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ULTIMI CENNI SUGLI ORIGINI DELL’ORGANIZZAZIONE AZIENDALE
Appunti non ufficiali del corso ORGANIZZAZIONE AZIENDALE tenuto dal prof GABRIELE MORANDIN distribuiti gratuitamente Dario Cannata
Tornando all’inizio del 1900, un importante figura che entra nella scena è Elton Mayo, che da vita al
movimento delle relazioni umane. Non studiò management ma medicina. Non riuscendo a superare gli
esami del secondo anno di università, la famiglia lo manda a studiare all’estero. Va in Inghilterra, ma
fallendo anche qui, viene “spedito” in Africa a lavorare in miniera. Si ammala, torna in Australia, si laurea e
comincia la carriera accademica, fino ad essere chiamato ad Harvard. All’epoca dominavano le idee di
Taylor. Cominciò a studiare la fatica in relazione ai periodi di riposo per massimizzare la produttività.
Conduce i primi esperimenti tra il 1923 al 1932 presso la Western Electric di Hawthorne, e ben presto
sceglie di focalizzarsi più sulle variabili sociali che su quelle tecniche. Perché?
Dal 1923 al 1927 studia l’impatto dell’illuminazione sulla produttività dei lavoratori, chiedendosi se fosse
meglio la luce calda o quella fredda, o se risultasse più funzionale una luce intensa o fioca. Gli esperimenti
vengono condotti secondo rigore metodologico scientifico: parteciparono due gruppi distinti (stanza
sperimentale e stanza di controllo), i mutamenti furono introdotti uno alla volta e tutte le altre condizioni
erano tenute sotto controllo.
I risultati lasciavano perplessi, perché, quando l'illuminazione veniva migliorata solo nella stanza
dell’esperimento, si registrava un aumento di produttività. Ma, allo stesso tempo, si registravano aumenti
di produttività anche nella stanza di controllo.
Sia facendo variare le condizioni che mantenendole costanti, la produttività aumentava. Furono
sperimentate altre situazioni, ma tutto conduceva a risultati incomprensibili. Chiesero allora direttamente
ai lavoratori, che risposero che erano così compiaciuti di essere stati scelti per l’esperimento che avevano
cercato con tutte le loro forze di soddisfare i ricercatori e l’impresa per dimostrare le loro abilità (effetto
Hawthorne). L’aumento di produttività fu quindi attribuito all’attenzione dimostrata ai lavoratori.
Questo risultato alcune ebbe rilevanti implicazioni, sia:
metodologiche: consapevolezza che l’atto di osservazione in sé stesso può influenzare il
comportamento;
manageriali: l’attenzione, la comunicazione e l’interazione con i lavoratori poteva portare a
maggior produttività.
Mayo, partendo dalle stesse premesse di Taylor, arriva ad una conclusione diversa: non è la luce in sé che fa
la differenza, ma sono le variabili sociali.
Avvia una seconda fase, che dura dal ‘27 al ‘31. Si invitarono 6 donne a lavorare alla presenza di un
osservatore (che non ricopriva il ruolo di supervisore). Mayo apportò frequenti cambiamenti alle condizioni
lavorative e lo fece discutendo e spiegando i cambiamenti. Poi, i ricercatori selezionarono 2 delle 6 donne e
le invitarono a scegliere altre 4 ragazze. Questo nuovo insieme di persone venne quindi invitato a lavorare
su alcune attività in condizioni decisamente più svantaggiose rispetto alle precedenti. Ciononostante, la
massima produttività fu registrata in questa seconda situazione.
Perché? Perché tornando ad essere protagonisti del proprio lavoro, gli individui si trasformano in gruppo,
che interagisce e comunica, coopera, partecipa liberamente senza essere sottoposto a comando o a
limitazioni. In autonomia, si crea un’organizzazione informale, che va oltre quella formale aziendale (le
ragazze cominciarono a frequentarsi anche al di fuori dell’orario di lavoro).
Appunti non ufficiali del corso ORGANIZZAZIONE AZIENDALE tenuto dal prof GABRIELE MORANDIN distribuiti gratuitamente Dario Cannata
Nell’ultima fase, dal ’31 al ’32, Mayo si sofferma sugli esperimenti della “bank wiring observation room”.
Selezionando 14 lavoratori, chiese loro di lavorare su un task che richiedeva il lavoro congiunto di più
specialisti. Il focus dell’esperimento era sulle dinamiche di gruppo. L’osservazione avvenne in modo meno
intrusivo dei precedenti: ci si allontana volutamente dall’”effetto Hawthorne” (quello del primo
esperimento, dove i lavoratori si erano impegnati perché oggetto della ricerca), isolandosi e analizzando le
dinamiche del gruppo in sé. I ricercatori scoprirono che il gruppo, dopo una prima fase di interazione,
limitava l’output a un modello predeterminato: il trend di crescita della produttività, raggiunto un certo
livello, si arrestava, assestandosi in maniera costante. I ricercatori si resero conto che non erano le capacità
fisiologiche a determinare il rendimento, ma le norme sociali: il gruppo, nel suo insieme, si aggiustava
sviluppando (anche inconsapevolmente) una norma sociale riguardo l’output del gruppo, settando la
qualità produttiva.
Da qui deriva una maggiore considerazione data agli elementi emotivi, affettivi, al bisogno di sicurezza e di
appartenenza, alle motivazioni: tutti concetti oggi dati per scontati.
