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APPUNTI SOCIOLOGIA DELLA MODA – SECONDA PARTE
Le quattro tesi sulla moda – Emanuela Mora.
In un caso e nell'altro gli abiti sono fondamentali strumenti di relazione, negoziazione e
affermazione delle persone nella loro vita quotidiana. Fred Davis sosteneva che gli abiti possono sì
comunicare, ma raramente ci consentono di ingaggiare una conversazione, come facciamo invece
con il linguaggio verbale.
Il codice dell'abbigliamento, così come il linguaggio verbale, è caratterizzato da una struttura duale:
una dimensione sistemica, collettiva, istituzionale, comunque la vogliamo chiamare, che prescrive
modelli e valori di conformità e una dimensione individuale, quella dell'uso concreto che ciascuno di
noi fa dell'abbigliamento.
Tutti gli usi sono usi personali che alterano le prescrizioni formali del codice dell'abbigliamento
collettivamente condiviso e che corrispondono all'intenzione di comunicare la propria presa di
distanza da esso, seppure senza porsi in aperta contrapposizione.
Prima tesi: la moda è un’industria culturale.
L’industria: è la produzione in serie di beni di consumo allo scopo di fare profitto.
Produzione in serie: vuol dire che definito un certo oggetto da produrre si produce in continuità.
L’industria banalmente produce immaginandosi un certo numero di prodotti che venderà.
Cultura: è tutto ciò che sostituisce l’insieme di norme e valori che governano la nostra società.
Industria culturale vuol dire produrre cultura in serie per vendere, stiamo parlando di un modo di
creare cultura creato sul modello dell’industria di beni di consumo.
Quali sono i più importanti prodotti della cultura italiana?
Ad esempio, la Gioconda, la Divina Commedia ecc. Quando Dante stava scrivendo sicuramente
pensava a Petrarca, a poeti che avrebbero potuto leggere, i destinatari sono pochi, non più di 20, lui
scrive in un quaderno, non c’è la produzione in serie dell’oggetto culturale. È un prodotto unico
pensato per pochi. Quando oggi un’autore scrive un libro lo scrive per un pubblico generico poiché
poi il libro viene stampato in serie grazie alla stampa.
In Italia oggi si sente definire la moda come un’industria culturale, ma per tanto tempo in Italia la
moda è stata capita e trattata solo in categoria di Made in Italy, questa categoria è relativa alla
realizzazione di profitto, queste insistenti aziende hanno raggiunto livelli di vertice in certi ambiti
della moda tanto che sono riconosciute a livello globale.
In Italia si è sempre pensato all’abbigliamento come qualcosa legato sempre alla qualità dei materiali
e dell’artigianalità, trascurando il lato culturale e subculturale dell’abbigliamento, ovvero quello che
le persone vogliono trasmettere in un dialogo con gli altri. Non a caso in Italia è stato un processo
lunghissimo avere dei musei della moda, in Italia ci sono musei del costume, poiché gli abiti sono
sempre stati concepiti come patrimonio culturale utili per la ricostruzione storica dei secoli passati
(Musei di costume), limitandosi ad essere archivi storici. Nei paesi anglosassoni si sono sviluppati
musei non solo pensati come archivi storici ma anche come musei etnografici del sistema della
moda.
Industria culturale è un’espressione che è stata creata da dei signori che erano i filosofi e sociologi
della scuola di Francoforte, erano un gruppo di tedeschi che dovettero scappare e fuggire in
America, trovandosi in un nuovo mondo, trovano la produzione industriale di musica, di notizie e di
cultura.
In questo contesto è meglio non parlare di cultura di massa, ma è cultura prodotta per la gente da
un sistema industriale.
L’industria culturale ha alcune esigenze che sono atipiche, per poter funzionare ha bisogno di
standardizzare i propri prodotti, significa che tutti ricevono gli stessi input.
La standardizzazione, se tu vuoi vendere i tuoi prodotti a tanta gente, devi scendere e allinearti con
tutti coloro che vogliono comprare.
I generi dei film sono delle forme di standardizzazione dei prodotti, perché è funzionale alla vendita
in serie alla grande massa.
Cosa significa Industria culturale:
a) L’industria culturale nasce quando, con lo sviluppo delle tecnologie dei media (fotografia,
registrazione dei suoni, radio, tv), i prodotti culturali (Musica, letteratura, arte) cominciano
ad essere realizzati in serie.
b) Grazie al sistema dei Media il Profitto ha conquistato il territorio della cultura e vi ha imposto
le leggi della standardizzazione e della bassa qualità, sottraendolo al principio della libertà
creativa e disinteressata.
c) La standardizzazione dei prodotti provoca ed esige una omologazione del pubblico: il
consumatore non è un interlocutore dell’industria culturale, ma un suo prodotto.
L’industria culturale ha bisogno dei target di pubblico a cui riferirsi.
I media attraverso i loro prodotti raccolgono un pubblico vasto e targettizzato e le vendo ai
pubblicitari.
La visione dei francofortesi era pessimistica, dopo la Seconda guerra mondiale ci si è resi conto che
erano un po’ estremi.
L’industria culturale è un’industria ma che deve fare i conti con il consumatore.
