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ARGOMENTO 14 - IL SETTECENTO: L’ILLUMINISMO E LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Il ‘700 è certamente un secolo di grande signi cato, in cui si sviluppa e si di onde l’illuminismo, in
cui si a erma in Inghilterra la rivoluzione industriale, è il secolo in cui in America si impone una
rivoluzione che porterà alla rottura dei legami tra i coloni inglesi e la madre patria ed è, in ne, il
secolo in cui si a erma la rivoluzione francese che comporta la rottura completa con le tradizioni
millenarie degli ordinamenti.
Kant
Secondo “L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità di cui egli stesso è
colpevole. Minorità è l’incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro.
Colpevole è questa minorità, se la sua causa non dipende da un difetto di intelligenza, ma dalla
mancanza di decisione e del coraggio di servirsi di essa senza essere guidati da un altro. Sapere
aude! – Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! Questo dunque è il motto
dell’illuminismo”. Questa è la de nizione fornita nel 1784 da Kant in risposta alla domanda che
cos’è l’illuminismo? Che gli era stata rivolta da una rivista letteraria. Si tratta di un indirizzo
loso co ricco di contenuti e di uso in tutti i paesi dell’Europa occidentale e in ciascuno di questi
paesi assunse forme e coloriture particolari, tutte comunque accomunate dall’esaltazione della
ragione, dalla volontà di plasmare secondo la ragione non solo la vita, la cultura e l’attività dei
singoli ma anche e soprattutto i bisogni sociali. Secondo gli illuministi, l’uomo del del XVIII è
nalmente arrivato alla piena consapevolezza di essere dotato di questo bene alto, la ragione, e
una volta presa coscienza di essere dotato di ragione doveva usarla con due conseguenze
immediate:
- l’uomo prendeva coscienza dell’arretratezza profonda della cultura della società in cui viveva,
delle sue forme, delle sue ideologie e delle sue credenze tutte segnate dall’oscurantismo
intellettuale imposto dalla tradizione e la stessa arretratezza e irrazionalità presentavano anche
gli ordinamenti che, per tradizione, guidavano la società umana;
- l’uomo si scopriva universale: se infatti la ragione è parte primaria della natura umana, questa si
rinviene in tutti i soggetti che vivono, sentono e provano le medesime esigenze, aspirazioni e
necessità a prescindere dalla singola realtà sociale e politica di cui fanno parte. Le forme
istituzionali ispirate alla ragione, di conseguenza, risultano valide in tutte le società.
L’illuminismo ha questa forza: non è una loso a di grande spessore interpretativo ma ha una
forza espansiva e di convinzione particolarmente rilevante. Il principale bersaglio della polemica
tradizione:
illuminista era costituito dalla un’insieme di cultura, di credenze che la ragione
nalmente adesso riusciva a disvelare come irrazionale dominio della superstizione,
dell’ignoranza, del privilegio e quindi una tradizione di cui bisognava sbarazzarsi. L’umanità
doveva nalmente liberarsi da questo retaggio di oscurantismo ed inaugurare l’era della ragione,
un’era nella quale l’uomo avrebbe trovato la propria felicità. È una polemica che colpiva in egual
misura le religioni positive, la cultura secolare, gli usi e le credenze popolari, i privilegi particolari,
le diverse tradizioni di diritto comune.
Quanti aderivano a questo nuovo indirizzo di pensiero erano anche consapevoli di costituire una
ristrettissima élite intellettuale di fronte alla massa della popolazione che rimaneva attardata
nell’oscurantismo. Erano pertanto convinti di avere il compito di guidare il cambiamento della
società attraverso:
- una progressiva edizione degli altri individui ai principi di una nuova cultura;
- l’introduzione di riforme giuridiche ed istituzionali indispensabili per modi care la società.
Individuarono lo strumento più idoneo per raggiungere questi obiettivi nella legislazione del re alla
quale si riconosceva il potere di imporre i cambiamenti che si auspicavano. Sotto questo aspetto,
gli illuministi facevano propria l’idea della natura superiore, quasi sacra, che la dottrina giuridica e,
più in generale, al cultura europea, attribuiva alle leggi del principe. Si ritiene, infatti, che il
principe, in qualità di garante di un principio superiore, doveva intervenire con la sua legge per
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fi fi ff fi ff ff fi fi fi fi fi ff fi equità e
modi care tutta quella tradizione che fosse stata contraria ai principi supremi di
razionalità. Ora che gli intellettuali erano arrivati a capire che bisogna plasmare la vita secondo
ragione, sostenevano che i sovrani dovevano intervenire con le loro leggi per modi care
profondamente la tradizione che risultava contraria a questo principio superiore di ragione.
Questa lotta alla tradizione e la lettura della ragione come elemento della natura stessa dell’uomo,
avevano la conseguenza di presentare il singolo individuo come sdradicato dal concreto contesto
sociale a cui apparteneva e quindi presentare queste riforme, ispirate dalla ragione che sta in tutti
gli uomini, come compatibili con ciascuna realtà concreta. Una volta che si eliminava la tradizione
e si imponevano delle istituzioni stabilite dalla ragione universale, queste potevano valere in
ciascun contesto sociale. Questo spiega perchè i grandi pensatori, cosiddetti philosoph,
presentassero come consiglieri non soltanto die sovrani del regno a cui appartenevano ma anche
di sovrani di altri regni, perché comunque la prospettiva era quella di creare delle forme
istituzionali, sociali che, essendo ispirate alla ragione, prescindevano dalla concretezza e dalla
tradizione dei singoli luoghi.
