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COLLUSIONI
Nella filiazione adottiva il legame giuridico è stabilito in assenza del presupposto
di procreazione e nascita, ed è sancito tramite l’intervento esterno dell’istituzione
che riconosce lo status di figli e di genitori. Si pone allora il problema del
riconoscimento di un’identità all’interno di un gruppo di appartenenza (o filiazione
istituita), come insieme organizzato di rapporti stabilito tra gli individui, rete in cui
ogni soggetto si trova ad essere situato e riconosciuto. Così, come il problema della
filiazione adottiva riguarda il riconoscimento di un’identità sociale da parte di
un’istituzione, anche lo psicologo clinico all’interno dei servizi si trova a fare i conti
con il riconoscimento della propria identità professionale e culturale da parte
dell’ente che lo legittima emotivamente e socialmente.
Kaes mostra, come, in ogni romanzo istituzionale nell’affiliazione o appartenenza
ad un gruppo-istituzione, si giochi qualcosa della filiazione: un’origine culturale,
genealogica, immaginaria, simbolica. La filiazione si inscrive in un inter-
che comporta una doppia catena significante per il soggetto e
transgenerazionale
per l’insieme sociale in cui l’individuo è inserito . Egli mostra una serie di alleanze
inconsce che precedono l’avvento e la nascita di un soggetto all’interno di un
legame sociale, organizzate sia in positivo su desideri e investimenti reciproci, sia in
negativo, su rifiuti ed emozioni.
Nella filiazione permangono aspetti rimossi e negati perché si suppone
che mettano in pericolo il legame. Essa si inscrive nel negativo quando
trasmette una sorta di missione ancestrale, come per esempio i desideri irrealizzati
dei genitori. Allora tutto ciò che si trasmette manca di elaborazione psichica, ciò che
non è stato elaborato in termini di sofferenza e dunque passa senza trasformazione
tra generazioni.
La filiazione psichica invece è conoscenza quando comporta il riconoscimento del
soggetto della propria posizione nella catena delle generazioni a partire dal
non basta
riconoscimento del desiderio dei genitori sull’esistenza del bambino “
nascere in una famiglia ma bisogna nascere da una famiglia”.
A volte, per le famiglie e per i futuri figli, attraverso collusioni, si attua una vera e
propria negazione della storia precedente all’adozione: vengono
misconosciute diversità di origine, di sangue, di stirpe che, inelaborate, si
trasmettono come segreti, tabù, non detti, configurando nuovi legami fondati su
dimensioni impensabili. Il fantasma di un fallimento adottivo, nell’intervento di
consulenza, si può porre come minaccia che inibisce la possibilità di porsi
autenticamente al dialogo con l’altro in quanto ripropone, in ognuno dei
protagonisti, l’indicibile, l’impensabile.
I cambiamenti della normativa sono anche il riflesso di una diatriba culturale che
sottende una dimensione conflittuale fondata sull’opposizione antitetica: da un lato
il diritto delle persone ad adottare senza limitazione, dall’altro i diritti dei bambini
abbandonati ad essere accolti da una famiglia adeguata a rispondere ai loro bisogni.
Tali modelli culturali sottendono dimensioni simboliche, che possono
determinare complessi e profondi risvolti emotivi per tutti i protagonisti
implicati nel percorso, andando a costituirsi come elementi non pensabili lungo l’iter
dell’adozione.
Anche lo psicologo può misconoscere la propria identità professionale, definendola a
partire da ciò “che non è” (magistrato, avvocato, assistente sociale), piuttosto che
da ciò che è.
23 P ERCHÉ IL GRUPPO informazione,
L’uso del gruppo nella fase preadottiva assume i seguenti obiettivi:
valutazione, supporto e sostegno alla genitorialità. Si tratta di un intervento a
carattere preventivo, in quanto circoscritto ad una peculiare transizione, lo si può
dunque considerare un intervento di counsellling. Il gruppo non ha valore
pedagogico nel dispensare consigli, né terapeutico nel perseguire il cambiamento di
aspetti individuali o di coppia. Il gruppo si pone come obiettivi la conoscenza e la
trasformazione del significato dell’esperienza adottiva e delle sue rappresentazioni.
Funziona come uno spazio psichico comune, in cui si condividono esperienze e
significati, spazio in cui possono intervenire fattori trasformativi, come la
rappresentazione di un problema da più punti di vista, il riconoscere attraverso
l’altro aspetti di Sé inaccessibili (fattore terapeutici di Foulkes). Il gruppo di genitori
è un gruppo “omogeneo” rispetto alla funzione genitoriale e sarà compito dello
psicologo cercare di attivare un pensiero costante su tale funzione, sulle fantasie
implicite che lo accompagnano, sugli obiettivi che ci si pone, sulle strategie per
realizzarli. Il gruppo attraversa una serie di fasi orientative, che però sono
compresenti lungo tutto il lavoro id gruppo:
1. Origine e fondazione del gruppo: La fondazione del gruppo è anche il
momento dell’incontro fisico delle coppie che lo compongono, in cui ci si
presenta e si istituisce un contratto in cui lo psicologo definisce i tempi (circa
dieci incontri), le modalità del percorso, gli obiettivi del lavoro. Soprattutto nei
rabbia
primi incontri, le coppie provano molta verso l’istituzione che valuta
ingiustamente e non accoglie, proprio come la società che lascia i figli a
genitori incapaci e non sostiene coloro i quali li desiderano e li meriterebbero.
valenze persecutorie
Il clima iniziale è denso di che celano dinamiche più
profonde legate alla colpa e che possono assumere diverse configurazioni. È
importante anche il ruolo del gruppo, quale spazio di accoglienza per uscire da
una sorta di isolamento legato alla sensazione di essere gli unici ad aver
subito un danno naturale, consentendo di condividere ed alleggerire il peso
emotivo della colpa, della frustrazione e dell’impotenza legata all’incapacità
procreativa.
