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SPAZI SCONFINATI
L'immaginario americano si fonda sullo spazio. A differenza dell'Europa il nuovo continente trasforma continuamente il tempo in spazio producendo identità apparentemente centrate sull'orizzontalità del presente, e ancora di più sulla produzione di futuro, piuttosto che sulla verticalità del passato. Così in America lo spazio dà l'impressione di essere l'unico parametro per leggere l'intera cultura e interpretarne i suoi prodotti.
La cultura americana sembra essere tutto e il contrario di tutto, progressiva e reazionaria, pacifista e imperialista, libertaria e autoritaria, consumista e puritana. Il problema è che, se è vero che la cultura americana si fonda sullo spazio, in realtà si poggia su due differenti e spesso contraddittorie rappresentazioni di esso: l'indole chiusa, quella della fondazione puritana dei padri pellegrini, si intreccia infatti all'inizio
dell'800 con l'identità aperta degli uomini della frontiera, producendo un immaginario inconfondibile e riconoscibile da chiunque solo guardando un film o sfogliando le pagine di un fumetto. Essopermea la politica, le relazioni sociali, lo sviluppo dei media, l'urbanistica, l'architettura, l'economia. Persino le nuove tecnologie, il mondo del web, soprattutto dopo la fine della frontiera storica propriamente detta, sembrano rispondere, in America, a due istanze originarie contrapposte: da una parte, la ricerca di nuovi spazi che assicurino una libertà infinita di movimento e la risoluzione di ogni tipo di conflitto; dall'altra, il controllo, la limitazione, la catalogazione ossessiva delle dimensioni spaziali esistenti e dei loro oggetti, attraverso la creazione di mega archivi e database. Una prima obiezione è che l'America sia anche il mondo delle minoranze etniche e religiose, delle culture alternative e/o "sottomesse" che spessone sono anche il motore creativo. Manemmeno le controculture qui riescono a sfuggire alla forza diattrazione di un immaginario basato sull'intreccio trapuritanesimo e frontiera.C'è poi una seconda obiezione, quasi automatica: e cioè chel'immaginario americano sia in realtà una costruzione "ideologica"edificata da alcune élite economico-culturali allo scopo dicontrollare le masse e perpetuare il loro dominio sul popoloamericano e, per estensione, sul mondo. La tesi è che nella Storiaamericana qualsiasi costruzione metaforica o ideologica non derivisolo dai contingenti disegni di potere delle varie élite che sisusseguono (che ovviamente esistono), ma abbia le sue radici inquella contraddizione originaria che fonda la specificitàdell'identità americana: l'incontro-scontro tra puritanesimo efrontiera. È proprio la potenza di questo motore simbolico che fapercepire gli Stati Uniti come unPaese fortemente ideologizzato. Ciò che qui definiremo come immaginario americano è l'incessante tentativo, attraverso metafore spaziali, di negare e/o risolvere questo nucleo conflittuale fondativo. Se il sogno americano è possibile per tutti, allora non può essere ideologico, nel senso di "falso", di espediente delle classi dominanti per contenere la massa informe. Deve essere condiviso e "accettato", altrimenti non funziona. Del resto che in America tutto fosse più complesso, lo ammetteva lo stesso Marx quando notava che la lotta di classe nel nuovo mondo era resa oggettivamente difficile proprio dall'abbondanza di spazio che consentiva di evitare lo scontro e l'odio tra le classi. Uno spazio non simbolico o frutto di una costruzione ideologica ma fisico, effettivamente esistente. Una frontiera in cui sogni, utopie, desideri, identità sembravano materializzarsi senza dover ricorrere a compromessi o conflitti. QuestaÈ la ragione per cui, mentre per gli europei l'immaginario è uno spazio autonomo, immateriale dove si può fuggire o attraverso il quale cercare una mediazione simbolica con l'istituzione, uno "spazio di liberazione dal senso, o almeno un momento di alleggerimento rispetto al potere, alla costrizione dei rapporti sociali", per gli americani è una forza che deve proiettarsi sempre su uno spazio reale, materiale, sia per produrne di altro, sia per controllarlo. Ma cos'è e come opera questo immaginario? È un elemento funzionale ancora oggi, in piena network society, al dispiegamento dei processi culturali? L'immaginario funziona essenzialmente come un grande sistema comunicativo che, attraverso una strumentazione metaforica e allegorica, e un utilizzo del più svariato ventaglio di linguaggi, dà forma (attraverso i media) alle strutture culturali profonde e funge da mediazione tra queste ultime, gli individui e le.trasformazioni storiche (contribuendo contemporaneamente ad esse). Sono tali strutture (che qui chiameremo semplicemente archetipi) legate ad una opposta visione dello spazio, che fondano la specificità dell'immaginario americano e lo rendono differente dagli altri. Due archetipi antitetici in quanto si basano su due irriducibili necessità in contraddizione tra loro: la prima, derivante dalla cultura della frontiera, postula che lo spazio è l'unico strumento di risoluzione dei conflitti e quindi non può mai finire, va continuamente conquistato o reinventato; la seconda invece, figlia della cultura puritana, vede nello spazio vuoto la fonte del Male e dunque opera ossessivamente per controllarlo, catalogarlo, misurarlo.
