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VIOLENZA ARMATA.
Altrettanto importante è la fine del periodo del boom economico, la disoccupazione inizia a regnare sovrana e
iniziano anche ad esserci le Austerity → suggerimenti o delle regole imposte ai governi dei periodi di crisi (es: dalle
17 alle 20 non si può circolare in auto)
Dopo la strage di piazza Fontana, sia a destra che a sinistra, si iniziarono ad impugnare le armi poiché erano
convinti che certi obiettivi politici potessero essere raggiunti solo con la cosiddetta “lotta armata”.
Questi anni, gli anni ‘70, vengono chiamati “anni di piombo”, per ricordare il metallo con il quale i proiettili venivano
costruiti. E di vittime, durante gli anni di piombo, vi furono parecchie.
Innanzitutto è importante specificare che il terrorismo italiano si distingue in terrorismo rosso e terrorismo nero.
Terrorismo rosso = comunista, di sinistra
Terrorismo nero= estrema destra, destra extraparlamentare
A sinistra, nacque un gruppo armato che si definiva “BRIGATE ROSSE”→ composte da membri che avevano preso
parte ai movimenti studenteschi e operai, alcuni erano comunisti, cattolici. Avevano il compito di “controllare” le
manifestazioni, respingere la polizia e gli attacchi neofascisti, quindi erano addestrati; utilizzavano forza e violenza.
Il culto della violenza si faceva sempre più presente quando azioni del genere iniziarono a prendere piede anche in
confini internazionali quali; Germania, Spagna, Irlanda ecc.
Un fattore decisivo fu proprio il fatto che i fatti di violenza irrisolti avvenuti precedentemente furono letti come volere
dello stato. Molti si ispirarono addirittura alla resistenza antifascista, definendosi ‘nuovi partigiani’.
“Colpiscine uno per educarne cento” (le Brigate Rosse)
Una delle vittime delle Brigate Rosse fu Idalgo Macchiarini, lo rapirono e gli fecero una fotografia → dovevano far
capire che quella sarebbe stata solo la prima vittima di una lunga lista. Alla fine Macchiarini fu rilasciato, e la foto
divenne famosa. Venne rapito anche un dirigente della Fiat, questa volta il suo sequestro durò 8 giorni, da quel
momento in poi i rapimenti delle BR non erano più lampo, ma duraturi.
Successivamente, venne sequestrato il magistrato Mario Sossi che aveva svolto un processo contro un gruppo di
sinistra. Se prima i sequestri erano per inviare un determinato messaggio, adesso si avanzavano delle richieste ben
precise: la liberazione dei detenuti del processo. A seguito di ciò i detenuti furono liberati, sembrava che lo Stato si
fosse arreso alle violenze delle BR. Il magistrato fu liberato illeso.
Nei prossimi mesi, iniziarono anche i primi omicidi firmati BR. Lo stato non si era affatto arreso, stava attuando delle
strategie.Quella del pentitismo fu la più famosa e funzionò a pennello. Venne gestita da Carlo Alberto Dalla Chiesa
grazie alle testimonianze dei pentiti riuscì ad infiltrarsi nel gruppo militante e nel 1974 due capi furono arrestati. Uno
dei due riuscì ad evadere e successivamente fu di nuovo arrestato. L'arresto dei due capi non fermò le Brigate; ici
furono altri assassini e ora il loro obiettivo era quello di colpire il cuore dello Stato.
Cinquantacinque giorni a Roma
Il momento più drammatico delle brigate rosse fu individuare come prossimo bersaglio il presidente del Consiglio.
Il 16 marzo 1978 Aldo Moro, pezzo grosso democristiano, venne rapito in pieno giorno nella capitale.
Fu tenuto prigioniero e interrogato dal “tribunale del popolo”, per poi essere condannato a morte.
Per 55 giorni venne cercato a lungo ma non venne trovato.
La vicenda Moro scosse tutti, era un personaggio internazionale e le strategie da adottare non erano semplici.
A tal proposito, i gruppi politici si divisero:
- Una parte di democristiani e comunisti erano d’accordo con la condanna a morte di Moro
- Un’altra parte costituita dal Partito Socialista, volevano le trattative.
Durante la prigione, Moro dispose di carta e penna e poté scrivere lettere a familiari, amici e un testamento.
Alcune di queste giunsero a destinazione altre no, ovviamente censurate dalle BR a loro favore.
Le sue lettere fecero sorgere diversi dubbi. Dopo 55 giorni la condanna a morte di Moro venne eseguita e il suo
corpo venne abbandonato nel baule di una Renault 4 nel cuore di Roma a metà strada tra tra le sedi centrali del PCI
e della DC. Il caso Moro divenne un mistero e i processi che seguirono, non bastarono a fare chiarezza.
Due funerali, una salma
Il 13 maggio 1978 a Roma si tennero i funerali di Stato di Aldo Moro, la famiglia non vi partecipò, in quanto lo Stato
era stato complice del delitto.
L’assassinio del presidente della DC segnò l’inizio della fine delle BR, nonostante inizialmente venne letto come un
vero e proprio trionfo. La decisione di uccidere Moro risultò essere un errore politico, in quanto accecati
dall’ideologia. Coi primi anni 80 la lotta armata era finita per via di una serie di fattori, le vittime degli anni di piombo
vennero quasi del tutto dimenticate e per molto tempo l’attenzione si concentrò sui colpevoli e sulle loro motivazioni
ma con gli inizi degli anni 2000, le vicende e le esperienze delle vittime e dei loro familiari iniziarono ad essere
scritte e condivise ovunque.
