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Estratto del documento

• Tra il secondo e terzo livello della pratica della regola, il bambino imita le norme apprese da

altri ritenendole immutabili seguendo il principio del realismo per cui ciò che è non può non

essere. L’origine delle regole è esterna al bambino ed esse sono inviolabili in virtù

dell’emanazione da parte di un’autorità, sono restii a modificarle

• Dai 10 anni la regola è considerata il prodotto di un accordo reciproco e va rispettata proprio

in virtù di tale accordo, può essere modificata se tutti sono d’accordo

Piaget ipotizza l’esistenza di due forme contrapposte di pensiero morale: il realismo morale e il

relativismo/soggettivismo morale. Avremo il passaggio da una fase premorale (fino ai 5 anni),

durante la quale il bambino non mostra interesse per le regole di natura etica, ad un realismo morale

(fino agli 8-10 anni) per cui è valida quella norma stabilita dall’autorità e comportarsi in modo giusto

significa seguire le norme, fino ad un soggettivismo morale per cui la morale non è più identificata

con un complesso di prescrizioni imposte dall’esterno ma è percepita come un’istanza interiore che

guida le azioni dell’individuo. 

Nel realismo morale ritroviamo l’eteronomia della morale il realismo morale deriva

dall’egocentrismo e dall’autorità degli adulti/autorità. Rispettare le regole è un comportamento

“buono”, la validità della norma aumenta se sono presenti delle sanzioni in caso di violazioni, gli

adulti sono infallibili, gli accadimenti non sono modificabili. Nella fase successiva le regole non

sono più immutabili, ma sono fondate sulla cooperazione e sulla reciprocità. Si assegna maggior

importanza alle intenzioni che sottendono l’agire e il bambino formula i propri giudizi morali in

relazione alle circostanze e al contesto, quindi abbiamo l’autonomia della morale, dove la morale

viene percepita come un’istanza interiore che guida le azioni dell’individuo, in relazione alla libera

scelta del bambino nel corso dello sviluppo si passa dall'ETERONOMIA all'AUTONOMIA: si

passa da una fase in cui si crede che le regole esistono perché le hanno messe gli altri a una fase in

cui si crede che le regole esistono perché l'ho deciso io. Questo vale anche per la morale (una cosa è

giusta perché lo ha detto qualcuno, l’origine della regola è collocata in una autorità).

Si passa dal REALISMO (non decido cosa è giusto o sbagliato ma una cosa è giusta o sbagliata in

sé) al SOGGETTIVISMO (decido io cosa è giusto e sbagliato).

La concezione di responsabilità

Piaget utilizza come metodo di ricerca quello clinico e proponeva ai bambini racconti e dilemmi sui

quali essi erano invitati ad elaborare le proprie riflessioni, riguardanti temi vicini alle esperienze dei

bambini quali la sbadataggine, il furto o la bugia.

Una delle storie raccontate da Piaget era quella sulla sbadataggine, in cui si chiedeva al bambino,

dopo avergli raccontato la relativa storia, quale dei due comportamenti fosse più accettabile, quello

in cui un danno fortuito dovuto a sbadataggine ha conseguenze gravi, oppure quello con

conseguenza lievi ma scaturito da una disobbedienza.

Per i più piccoli (fino a 7-8 anni) la gravità di un’azione è commisurata alla gravità del danno e

non la motivazione (responsabilità oggettiva). Uno dei concetti alla base del realismo morale è

quello dell’ordine naturale del mondo: tutto ciò che va a mettere disordine nell’equilibrio delle cose

è una cosa sbagliata.

Tra i 7 e i 10 anni coesistevano due tipi di risposte: per alcuni gli atti andavano valutati in funzione

del danno, per altri contava l’intenzione. Dopo i 10 anni prevale il principio che più sbagliata è

l’intenzione più è sbagliata l’azione (responsabilità soggettiva).

Un'altra storia analizzava il furto. Ai bambini veniva chiesto di giudicare un furto più alto fatto a fin

di bene o un furto lieve fatto senza motivazioni valide. Ancora una volta i bambini più piccoli

giudicavano più grave il furto alto, sebbene con buone motivazioni. La gravità del furto dipende da

cosa è stato rubato, dal suo valore (non si guarda alla cooperazione).

