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PARTE IV
CAPITOLO 1 > l’età delle codi cazioni
Il periodo che precede le codi cazioni è caratterizzato dal passaggio da una scienza giuridica
ad una scienza di studio erudito. In Europa nasce l’impero con nascenti stati nazionali ai quali
servivano, per governare, degli strumenti giuridici, che erano costituiti dal diritto romano.
Matura il graduale passaggio alle codi cazione e alla formulazione dei codici. Ma il diritto
romano non era l’unico ad essere presente, in quanto vi era anche quello consuetudinario, al
quale ci si rifaceva quando i diritti locali non provvedevano. Quando la situazione economica
e politica si trasforma, cominciano i traf ci, i mercati ecc. vi è l’esigenza di una variazione di
strutture giuridiche. Nascono gli Stati assoluti moderni e con essi si afferma ancor di più il
giusnaturalismo. I giusnaturalisti sostenevano che il diritto naturale corrispondesse al diritto
romano, e essi tendevano a fondersi in un unica concezione. La ne del 700 è segnata
dall’avvento, in Europa, di codi cazioni che mirano a ricostruire il diritto naturale razionale.
Il Codice prussiano del 1794 opera del von Carmer. La Prussia, unico stato forte in mezzo
a piccoli staterelli, decide di attuare un progetto di codi cazione unitaria e per farlo si serve
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del pensiero razionalistico dominante in Germania nel XVIII secolo, quello di Wolff. L'idea di
fondo di questo codice quella di un ordinamento che sia il pi possibile realizzazione del
diritto naturale, preciso e razionale come la matematica.
La Francia, prima del Codice napoleonico del 1804, era dal punto di vista giuridico divisa in
due zone: a sud vigeva il diritto scritto derivante dal codice teodosiano, a nord vigeva il
diritto consuetudinario proveniente dai costumi germanici.
La scienza giuridica francese, attraverso l’opera di Domat e Pothier (grandi romanisti), aveva
elaborato dei sistemi organici fondati sul diritto giustinianeo e sulle consuetudini del popolo
franco; lo stesso fece la commissione istituita da Napoleone per redigere il codice.
L'Austria, prima del Codice austriaco del 1811, non era spezzettata in diverse situazioni
giuridico culturali; era retta dall'usus modernum Pandectarum, cio dall'applicazione del
Digesto giustinianeo.
La cultura austriaca si rifaceva a Kant, che per contrapponeva il diritto positivo al diritto
naturale intendendo il diritto naturale come la condizione a priori della giuridicit , e il diritto
positivo come l’applicazione positiva del diritto naturale.
Quando invece contrapponeva il diritto ideale al diritto reale, contrapponeva il diritto
naturale al diritto fenomenico.
Questo sistema cre delle incomprensioni che vennero poi risolte dallo Zeiller, che riport le
categorie kantiane alla realt storica.
CAPITOLO 2 > la scuola storica del diritto e il ripudio delle codi cazioni
1. L’avvento del romanticismo
Le codi cazioni creano dei problemi a partire dal metodo, che diventa di centrale
importanza. Il passaggio dal 700 all'800 è segnato dall'affermazione, contro le istanze
illuministiche, del movimento romantico.
L’illuminismo è caratterizzato dal razionalismo, che si ri ette nel giusnaturalismo: la ragione e
la costruttrice sistematica della realtà. Questo porta ai grandi ideali della Rivoluzione
francese: fratellanza, libertà e uguaglianza. Uguaglianza di tipo razionalistico e astratto, tutti
gli uomini sono uguali, perché tutti partecipi della ragione, si accentua la valorizzazione
dell’universale, delle costanti che sono comuni a tutti gli uomini e a tutti i popoli.
Il romanticismo si pone come rivalutazione del sentimento; bisogna riscoprire il particolare,
l'individuale, nel singolo, nel popolo, nella nazione. Il romanticismo vuol cogliere la storia
nella sua effettiva concretezza, e rivalutarne tutti gli aspetti, perché ogni momento della
storia, in quanto irripetibile, ha una sua ricchezza: la storia va compresa nella sua totalità. Il
mondo giuridico ha prodotto le codi cazioni, cioè il codice è tipica generalizzazione, ossia
emanazione di una legge generale ed astratta che viene fatta valere per tutto il popolo su cui
grava il potere del sovrano. La storia giuridica pone questa contraddizione: da un lato non si
può negare il codice, in quanto viene applicato, ma bisogna riconoscere che esso si pone
contro le esigenze culturali che stanno maturando.
2. Gustav Hugo: la loso a del diritto positivo
Nasce la Scuola storica del diritto, fenomeno tedesco, e la cultura accademica tedesca pre-
romantica era stata improntata dalla personalità di Wolff, cioè da un giusnaturalismo
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rigidamente razionalistico e matematizzante. Percussore di tale movimento tedesco fu Gustav
Hugo, che nel “Trattato del diritto naturale”, afferma la necessità del passaggio da una loso a
del diritto naturale a una loso a del diritto positivo. Il compito del giurista era quello di
saper ricostruire il sistema giuridico, passando attraverso 3 canali distinti e solidali tra loro:
1. la dogmatica giuridica > una risposta alla domanda: che cos’è il diritto hic et nunc (qui e
ora?
