionieri che come pazienti, rendeva
impossibile un’autentica cura e riabilitazione, minando ogni possibilità di un recupero reale o di una
qualità della vita dignitosa.
Intervista a Basaglia
Intervistatore lei crede nella malattia mentale nell'esistenza della malattia mentale?
Basaglia: ma io direi sono un medico, un medico cura i malati e non so perché non dovrebbe esistere la
malattia mentale. lo penso che la malattia mentale ha la sua dignità di esistenza come tutte le altre
malattie, il fatto è che i malati mentali non hanno dignità di esistenza...cioè vede il problema è questo,
che la malattia mentale come tutte le malattie direi che hanno un aspetto duplice: non è importante
quello che è la malattia, qualunque malattia, ma quello che viene fatto della malattia capisci. Lei basta
che veda gli ospedali psichiatrici, se i malati in questi ospedali sono malati, sono ridotti a prigionieri e
scontano una condanna che non sanno.
Non si può curare un malato senza che il malato sia uomo.
Intervistatore: senta professore, spesso dentro l'ospedale il malato non guarisce e fuori spesso diventa
pericoloso che cosa fare?
Basaglia: ecco vedi io mi riaggancio a quello che dicevo prima nell'ospedale psichiatrico non si cura la
malattia ma si cura quello che è stato prodotto dalla malattia cioè la malattia da ospedale. Il malato
quando entra in ospedale è un uomo, qualche tempo dopo diventa una cosa, una cosa così mortificata e
violentata dall'ospedale, dalle istituzioni, dalle regole dell'istituzione e quindi e quindi si distrugge il
malato e quindi si cristallizza il malato nella sua stessa ideologia falsa di malattia capisci quindi noi
nell'ospedale psichiatrico curiamo un malato che non c'è più. Non perché non abbia la malattia
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