I terroristi “neri”
Non fu soltanto la sinistra a prendere le armi: in quegli anni si estendeva in tutta italia anche il “terrorismo”
neofascista. Di tutti gli atti di violenza registrati tra il 1969 al 1975, la stragrande maggioranza viene attribuita alla
destra estrema. Diversamente dalle azioni delle Brigate Rosse, le bombe dei neofascisti rientravano in una
“strategia della tensione”, ci furono pestaggi, omicidi politici(della sinistra).
Una nuova generazione iniziava a sentire il richiamo del neofascismo. I neofascisti riuscivano ad attirare i giovani.
Un esempio di persona che prese le armi fu Valerio Fioravanti, che insieme a suo fratello, costituirono con altri un
piccolo gruppo che cominciava con violenze nei confronti della sinistra. → Il gruppo si chiamò NAR (nuclei armati
rivoluzionari), e passò alle rapine a mano armata per procurarsi armi e denaro.
I NAR non tardarono ad alzare la mira, puntando alle strutture dello Stato, attaccando un magistrato.
I NAR uccisero numerosi poliziotti e altre persone che avevano provato a fermarli. Copiavano le tecniche utilizzate
dalle BR, come i volantini e iniziarono anche ad assassinare i loro rivali della stessa destra neofascista.
Il gruppo venne fermato nel 1981, quando in seguito a una sparatoria Valerio Fioravanti rimase ferito a terra. La sua
compagna chiamò un medico, che gli salvò la vita ma lo fece anche arrestare. Suo fratello, sfuggito alla sparatoria,
testimoniò contro i terroristi, approfittando di un accordo che lo tirò fuori dal carcere in meno di un anno. Il
‘tradimento’ colpiva anche suo fratello Valerio, che ebbe otto ergastoli e rimase in galera per 26 anni. (Infatti, Valerio
voleva uccidere suo fratello).
Gli anni di piombo erano agli sgoccioli ma la strategia della tensione continuò a colpire; la stessa Bologna
rossa(comunista) venne colpita proprio nella stazione ferroviaria.
Bologna: 2 agosto 1980
Il 2 agosto del 1980 la stazione di Bologna era piena di persone in partenza per le vacanze, fu allora che esplose la
bomba, ci furono diversi morti e feriti e demolì una parte della stazione. Bologna era stata scelta per un motivo: i
suoi contatti con il Partito Comunista. Si giunse a una sentenza definitiva quasi subito, Valerio Fioravanti, la sua
compagna e un altro esponente dei NAR vennero condannati nel 1995 per la bomba di Bologna scoppiata nel 1980.
Hanno sempre negato di aver organizzato o partecipato a questa strage, ma non fu importante poiché nessun’altro
poteva essere stato secondo quelle indagini. La strage di Bologna viene ricordata come una strage fascista che
generò il numero maggiore di morti in Europa.
Rivoluzione, riforma e sangue
Possiamo quindi giungere alla conclusione che gli anni 70 furono davvero un decennio di crisi sanguinosa e
proteste. Fu un periodo di fermento in tutti gli ambiti della vita: scuole, manicomi, carceri e perfino le famiglie erano
cambiate. Ma le forze contrarie al cambiamento democratico erano potenti e si lasciarono dietro una scia di morte e
distruzione. L’incapacità di rendere giustizia alle vittime della ‘strategia della tensione’ e di altre forme di violenza
segnò nel profondo la repubblica → la partecipazione diretta dello Stato ad alcuni di quei delitti rimane una delle
grandi questioni aperte del dopoguerra. La democrazia riuscì a sopravvivere, ma la rappresentatività della classe
politica fu compromessa, tutti gli sviluppi che ebbero luogo, costarono caro.
4. Gli anni ’80 e ’90: dal boom al tracollo, e oltre
1980: la fine
Gli anni ‘80 si aprono con la fine del mondo del lavoro →
- L’ottobre del 1980 fu caratterizzato da una marcia a Torino, non era uno sciopero, chiedevano semplicemente di
poter tornare a lavorare; alla normalità. Questo avvenne dopo un annuncio di licenziamento di massa emesso dalla
Fiat.
- Nel 1980 era quindi evidente la fine delle lotte operaie → iniziavano a dare segnali di cedimento; la rivoluzione non
c’era stata e il capitalismo rimaneva al suo posto e prendeva piede la globalizzazione.
- La stessa Fiat iniziò ad aprire nuovi stabilimenti in tutto il mondo, dando inizio così al processo di
deindustrializzazione → nel 1979 la casa automobilistica commissionò una pubblicità in cui una vettura veniva
costruita interamente da macchine, si capì che era la fine della classe operaia (industriale).
- Prese così piede la fase postindustriale, che venne caratterizzata da una profonda crisi di identità (Milano stessa
divenne una città dove nessuno produceva niente).
Dopo la fabbrica
La fine del sistema di fabbrica lasciava vuoti vasti nelle città; esse venivano abbandonate, occupate, demolite per far
spazio a condomini o supermercati. Con il declino dell’industria cambiarono molte cose:
- confini tra lavoro e tempo libero diventavano difficili da definire
- aumentò il numero di lavoratori autonomi e contratti a breve termine
- in crisi: movimento sindacale e partiti di massa
La politica negli anni ‘80: la “questione morale” e la partitocrazia
Nel 1981 il segretario del PCI Enrico Berlinguer svolse un’intervista letteralmente esplosiva durante la quale accusò
i partiti e lo Stato di aver gestito interessi loschi e di non star più organizzando il popolo, bensì stavano agendo per
fini propri. Berlinguer però ci tenne a sottolineare che il PCI non faceva parte di questi partiti che denunciava, perché
la loro storia era diversa. Sostenne, durante l’intervista, che la questione morale è il centro del problema italiano.
Le parole di B