Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Tuttavia, nel nostro ordinamento esistono anche i c.d. reati senza offesa, come i reati di
sospetto (ad es., possesso non giustificato di grimaldelli), i reati di pericolo presunto (ad
es., getto pericoloso di cose), i reati ostativi (ad es., porto non autorizzato di armi) e i reati
dove è preminente l’elemento intenzionale (ad es., delitti di associazione eversiva).
Principio di materialità
Dall’art. 25 Cost. è ricavabile anche il principio di materialità, secondo cui non si può
essere puniti per un’intenzione criminosa che non si sia manifestata in un fatto in quanto
per sussistere reato è necessario che il reo abbia posto in essere una condotta (ossia
un’azione o un’omissione) criminosa.
Il principio di materialità è ribadito dall’art. 1 C.P., che richiede la commissione di un fatto e da
altri articoli del codice penale, quale l’art. 115 C.P., secondo cui un accordo stipulato per
commettere un reato non è punibile se il reato non è commesso, in quanto genera solo lo
stato soggettivo di essere propenso al reato ma non la materialità del reato. Purché un fatto
sia punibile quindi non è sufficiente l’intenzione ma è necessario l’oggettivo compimento
di atti che devono essere idonei (e quindi efficienti) ed univoci.
Questo principio non si applica alle misure di sicurezza: pertanto le autorità devono
tenere in considerazione la pericolosità sociale del reo e valutare se in futuro è probabile che il
reo commetterà reati. Addirittura, la legge prevede che le misure di sicurezza possono essere
adottate anche nei confronti di autori di fatti non previsti dalla legge come reati se il soggetto
è valutato socialmente pericoloso (ad esempio, in caso di istigazione a commettere un reato
che non è poi commesso). In altre parole, il principio di materialità può essere
disapplicato per prevenire futuri reati.
Principio di colpevolezza
L’art. 27 Cost. afferma che la responsabilità penale è personale. L’art. 5 C.P. sancisce
che nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale. La sent. 364/88
C. Cost. ha però chiarito questa disposizione, statuendo che “l’ignoranza della legge penale
non scusa tranne che se si tratti di ignoranza inevitabile” e quindi, affermando che la
presunzione di conoscenza della legge penale non è assoluta ma relativa, cioè limitata
all’inevitabilità dell’errore. Secondo la corte, infatti, l’impossibilità oggettiva di conoscere
il diritto penale (a causa ad esempio dell’assoluta oscurità del testo legislativo, di un caotico
atteggiamento interpretativo da parte degli organi giudiziari o di assicurazione erronee da
parte di persone destinate a giudicare sui fatti da realizzare) e il fatto che quest’impossibilità
non è una condizione solo di chi ha commesso il reato ma anzi chiunque sarebbe caduto
nell’errore sul divieto (c.d. generalizzazione dell’errore) costituiscono un limite scusante
della personale responsabilità penale. In una sentenza seguente, la corte costituzionale ha
tittavia precisato che quando lo stato rende oggettivamente possibile la conoscenza delle
leggi penali, è l’individuo colpevole di non aver prestato la dovuta attenzione alle leggi dello
stato.
Poiché non tutti i reati sono imputabili ad un solo soggetto, la legge penale contempla l’ipotesi
di concorso in reato: in questo caso, per costituire reato, è necessario che il soggetto abbia
consapevolmente contribuito alla realizzazione dell’illecito o che abbia avuto la
possibilità di prevedere il risultato cumulativo della propria ed altrui condotta.
Poiché alcuni reati sono commessi da persone fisiche per conto o nell’interesse di una persona
giuridica e poiché per sulle persone fisiche, al contrario di quelle giuridiche, è possibile
esprimere un giudizio di colpevolezza, il legislatore ha deciso di introdurre la l. 231/2001, con
la quale è ora possibile imputare gli enti privati per i reati commessi da persone fisiche ed
individua le persone fisiche dalle quali si può risalire alla responsabilità dell’ente, mentre in
precedenza, la persona giuridica poteva rispondere solo come obbligato civile per il
pagamento dell’ammenda o per la sanzione inflitta al responsabile in caso di insolvenza di
quest’ultimo. Gli artt. 6 e 7 della legge appena citata prevedono due forme di colpevolezza a
seconda se il reato sia commesso da un vertice o da un semplice sottoposto. La
responsabilità è esclusa, sul modello statunitense, qualora l’ente si sia dotato di un sistema
volto ad impedire la commissione di reati. L’art. 8 della legge sancisce il principio
dell’autonomia della responsabilità dell’ente il quale risponde anche se gli autori del reato
restano ignoti o non siano imputabili. L’art. 9 prevede le sanzioni pecuniarie, le sanzioni
interditive, la confisca e la pubblicazione della sentenza. Tra le sanzioni interditive ricordiamo
l’interdizione dell’esercizio dell’attività, la sospensione o revoca delle autorizzazioni, il divieto
di stipulare contratti con la P.A. o di ottenere agevolazioni o finanziamenti (oltre che nella
eventuale revoca di quelli già concessi).