Nella moda la produzione di nuovi contenuti è molto simile a come funziona anche negli altri campi
dell’arte, ovvero funzionano a imbuto, cioè sono industrie basate su una progressiva selezione di un
numero sempre più ristretto di proposte. Mentre l’industria manufatturiera si basa
sull’identificazione dei bisogni della gente e su questa base pianifica la produzione che in funzione
deve dare delle risposte ai bisogni della gente.
L’industria culturale invece non sa quali sono i bisogni della gente, non sa predirli, perché non ci
sono bisogni nell’industria culturale.
Industrie culturali=industrie ibride, basate sull’intreccio di due componenti fra loro contradditorie:
• Processo creativo (produzione di cultura)
• Processo industriale (manifattura).
Seconda tesi: Distinzione e comunicazione non sono in alternativa
- Distinzione (Tarde e Simmel): la moda ha una funzione principalmente distintiva per coloro che
ritengono che vestirsi secondo le tendenze serva a manifestare la propria appartenenza ad una
classe privilegiata.
- Comunicazione (Baudrillard e Crane): la moda ha una funzione principalmente espressivo-
comunicativa per coloro che ritengono che vestirsi secondo le tendenze serva a interagire di volta in
volta nella maniera più desiderabile con gli interlocutori della vita quotidiana.
Il Titolo: “Distinzione e comunicazione non sono in alternativa”, cosa dice?
La tesi di Mora è: “nonostante i sociologi che parlano della moda parlino di comunicazione in
opposizione alla moda come distinzione sociale, non è vero che la moda è l’una o l’altra cosa, la
moda è nel tempo stesso strumento di distinzione e strumento di comunicazione”.
Nel capitolo Mora evidenzia due ragioni (fattori storico-sociali) che secondo lei hanno portato gli
studiosi della moda a cambiare paradigma (dalla distinzione alla comunicazione):
• L’industria della moda ha gradualmente inglobato tratti culturali e sub-culturali, cioè aspetti,
elementi che contraddistinguono una certa cultura o sub-cultura (gli abiti di Worth si
distinguevano per la ricchezza di tessuti e decorazioni; l’abito di Versace può distinguersi
perché usa le spille da balia, rinvia alla subcultura Punk; gli stilisti hanno iniziato a produrre
blue jeans, che fino a quel momento erano inaudite, producendo i jeans la moda si è
avvicinata alle subculture giovanili, inglobando i tratti culturali). La moda non è qualcosa di
avulso dalla società ma interpreta i nostri gusti e li mette a disposizione del consumatore
(strumenti per interpretare sé stessi nel palcoscenico). Se la moda inizia a fare queste cose
come con i jeans, risultano difficili da vedere come strumento di distinzione sociale ma
anche come strumento di comunicazione.
• La seconda ragione del cambiamento è che sono mutate (non scomparse) le forme
dell’appartenenza sociale (sono diventate negoziabili). Si passa ad una società in cui
ciascuno costruisce la propria vita in maniera più flessibile, dinamica e indipendente dalla
classe di appartenenza. Il tipo di gabbia che la tua nascita ti impone è meno rigida (se nasco
figlio di avvocato o di un operaio).
In ogni cultura c’è una cultura dominante (la lingua italiana in Italia ad esempio), in tutte le società
però ci sono anche sub-culture, caratteristiche di sottogruppi della società (i dialetti), in ogni città si
parla un dialetto diverso e questo parlare diverso è un elemento estraneo.
La socializzazione all’abbigliamento non è verticale (classe sociale) ma è orizzontale (coetanei), non
è quindi strumento di distinzione sociale ma uno strumento per una convivenza normale con i miei
coetanei, che non sono delle stesse classi sociali.
La tesi di Mora è che sì il passaggio da distinzione a comunicazione c’è stato ma non dobbiamo
cadere nell’ idea semplicistica che il passaggio è stato una sostituzione, oggi la moda è un fenomeno
in cui distinzione e comunicazione convergono per determinare le scelte vestimentarie.
La moda segue infatti le dinamiche di classe
Ad esempio, gli immigrati di seconda generazione, cioè figli degli immigrati in Italia da paesi
extracomunitari, che in Italia sono in una classe sociale svantaggiata, conducono la vita da classe
subordinata, svolgono tipici lavori subordinati, i figli vanno a scuola e si trovano in classe con ragazzi
di classe media o borghese, questi bambini hanno l’iPhone 14 che costa mille euro. Le famiglie dei
ragazzi immigrati delle volte fanno sacrifici enormi per poter comprare lo smartphone da mettere in
tasca perché se non hai l’iPhone più recente resti tagliato fuori.
Questo significa che c’è ancora un fenomeno di inseguimento delle classi inferiori nei confronti di
quelle superiori. Non basta che abbia scarpe ai piedi, devo avere le scarpe della classe media, che
sono di moda; per fare questo, essendo un consumo che va oltre la mia classe sociale, sono
disposto a fare sacrifici. Quindi però c’è anche la fuga delle classi superiori rispetto a quelle inferiori,
la fuga dell’élite non passa oggi attraverso l’ostentazione e lo sciupio, passa attraverso esperienze di
nicchia basate sul piano culturale piuttosto che sul prezzo.
Le esperienze di nicchia sono esperienze come indossare una borsa che costa poco ma comprata in
Polinesia Francese, oppure in un paesino dell’Abruzzo; quello che qualifica la distinzione soc