Per Piaget l’abilità di giudicare in base alla responsabilità soggettiva è il prodotto della cooperazione,

così come la responsabilità oggettiva è il prodotto della costrizione. L’elemento discriminante che

porta a modificare il giudizio di colpevolezza è dato dalla maturazione cognitiva che permette al

bambino di assumere una prospettiva diversa dalla sua.

Un alto dilemma analizzava la bugia, e si capì che i bambini più piccoli giudicavano la bugia grave

perché lontana dalla verità (la bugia più esagerata è quella che non ha un riscontro nella realtà), per

poi passare col pensare che chi dice bugie in realtà non conosce davvero la verità, fino a passare a

capire che la bugia è intenzionale.

La concezione di giustizia

Per indagare le idee dei bambini sulla giustizia, Piaget proponeva delle storie paradigmatiche per

attivare un conflitto cognitivo che li avrebbe spinti a trovare una soluzione.

Piaget riteneva che alle due forme di pensiero morale (realismo e soggettivismo) corrispondessero

due diverse concezioni di giustizia:

 La giustizia retributiva, che stabilisce una proporzione tra meriti e vantaggi, fra gravità della

trasgressione e della punizione. Segue la logica della sanzione espiatoria (fino ai 6-7 anni), del

principio “occhio per occhio, dente per dente”: ogni punizione è giusta perché è la conseguenza

legittima di una violazione delle norme, è un comportamento compensatorio per ristabilire una

sorta di “equilibrio naturale”. Legata alla costrizione esercitata dagli adulti, avrà un progressivo

declino.

 La giustizia distributiva, fondata sull’idea di uguaglianza e reciprocità, “non fare agli altri, ciò

che non vorresti fosse fatto a te”, segue la logica della sanzione per reciprocità: la punizione deve

essere commisurata alla natura e alla gravità della colpa, e ha il fine di far comprendere la gravità

della trasgressione per evitare altri comportamenti che portino alla rottura del legame sociale

(porterà al concetto di riparazione). È la conquista di un traguardo evolutivo importante,

sancisce oil principio di uguaglianza nel dare sanzioni e premi e condanna a favorire qualcuno a

svantaggio di altri.

I bambini fino ai 6/7 anni in fase di realismo morale aderiscono ad una concezione retributiva della

giustizia con una sanzione espiatoria che consegue ovviamente la trasgressione (necessità della

sanzione, mette in secondo piano la questione dell’uguaglianza), mentre dagli 8 anni in poi che

passano in una fase di relativismo morale, la giustizia diventa distributiva con una sanzione per

reciprocità che è basata sulla gravità della trasgressione, e vige il principio di uguaglianza, che

talvolta è più importante della giustizia retributiva (ad es. una mamma che ha due figlie, una più

obbediente dell’altra. Alla bambina più obbediente da fette di torta più grandi, nel realismo morale

la madre fa bene, nel relativismo morale la madre non fa bene perché il principio di voler bene

uguale a tutte e due le figlie è più alto del principio del punire la disobbedienza) (esigenza della

giustizia distributiva, ma lascia in secondo piano la questione dei meriti).

RELAZIONI CON I PARI i conflitti che si creano intorno al possesso di oggetti, ai criteri per il

riconoscimento dei meriti spingono il bambino verso forme più avanzate di ragionamento

 Fino ai 4-5 anni: è giusto ciò che risponde ai bisogni del bambino, o in relazione al realismo

morale (l’ha detto la maestra) o in relazione all’esser il più forte in un gruppo (e puoi dare

premi o sanzioni).

 

5-6 anni: RUDIMENTALE CONCEZIONE DI GIUSTIZIA DISTRIBUTIVA bisogna dare a

ognuno la stessa parte (senza tenere conto dei meriti o dei bisogni).