2. la storia giuridica > ricerca genetica di questi istituti; bisogna vedere come si sono
sviluppati storicamente;
3. la loso a giuridica > risposta alla domanda: il diritto positivo vigente è razionale?
Resta in Hugo una matrice di tipo kantiano-razionalistico (aspetto giusnaturalista).
La ricostruzione storico-giuridica è indispensabile per poter conoscere il diritto attuale. Hugo
sostiene che la loso a giuridica deve distinguere e poi ricongiungere due elementi:
1. la meta sica del diritto > l’enucleazione delle condizioni a priori “del giuridico”;
2. la politica del diritto > elementi “politici” che determinano il mantenimento/
superamento degli istituti giuridici.
Non è suf ciente riconoscere la necessità del diritto, bisogna vedere quali istituti giuridici
sono politicamente utili (elemento empiristico).
Si costituisce una loso a del diritto positivo: ricostruzione loso ca dei principi immanenti
a ogni possibile diritto positivo. La posizione di Hugo è il ponte di passaggio dal
giusnaturalismo alla metodologia della Scuola storica. Passaggio segnato dalla polemica tra
von Savigny e Thibaut.
La polemica tra Thibaut e Savigny va inserita in una Germania divisa in tanti Stati di cui l'unico
forte è la Prussia:
Thibaut > propone una codi cazione generale per tutta la Germania, per ottenere
• l'uni cazione amministrativa.
Savigny > che crea il manifesto della Scuola storica del diritto, dice che la pretesa di
• Thibaut di voler imporre una codi cazione generale a tutti i Paesi germanici è un
controsenso destinato al fallimento, perché viene a disconoscere il costume popolare, la
consuetudine. Per il Savigny, nel diritto si possono distinguere due aspetti: un elemento
tecnico e uno storico. Il diritto ha una sua realtà formale, tecnica, ma al di là di questo
elemento tecnico-formale sta la realtà sostanziale. Il diritto ha una duplice fonte, che dal
punto di vista metempirico si chiama Volksgeist (spirito del popolo) o dal punto di vista
giuridico «consuetudine». Per il Savigny è un controsenso voler dare una legislazione
universale la quale sia valida per tutti i tempi e tutti gli uomini. Savigny è contrario allo
schema illuministico in cui c'è la contrapposizione fra gli individui e lo Stato perché lo Stato
nasce col contratto sociale, ma fuori degli individui; è contrario ad uno Stato che in quanto
si fa interprete della volontà generale pretende di avere il monopolio della legislazione.
Il diritto è l'espressione della volontà popolare, la quale si esprime attraverso concreti
comportamenti, dimostrando quali sono le sue reali esigenze, che devono essere
disciplinate giuridicamente. Savigny afferma che per qualunque popolo il diritto deve
essere ricercato nelle consuetudini di questo popolo, che devono essere costituite dal
comportamento di un popolo, che è frutto di un convincimento della giuridicità del
comportamento stesso. La consuetudine è la formalizzazione giuridica di una realtà
sottostante, essa sul piano giuridico è l'effetto, si tratta di risalire poi alla causa di questo
effetto, che è il Volksgeist, lo spirito del popolo. Savigny ritiene che il diritto popolare
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debba poi essere ripreso e sviluppato dalla scienza giuridica, c'è una seconda fase del
diritto, che nei momenti di decadenza potrà aprire la strada al predominio della
legislazione. Il prevalere della codi cazione scritta segna un momento di decadenza nella
parabola della vita giuridica di un popolo.
CAPITOLO 3 > la scuola dell’esegesi e l’assolutizzazione pragmatica della codi cazione
La scuola dell’esegesi affermava che compito del giurista è quello di una rigida
interpretazione, di una mera esegesi del codice napoleonico, ossia seguire meticolosamente
lo stesso ordine di esposizione del codice, commentandolo articolo per articolo. È una
metodologia casistica, in cui i casi concreti vengono raggruppati entro le fattispecie astratte
previste dal codice. Perciò compito del giurista è quello di attenersi esclusivamente alla
volontà del legislatore. Solo ciò che ha voluto il legislatore costituisce diritto. Sulla base di
questo presupposto, l'esegeta risolverà il caso in forza di un ragionamento sillogistico, in cui
la premessa maggiore è costituita dalla norma del codice, e la premessa minore dalla
fattispecie concreta. Questo sillogismo è possibile se il legislatore ha emanato una norma
che abbia previsto il caso; ma non sempre egli può prevedere tutte le ipotesi future.
Per l’interpretazione del Codice napoleonico, l'art. 4. stabiliva che qualora il giudice si fosse
ri utato di decidere una controversia a lui sottoposta, adducendo a motivo la mancanza,
l'insuf cienza o l'oscurità della legge in merito, si sarebbe reso colpevole del reato di
denegata giustizia. Il giudice doveva sempre giudicare, perché si presupponeva che avesse
sempre gli strumenti per farlo. La ratio storica della norma era che i giudici ogni volta che si
trattava di decidere un caso che non risultasse previsto dalla legge, sospendevano il
processo e rinviavano gli atti all'Assemblea legislativa, perché emanasse la norma apposita,
che comportava ritardi, per recidere i quali il Codice napoleonico aveva inserito l'art. 4. Ma
con l'art.4 essa aveva inteso stabilire il principio che, qualora il codice non prevedesse
espressamente il caso, il giudice poteva e doveva risolverlo rifacendosi al diritto naturale e
all&rsquo