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CHIRURGIA MAXILLO FACCIALE
POLO B
2017/18
Prof. Alberto Bianchi
INDICE:
Storia della chirurgia maxillo-facciale………………… Pag. 2
Traumatologia del cranio……………………………… Pag.6
- Fratture della mandibola…………………………... Pag. 8
- Frattura condilo…………………………………………. Pag. 15
Oncologia………………………………………………………… Pag.16
Chir. Ortognatica……………………………………………… Pag. 21
1
Storia della chirurgia maxillo-facciale
Questa disciplina nacque nel 1919 a Bologna, tramite il fondatore della Scuola Odontoiatrica di
Bologna (Odontoiatria fino alla fine dell’800 era al di fuori degli studi medici). Egli era allievo di un
importante clinico di Bologna, di nome Murri (il quale fu docente a Catania).
Quest’uomo un giorno decise che vi era una disciplina la quale doveva essere considerata medica
e non più extramedica, cioè l’Odontoiatria; fece ciò studiando la patologia batterica del dente,
considerando comunque che si parla di un’epoca pre-antibiotica, in cui l’Odontoiatria era
considerata spesso affidata a personale non medico.
Questa persona nel 1908 fondò la prima Scuola di Odontostomatologia all’interno dell’Università
Alma Mater. Questa è l’università più antica del Mondo Occidentale, fondata nel 1089).
Scoppiò poi la Prima Guerra Mondiale, guerra di trincea che causò milioni di morti ma anche
migliaia e migliaia di feriti di guerra. È intuitivo tuttavia che la guerra porti non soltanto infiniti
danni, ma che sia anche un terreno particolarmente fertile per la Scienza e la Medicina (per tutte
le patologie che compaiono). In tale periodo, questo signore partì per la guerra insieme al suo
assistente, Cesare Cavina, e lì capirono che, per salvare tutti questi feriti da bombe, baionette etc.,
fossero necessari campi chirurgici vicino alla sede in cui giunge il ferito, poiché era impossibile
spostare questi ultimi negli ospedali lontani dal campo di battaglia (fa un’analogia con i campi
chirurgici della guerra del Vietnam).
Essi chiesero quindi al Re (egli era tra l’altro il dentista della Regina Margherita) di poter fondare il
primo Istituto di Malattie per la Bocca, al fine di trattare questi migliaia di traumatizzati di guerra,
nonché trattare tutti quei soggetti affetti da edentulia (perdita dei denti, la quale è sia una
malattia ma anche una pratica molto usata ai tempi della leva obbligatoria, così da ottenere
l’esonero dal servizio militare). Il Re acconsentì alla richiesta, e così nacque nel 1919 “l’Istituto
clinico per le patologie della Bocca”.
Da lì a pochi anni il maestro decise di affidare la sua grande passione per gli atti chirurgici al suo
allievo prediletto, appunto Cesare Cavina. Quest’ultimo fu infatti il padre, il primo grande chirurgo
maxillo-facciale in Italia.
Egli iniziò a dirigere quindi il reparto di “Chirurgia Bucco-Facciale” all’Istituto bellico di Bologna.
Ecco che lui intuì per primo che il traumatizzato facciale andava trattato subito. Ricordiamo che si
parla di un’epoca pre-antibiotica e pre-anestesia generale: i pazienti avevano a disposizione al
massimo una bottiglia di Whisky o una botta in testa, non venivano addormentati con intubazione
(la quale giunse in Italia in maniera massiva solo dopo la Seconda Guerra Mondiale); venivano tutti
trattati infatti con un’anestesia locale e sedazione con Cloroformio, il quale però aveva una durata
di soli pochi minuti.
Questi chirurghi riuscirono a trattare per primi questi pazienti mutilati, con ferite enormi. Furono i
primi che, insieme agli ortopedici dell’importante istituto Rizzoli di Bologna (in cui a quei tempi vi
lavoravano i “mostri sacri” come il professor Putti e il professor Codivilla, da cui l’ospedale
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Codivilla Putti di Cortina), curavano tali pazienti: i primi l’ortopedia facciale, i secondi l’ortopedia
degli arti, con le stesse tecniche.
Cesare Cavina morì purtroppo giovanissimo, nel 1935, lo stesso anno di nascita del figlio Carlo
Cavina.
Esistono numerose pubblicazioni che mostrano gli strabilianti trattamenti operati da Cesare
Cavina, tra cui anche sostituzioni della esplosione del corpo mandibolare con dei prelievi costali o
della cresta iliaca, in anni in cui tali tecniche erano quasi impossibili perché gravate da molte
complicanze (infettive etc).
Il successore di Cesare Cavina fu un grande esponente della Chirurgia Maxillo-facciale, che diresse
l’Istituto dal 1935 al 1966-67. Tutti i grandi Italiani della specialità dell’epoca furono suoi seguaci.
Egli potè ovviamente usufruire dell’evoluzione scientifica data dalla comparsa dei primi antibiotici
come anche altri farmaci. Tra i vari dati è riportato che fosse l’unico che operasse più di duemila
labio-palato-schisi insieme a un altro grande della Chirurgia operante a Milano, Sanvenero Rosselli,
padre della Chirurgia Plastica italiana.