2. Appropriarsi di una storia e di un progetto attraverso la narrazione
gruppale: il gruppo esplora le storie legate alla scelta adottiva. Storie che
percorrono più livelli: individuale, di coppia, intergenerazionale, che possono
arricchirsi di nuovi significati nati dalla nuova storia comune che il gruppo
riscrive. Tale storia potrebbe cominciare con un’elencazione di eventi senza
causalità e andare a costruirsi poi come una trama, una narrazione, in cui
diventano evidenti i nessi emotivi delle esperienze che prendono forma in un
divenire dialettico delle relazioni e dei contesti. Il gruppo può essere utile
strumento alla costruzione narrativa, in quanto consente di integrare gli
aspetti contraddittori, incoerenti o mancanti. Diviene quindi più semplice
accedere agli aspetti indicibili, come la sterilità, le rotture con le famiglie di
origine, la propria storia personale e transgenerazionale. Alcuni autori hanno
genogramma familiare
proposto il quale strumento che può consentire alle
coppie di costruire, attraverso una rappresentazione grafica, una mappa
relazionale intesa come cultura familiare specifica costituita dall’insieme dei
valori di riferimento. Tale mappa relazionale attraverso l’intrecciarsi di racconti
entro il gruppo, può trovare in significati condivisi una possibilità di
ricostruzione entro un’unica e nuova trama gruppale. Il pensare l’origine,
all’interno del gruppo, vorrà dire dare un adeguato spazio al tema della
“rivelazione” al bambino della propria origine, esplorandone preoccupazioni,
timori, fantasie legate all’abbandono, alle separazioni traumatiche;rendere
consapevole il bambino della sua origine adottiva è considerato il compito più
difficile che l’adozione richiede. Aleggia di frequente la fantasia di poter
ridurre ulteriori sofferenze al bambino attraverso un tentativo di
parziale rimozione della storia del bambino o immaginando genitori
biologici non abbandonici, ma costretti da altre cause o addirittura
defunti. Tali fantasie sottendono le difficoltà per i genitori di doversi
confrontare contemporaneamente con il lutto per il proprio fallimento
generativo, nonché con le proprie fantasie predatorie o persecutorie rispetto
Come, quando e con quali
ai genitori di origine. Una domanda frequente è: “
parole dovremo raccontare al nostro bambino la sua storia ?”. Nel lavoro di
gruppo, il racconto di ogni coppia potrà costituire uno spunto per le altre,
andandosi a intrecciare con altre immagini, metafore, possibili riletture
fantastiche dell’esperienza, consentendo così di arrivare a scrivere una
narrazione gruppale che lasci emergere i momenti di passaggio critici, gli
elementi più difficilmente pensabili e narrabili, le preoccupazioni e le ansie
sottese.
3. Sviluppo della capacità di accoglienza del nuovo, dell’altro, delle
differenze e dell’incertezza: nella fase successiva il gruppo tenderà ad
esplorare tematiche legate all’origine del bambino in quanto individuo e come
individuo inscritto nei suoi diversi gruppi sociali (la sua identità, il suo nome, il
corpo, l’origine della famiglia). Si palesano aspetti difensivi attraverso
cui vengono affrontati temi della diversità e delle differenze. Tali
negazioni possono esprimersi sotto forma di negazione (un figlio naturale è
uguale ad un figlio adottivo) o di idealizzazione dell’esperienza (basterà il
nostro amore per affrontare ogni difficoltà). Si esploreranno le
rappresentazioni del bambino, tra un’immagine ideale di figlio sano e perfetto,
senza storia e con un’identità da plasmare e un’immagine sfocata in cui lo
spazio dell’altro è indefinito. E se compaiono aspetti mostruosi (sofferenza,
malattia, abbandono) si sbiadiscono attraverso atteggiamenti di falsa
accettazione e incondizionata disponibilità. Solo assumendo le componenti
emotive dell’incertezza, della transizione si potrà fare spazio ad
un’immagine più reale del bambino. Lo psicologo non dovrà essere
guidato da categorie precostituite, ma tollerare in primis egli stesso
l’incertezza dell’intervento, la pluralità dei valori e delle identità, accogliendo
le coppie reali nei limiti e nelle risorse.
4. Conclusione dell’esperienza. Dalla valutazione alla co-costruzione di
un pensiero sulla scelta adottiva: La fine dell’esperienza con i tempi già
istituzionalizzati definiti porta il gruppo a fare i conti con la dimensione di tutti
i limiti presenti nel compito dell’adozione. Allo stess