La tesi centrale di questo lavoro è che l'immaginario americano del Novecento, quello che ha dato forma alla cultura nazionale degli Stati Uniti e ha influenzato tutte le altre culture della Terra, si sviluppi solo con la fine della frontiera,
Allorché una porzione di esso va alla ricerca di nuove dimensioni spaziali, mentre l'altra si impegna ossessivamente a mettere sotto controllo lo spazio rimasto. Nella prima parte del libro si racconta di come il puritanesimo dimatrice inglese, una volta trovatosi di fronte agli spazi vuoti del nuovo continente, in qualche modo si "americanizzi" e produca un sentimento religioso specifico capace di influire potentemente sulla maniera in cui gli americani rappresentano e organizzano lo spazio soprattutto utilizzando e rifunzionalizzando le metafore della distinzione, della catalogazione, dell'assedio, della riconsacrazione e del ritorno a casa.
La seconda parte, invece, ha come obiettivo mostrare come l'esaurimento della frontiera storica (l'altro archetipo fondamentale, insieme al puritanesimo, della cultura americana), avvenuto alla fine dell'Ottocento, produca, nel secolo successivo, un immaginario ossessivamente proteso alla ricerca di nuove dimensioni.
età dei pionieri, e dall'altra parte, la possibilità di creare nuove realtà spaziali alternative utilizzando tutti i mezzi a disposizione: politica, urbanistica, architettura, tecnologie, industria culturale; addirittura assorbendo dentro di sé le strutture mentali del puritanesimo che, precedentemente, erano considerate come nemiche. Ecco perché, in senso stretto, si può parlare di un vero e proprio immaginario americano di massa solo a partire dal XX sec., quando la frontiera storica finisce e nascono le grandi aree metropolitane. Sono proprio le strutture culturali profonde che si impadroniscono della nuova tecnologia o addirittura la producono? In America sembrerebbe funzionare quest'ultima opzione in quanto sono proprio gli archetipi originari dell'immaginario che provocano la necessità di continui cambi di paradigma tecnologico. L'invenzione tecnologica e mediale, creando nuove dimensioni spaziali vergini, offre all'America, da una parte, l'impressione di tornare all'età dell'oro originaria, allafrontiera storica, terra dell'abbondanza dove i conflitti non esplodevano perché c'era abbastanza spazio per tutti, dove regnava l'uguaglianza delle condizioni, dove uomini probi si erano uniti volontariamente per creare le istituzioni più perfette dell'umanità; ma dall'altra, è anche fonte di paura e ansia, in quanto l'archetipo puritano sviluppa, da sempre, una percezione diabolica degli spazi vuoti.
PARTE I – Spazi chiusi: l'immaginario puritano in America
Da Robinson a Walden: l'eccezionalità del puritanesimo americano
Nel gennaio del 1961, dopo aver conquistato la Casa Bianca, il presidente John Fitzgerald Kennedy pronuncia un discorso di portata storica: "bisogna cambiare rotta, è tempo di destarsi, di stare all'erta e dimostrare vigore, di non pestare più le stesse tracce. Noi stiamo perdendo quello spirito di iniziativa e di indipendenza che fu dei padri pellegrini e dei pionieri".
Il primo presidente cattolico della storia americana aveva ben chiare le due matrici culturali poste a sorreggere la nazione: non semplicemente i pistoleri del cinema Western che sono nella mente degli occidentali ma anche i padri pellegrini e i pionieri, i santi e i coloni. È celebre la posizione di Frederick J. Turner che considera la frontiera come il fondamento dello spirito americano, posizione che appare a tutt'oggi decisamente maggioritaria. Secondo molti degli interpreti del puritanesimo, tuttavia, essa in realtà non spiega tutto. Due sono le posizioni più rappresentative di tale schieramento: il primo punto di vista, il più estremo, è quello di Sacvan Bercovitch secondo il quale lo spirito puritano rende possibile e forgia lo stesso spirito della frontiera. Anche il Canada, osserva lo studioso, è caratterizzato da spazio immenso, da coloni idealisti che aspirano a ricominciare da capo, ma non dà luogo a qualcosa di simile agli Stati Uniti.perché? Perché il Canada è un paese senza una mitologia e mancando di questa, come l'uomo di frontiera canadese poteva vedere che il libero territorio era un testo sacro? È chiaro che questa posizione porta Bercovitch se non a negare un'autonomia antropologica dello yankee, almeno a ridimensionarla all'interno di una costruzione identitaria di lunga durata dominata però dalla radice puritana. Diversi anni prima di Bercovitch la questione era stata risolta in un modo un po' diverso da Perry Miller: egli sviluppò un'idea che potrebbe essere considerata una naturale via di mediazione tra le due posizioni estreme appena descritte, quella di un'America della frontiera e di un'America puritana. Secondo Miller i fuoriusciti che si rifugiano nel nuovo mondo rappresentano un.