[Il prof sottolinea che ha voluto fare questa introduzione perché secondo lui l’insegnamento non è
esclusivamente nozioni. Dice di essersi laureato nel 1989 con tesi sulle malformazioni. Segue una
digressione dove parla del fatto che a quei tempi non esisteva internet e che il nostro problema di
oggi è il avere nozioni, di cui molte eccedenti e inutili. Dobbiamo filtrare le cose fondamentali, far
nascere la passione. Parla poi di un grande medico che operava i bambini a mani nude, tenendoli
fermi con le gambe e rivolti in avanti per evitare il reflusso di sangue, con una tecnica perfetta].
La chirurgia maxillo-facciale è la chirurgia che tratta quella struttura anatomica unica che è il
nostro volto, unica perché portatrice della nostra identità. Nel momento in cui si presentano
pazienti con danno a tale struttura (es. le famose ustionate per delitti passionali o ancora i famosi
traumatizzati di Cesare Cavina di cui sopra), il chirurgo maxillo-facciale deve assumersi la
responsabilità di provare a ridonare a quella persona quello strumento di identità. Non si può, in
questa specialità, esclusivamente considerare la parte “tecnica” del lavoro, relegando allo
psicologo di turno lo stato del paziente; bisogna invece conoscere intimamente ciò che c’è dietro
questo volto, vale a dire chi è quella persona, e assumersene la responsabilità [nomina a tal
riguardo “Wonder”, il film di quel bambino affetto da una patologia malformativa, la sindrome
di Treacher Collins o sindrome di Franceschetti-Zwahlen-Klein o disostosi mandibolo facciale
(wikipedia)]. Per questi bambini una malformazione simile può voler dire non avere vita sociale!
Stessa cosa vale per gli altri grandi capitoli di tale chirurgia.
Sono quindi partito dalla storia per mostrarvi la passione di queste persone.
3
I TRE CAPITOLI DELLA CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE
La chirurgia maxillo-facciale è coperta per circa il 90% da tre grandi gruppi:
- Oncologia;
- Traumatologia;
- Chirurgia delle malformazioni facciali.
Le malformazioni possono essere congenite (cioè del bambino) o dell’adulto. Si tratta di
patologie che prevedono lo sviluppo alterato delle strutture facciali (es. mascellare asimmetrico,
laterodeviazione etc.). Poi ci sono le patologie di derivazione odontoiatrica: quando il dentista
arriva da noi e ci dice “non ho osso per riuscire a fare una protesizzazione. Io da chirurgo
ricostruisco tridimensionalmente le ossa mascellari dando così la possibilità di effetuare
l’intervento implantare e conseguentemente il cambiamento morfologico, con risultati funzionali
ed estetici.
Il 95% della nostra attività non può essere fatta senza cambiamento morfologico del volto. Ad
esempio in un K del labbro inferiore, questo prevede la rimozione totale del labbro inferiore, il
quale va quindi ricostruito [mostra img di una signora che ha subito questo intervento].
Poi c’è l’ultimo capitolo, la grande chirurgia orale: es. denti del giudizio profondamente infossati,
cisti dei mascellari etc., in collaborazione con i chirurghi orali.
Altri sottocapitoli (che non faremo a lezione, perché faremo solo quei grandi tre):
- Apnee ostruttive del sonno;
- Malformazioni craniche (che operiamo assieme ai neurochirurghi);
- Malformazioni es. di Treacher Collins etc. che sono nicchie affascinanti ma più
specialistiche.
La chirurgia maxillo-facciale è una branca interdisciplinare: si avvale per esempio di tecniche (le
quali si amplieranno in futuro) per la rigenerazione dell’osso (questo viene già fatto a Bologna,
centro molto avanzato e tecnologico, guidato dal direttore Professor Marchetti) attraverso cellule
staminali e mesenchimali, cioè: si prendono le cellule staminali, si selezionano e da esse si fa
rinascere l’osso.
Il chirurgo maxillo-facciale è l’ortopedico della faccia, e vorrei ampliare anche qui da noi l’idea
della ricerca nel settore, come ad esempio insieme ai genetisti creare linee di cellule staminali,
trovare degli scaffolds -contenitori tridimensionali grazie a stampanti 3D, mettere assieme le
staminali alla matrice (es. in osso idrossiapatite) e creare l’osso, grazie anche ai vari GFs (es. BGF
=bone growth factor).
Abbiamo ad esempio creato dei “buchi” nel cranio del maialino, riempiendone alcuni con PRP
(fattori di derivazioni piastrinica), altri con GF, altri con idrossiapatite; si dimostrò così la ricrescita
ossea. Non si è riusciti invece ancora oggi a produrre un’intera mandibola neoformata.
Gli scaffolds sono fondamentali anche nella chirurgia vascolare (nomina il Sant’Orsola di Bologna),
si producono ormai protesi aortiche personalizzate attraverso una TC 3D, con tecnica di
produzione non più standard ma “telomen” [non trovo nulla su internet, magari voi sapete cosa
sia]. Siccome ancora non siamo abbastanza bravi da sostituire i grandi frammenti scheletrici, sono
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necessari attualmente i trapianti: ad es. il perone, insieme ad arteria e vena, viene trapiantato
[img: sarcoma di Ewing] al posto della mandibola ed allungato attraverso tecniche di
“osteodistrazione” così da porvi impianti al suo interno.
Se l’osso non è indicato al trapianto, oggi i grandi chirurghi plastici (tra cui a