Un altro elemento deve essere chiarito. Questo ri uto della tradizione comportava anche la
libertà.
delegittimazione del fondamento antico della L’a ermazione delle dottrine
giusnaturalistiche aveva aggiunto alla tradizione la natura dell’uomo come pilastro su cui si
basavano le libertà. Per tutto il medioevo e per la primissima età moderna la libertà del singolo era
legata alla comunità di cui faceva parte: un soggetto era libero se poteva esercitare tutti i diritti
che costituivano il complesso di diritti della società, del suo status, del suo ceto. Accanto a
questo concetto di libertà, il giusnaturalismo moderno aveva posto un altro elemento: la libertà
come diritto della natura, dato dalla natura all’uomo a prescindere alla realtà sociale di cui faceva
parte. Allora l’illuminismo, di queste due componenti una tradizionale e l’altra di diritto naturale,
nisce per eliminare quella di diritto tradizionale per cui la libertà del singolo è soltanto la libertà
natura,
che deriva dalla propria non più dalla tradizione.
Le riforme culturali, giuridiche e istituzionali che sono promosse dall’illuminismo risultano molto
incisive soprattutto nei regni e nei principati che nei secoli precedenti si erano attardati nel
rispetto delle forme istituzionali della tradizione. Si tratta comunque di riforme che sono calate
dall’alto, introdotte da provvedimenti adottati dal sovrano che era sensibile alle proposte degli
intellettuali e alle richieste di innovazione che si avevano dalla società.
Queste riforme non investono la società dal basso: accanto a quella dell’illuminismo, c’è anche
rivoluzione industriale.
una rivoluzione che caratterizza il XVIII secolo, ossia la Una rivoluzione
che trasforma profondamente la progressione economica e, di conseguenza, l’insieme dei diritti
dei cittadini. Questa rivoluzione si a erma in Inghilterra nella seconda metà del ‘700, trasformò
non soltanto i processi prodotti ma promosse radicali cambiamenti nell’ordine sociale. Si tratta di
una rivoluzione così pronfone che il mondo non conosceva dall’invenzione della ruota. Tre
elementi sembrano caratterizzare il nuovo sistema produttivo:
- macchine
innanzitutto, la sostituzione delle all’abilità e alla fatica umana
- energia
La sostituzione di fonti inanimate di a quelle animali, ossia di macchine che
convertendo il calore in lavoro misero a disposizione dell’uomo una nuova e quasi illimitata
provvista di energia.
- materie prime.
L’uso di nuove e molto più abbondanti
La rivoluzione industriale portò ad un aumento senza precedenti della produttività umana,
sollecitò trasformazioni istituzionali idonee a favorire la formazione e lo sviluppo di nuove forme
economiche, emarginò le tradizionali dottrine economiche legate ai modi di produttivi della
teorie
tradizione. Le dottrine economiche tradizionali erano costituite innanzitutto dalle
mercantiliste che erano seguite prevalentemente nei regni europei dell’inizio dell’età moderna.
Articolati in vari indirizzi, le tesi mercantiliste concordavano tra loro nell’individuare la ricchezza di
ogni paese nel patrimonio di monete di metallo prezioso che lo stesso possedeva e, di
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conseguenza, predicavano la contrazione delle importazioni (che richiedevano un dazio di
moneta) e l’incremento delle esportazioni (esportando si ottiene un’entrata monetaria maggiore). I
provvedimenti adottati dai sovrani per conseguire questi obiettivi erano di natura diversa: ad
esempio, c’era un’intensa politica coloniale che consentiva di acquisire oro e metalli preziosi, la
connessione di privilegi da parte dei sovrani a manifatture e compagnie mercantili per favorire le
attività protette in modo da migliorare le esportazioni, l’introduzione di barriere doganali che
chiudevano il mercato a mercanti stranieri e, in ne, la tutela dei tradizionali diritti goduti dai vari
tipi di produttori. In sostanza, il mercantilismo consolidava le forme delle produzione privilegiata e
assegnava alle attività mercantili il primato della produzione economica.
teorie siocratiche
Una tesi diametralmente opposta era stata sostenuta invece dalle formulate
Francoise Quesnay, produzione
in maniera compiuta dal francese il quale individuava nella
agricola e non nel commercio la fonte primaria della ricchezza sostenendo che la produzione
poteva svilupparsi solo se il sistema dei privilegi e delle sovrastrutture giuridiche consolidato dalla
tradizione fosse stato sostituito da un altro che era rispetto dell’ordine voluto dalla legge di natura.
Di conseguenza, il processo produttivo doveva basarsi sulla libertà di iniziativa e di circolazione:
abolizione di privilegi e la libera circolazione dei prodotti, ossia laissez faire e laissez passer.
Questo era il principio: la produzione agrico