Sono quindi due le grandi scuole di pensiero:
da un lato il taylorismo con il focus sulle variabili tecniche;
dall’altro la scuola delle human relations, con il focus sulle variabili sociali.
Facendo interagire queste due linee di pensiero nascono i sistemi socio-tecnici, per mezzo dei quali le
organizzazioni devono essere riviste attraverso una duplice lente che pone in compresenza le due
dimensioni.
TOPIC 1. INTRODUZIONE: brevi cenni teorici
Le risorse umane sono il fattore chiave per la costruzione del vantaggio competitivo. La sopravvivenza e il
successo delle aziende sono legati sia all’efficienza dei processi sia alla capacità di innovare il prodotto e il
servizio sia, in ultima analisi, alla qualità della risorsa umana intesa come qualità e livello delle competenze
e della motivazione delle persone.
Modelli improntati alla flessibilità e alla velocità di reazione costruiscono l’eccellenza del risultato
attraverso l’empowerment dei singoli individui e dei team e garantiscono l’engagement delle persone
massimizzandone il livello di coerenza (o fit) persona-organizzazione. La coerenza (o fit) rappresenta la
sintonia tra le caratteristiche individuali (personalità, valori, competenze e obiettivi) e le caratteristiche
dell’organizzazione a livello di contenuti e sfide del lavoro, di competenze di ruolo e opportunità di crescita.
Livelli di coerenza interna persona-organizzazione più elevati si traducono in livelli di engagement superiori
e ciò impatta sul commitment (o impegno), sulla soddisfazione e sul valore aggiunto generato.
I concetti di personalità e di valore, seppur diversi, si riferiscono a caratteristiche individuali relativamente
stabili in grado di influenzare il livello e la qualità della prestazione. Entrambe le dimensioni definiscono il
livello di fit persona-organizzazione.
IL COMPORTAMENTO INDIVIDUALE
Appunti non ufficiali del corso ORGANIZZAZIONE AZIENDALE tenuto dal prof GABRIELE MORANDIN distribuiti gratuitamente Dario Cannata
Il concetto di prestazione è mutato nel tempo, spostando progressivamente l’attenzione dal job (ovvero
dalla mansione e dai compiti) al ruolo (ovvero le aspettative di comportamento e di risultato). Le
determinanti della prestazione, inizialmente identificate nelle caratteristiche dell’individuo e nella
situazione contingente, poi nel sistema di competenze e motivazioni, sono oggi rintracciate anche in
caratteristiche psicologiche (ad es. personalità, valori, identità, percezione) e in processi di natura
psicologica (ad es. apprendimento gestione dello stress, coping, modulazione degli stati emotivi) nonché
nella percezione che l’individuo ha del ruolo che ricopre.
La situazione intesa come insieme di fattori esterni è una delle determinanti e modera la relazione tra le
caratteristiche e i processi individuali e la qualità del livello della prestazione.
LE DETERMINANTI DEL COMPORTAMENTO INDIVIDUALE
Il livello della prestazione e della soddisfazione per il lavoro svolto in un certo ruolo sono determinati da
quattro dimensioni:
Caratteristiche individuali:
o Personalità, valori, identità;
o Percezione;
o Emozioni e stress.
Variabili individuali:
o Motivazione;
o Competenze;
o Processi di decisione;
o Apprendimento;
o Gestione dello stress (o strategie di coping) e degli stati emotivi;
Percezione di ruolo;
Fattori situazionali.
MOTIVAZIONE
La motivazione è data dall’insieme di forze che determinano la direzione, l’intensità e la persistenza di
qualsivoglia comportamento consapevole o volontario. La direzione definisce l’orientamento del
comportamento, l’intensità descrive la qualità dell’impegno e la persistenza riguarda la durata nel tempo
del comportamento. La motivazione è un fattore psicologico e può essere misurata osservando
comportamenti e risultati.
COMPETENZE
La competenza è una caratteristica psicologica causalmente collegata a una prestazione efficace o
superiore in un ruolo misurata sulla base di un criterio prestabilito. Si organizza su più dimensioni:
Attitudini: insieme delle caratteristiche (geneticamente determinate) dell’individuo riconducibili al
concetto di talento naturale non tradotto in capacità attraverso l’azione ripetuta e affinata nel
tempo;
Capacità: possibilità di svolgere intenzionalmente e con efficacia un compito;
Abilità: componente modificabile della competenza, vengono apprese e rafforzate attraverso
l’utilizzo e possono essere di natura cognitiva (conoscenze, modelli, pensieri), fisica ed emotiva.
Appunti non ufficiali del corso ORGANIZZAZIONE AZIENDALE tenuto dal prof GABRIELE MORANDIN distribuiti gratuitamente Dario Cannata
La manifestazione concreta delle competenze è il comportamento intenzionale e ripetibile e i risultati che
attraverso quest’ultimo vengono conseguiti nel contesto specifico e in un ruolo specifico.
Nelle organizzazione la competenza ha una duplice declinazione:
Accezione individuale-psicologica: caratteristica individuale che determina la qualità e il livello
della prestazione nel ruolo;
Accezione strategico-organizzativa: attributo dell’organizzazione su cui si fonda la possibilità
concreta per quest’ultima di realizzare la propria strategia di business nel rispetto delle aspettative
e degli interessi di tutti gli stakeholder coinvolti. L’organizzazione viene considerata come un
portafoglio di competenze e la fonte del vantaggio competitivo è la