Funzione della pena e principio di umanizzazione della pena
In passato, ad ogni reato penale corrispondeva una pena che tendeva ad affermare l’autorità
del sovrano; per questo motivo, a processi segreti con imputati torturati per estorcere le
confessioni seguivano sentenze pubbliche esemplari, che stabilivano pene corporali fino ad
arrivare alla pena capitale. A partire dall’illuminismo, il concetto di pena mutò e con esso il
sistema penale.
Oggi, la pena non ha il solo scopo “retributivo”, ovvero non è solo il castigo dovuto per
l’illecito commesso con funzione di restaurazione della legge violata, ma è vista come uno
strumento utile a prevenire i reati stessi (funzione di intimidazione-prevenzione) ed ha
funzione rieducativa.
La funzione rieducativa è sancita dall’art. 27 Cost. co. 3°, il quale recita: “le pene non
possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del reo”. L’adozione di questo principio implica l’assoluto divieto di utilizzare a
pene contrarie al senso di umanità quali sia nelle forme di violenza sulla persona (morte,
tortura o pene corporali) sia nelle forme di violenza sulla personalità (c.d. lavaggio del
cervello), che peraltro sarebbero contrarie anche agli artt. 2 e 3 Cost. in materia di dignità
umana e di libertà di mantenere la propria personalità.
Utilizzare forme di detenzione e di segregazione appare tuttavia molto de-socializzante, e ciò
causa il c.d. paradosso penitenziario. Il legislatore ha introdotto allora la riforma
penitenziaria del 1975, la quale stabiliva che prima di ricorrere a mezzi molto afflittivi, occorre
accertare se siano sufficiente altri mezzi che migliorino le possibilità di avere il recupero
sociale del reo. Con la riforma si favorì il ricorso a pene alternative a quelle detentive,
come ad esempio l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare il regime
di semi-libertà, permessi e licenze, riduzione della pena per liberazione anticipata e
liberazione condizionale. Queste pene alternative non devono essere considerate come
provvedimenti clemenziali ma come un modo diverso di esecuzione di una sentenza penale
passata in giudicato. Riguardo infine al patteggiamento o alla scelta di rito abbreviato, cui
sono collegati sconti di pena, non si può asserire che vi sia un nesso tra la scelta dell’imputato
a favore di un procedimento speciale e le esigenze di rieducazione; alcuni affermano che il
legislatore ha permesso questi sconti della pena perché la scelta di un procedimento speciale
conduce ad una valutazione positiva della personalità dell’imputato, mettendo in luce la sua
disponibilità a dialogare con l’ordinamento giuridico invece che assumere posizioni di
ostruzionismo.
Capitolo II – Efficacia della legge penale nel tempo e nello
spazio
Leggi penali incriminatrici nel tempo
Come statuito dall’art. 73 Cost., le leggi entrano in vigore nel quindicesimo giorno
successivo alla loro approvazione, a meno che il legislatore non disponga diversamente: in
altre parole, non solo le nuove disposizioni potrebbero prevaricare le precedenti (abrogazione
tacita o espressa) ma potrebbero anche avere effetto immediato o addirittura retroattivo.
Nelle leggi penali incriminatrici intervengono tuttavia alcune norme che impediscono
l’applicazione della retroattività e talvolta l’applicazione delle nuove disposizioni. In
particolare, l’art. 2 C.P. co. 1° afferma che nessuno può essere punito per un fatto che non
costituiva reato secondo la legge in vigore nel momento in cui fu commesso. Questo articola
implica quindi che una legge penale che configuri nuove ipotesi di reato possa essere
applicata solo dopo la sua applicazione. Tale norma è rafforzata dall’art. 11 Disp. Prel.
secondo cui la legge può disporre solo per l’avvenire e non ha quindi effetto retroattivo.
Queste disposizioni hanno inoltre dignità di norma costituzionale nel già menzionato art. 25
Cost. co. 2°, il quale recita “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia
entrata in vigore prima del fatto commesso”.
Generalmente, l’irretroattività si applica solo se la legge penale varia in modo sfavorevole al
reo, mentre modifiche favorevoli al reo si applicano anche retroattivamente: questa
particolarità è disciplinata dall’art. 2 co. 4° del C.P., il quale prevede un’ eccezione al
principio di irretroattività stabilendo, appunto, che se sopravvenissero modifiche alla
legge penale, il giudice è tenuto ad applicare quella più favorevole al reo ( principio del
favor rei ). favor rei
Tuttavia, il principio del non si applica in alcuni casi quali:
Casi in cui è stata emanata una sentenza irrevocabile di condanna; anche
questa eccezione ha a sua volta delle eccezioni. Infatti, la l. 86/2006 ha introdotto il co.
3° all’art. 2 C.P., secondo il quale se vi è stata una condanna a pena detentiva per un
reato e successivamente è stata adottata una legge che prevede per quel reato una
pena pecuniaria, la pena detentiva deve essere commutata in pena pecuniaria.
Casi che interessano leggi penali eccezionali (ossia quelle imposte da emergenze
straordinarie) o temporanee (per la quale la legge stessa fissa il limite della vigenza).
Quindi i fatti commessi sotto