 6-7 anni: tendono dare risposte diverse. Alcuni subordinano la punizione al principio guida

della severità (più la punizione sarà dura più sarà giusta); altri ritenevano più importante la

sanzione per reciprocità. I bambini più grandi devono stabilire una priorità tra valori morali,

quale principio è più importante? Inoltre, quando si passa alla giustizia distributiva, è perché il

bambino ha imparato a collaborare con gli altri e quindi capisce che l’uguaglianza tra tutti è più

importante, per cui non si può favorire qualcuno a svantaggio degli altri.

KOHLBERG

Sviluppa la sua teoria sistematica dello sviluppo morale intorno agli anni ’60, partendo dai principi

generali del metodo piagetiano. L’idea di fondo è che ci sono alcune differenze superficiali dovute al

contesto storico e socioculturale nel quale si sviluppa l’essere umano, ma le strutture mentali che

sottendono il ragionamento morale e il percorso lungo il quale esse si evolvono sono comuni a tutto

il genere umano.

Concetti chiave:

- L’universalità: lo sviluppo del pensiero morale ha caratteristiche comuni in tutto il genere

umano, indipendentemente dai fattori legati al genere, etnia, contesto storico, socioculturale.

- Il principio gerarchico: la moralità emerge da un livello superficiale per progredire verso

livelli sempre più avanzati.

- La stadialità: il pensiero morale progredisce per stadi di sviluppo secondo una sequenza

ordinata e invariante (non è possibile passare dal livello più basso a quello più alto senza aver

raggiunto gli stadi intermedi), e poiché ogni fase successiva presenta livelli di organizzazione

cognitiva più elevati, le strutture di pensiero dello stadio precedente vengono abbandonate.

Gli stadi implicano una differenza qualitativa nelle strutture (modi di pensiero) che appaiono

secondo una progressione non modificabile da fattori culturali.

DILEMMA DI HEINZ: moglie malata, va dal farmacista che ha inventato un

o farmaco per curarla, ma chiede troppi soldi, Heinz non può comprovarlo, deve

rubarlo o no? che cosa è giusto fare? La differenza tra i livelli risiede nelle ragioni

addotte dal soggetto per giustificare la propria scelta (primato della cognizione,

conflitto sociomorale, strutturalismo)

- Il primato della cognizione: anche se la moralità include sentimenti, pensieri e azioni, è il

ragionamento morale che qualifica l’azione come morale. Più l’individuo procede verso i

livelli elevati della moralità, più forma e contenuto andranno ad armonizzarsi, così giudizio e

comportamento morale convergeranno verso una visione del mondo e una pratica finalizzata

al massimizzare il bene altrui.

- conflitto sociomorale: la componente cognitiva della moralità qualifica le azioni come

morali, attivandosi e potendosi evolvere in situazioni che implicano un conflitto di tipo

interpersonale. I dilemmi morali (situazioni in cui l’individuo deve soddisfare due o più

doveri (principi morali) mutualmente escludibili. Il modo in cui il sogg risolve il dilemma

(attraverso il problem solving) fornisce indicazioni per decifrare su quale livello di

ragionamento morale sia.

- Primato delle analisi delle strutture o forme del pensiero morale: questi due autori sono

strutturalisti, sono interessanti non al contenuto concreto del pensiero in una specifica

circostanza, ma all’analisi delle strutture di pensiero che sostengono una presa di decisione.

- Rifiuto del relativismo culturale ed etico: affronta le questioni etiche e le inserisce nel

dibattito filosofico sulla morale, ricollegandosi alla tradizione filosofica di tipo razionalista, e

porre le basi per una teoria della moralità non soggettivista o relativista.

- Concetto di self: il modo in cui si affrontano i dilemmi morali sono in linea con la

rappresentazione che si ha di sé stessi. L’identità è una guida che orienta l’atteggiamento

dell’individuo verso la morale.

- Role taking: la cognizione sociale è resa possibile dall aocnspaevolezza della comunanza

esistenze tra gli esseri umani, che consente di assumere la prospettiva altrui. Lo sviluppo

morale dipende dallo sviluppo delle abilità di role taking cioè di assunzione della prospettiva

altrui.

Dettagli
Publisher
A.A. 2023-2024
53 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/04 Psicologia dello sviluppo e psicologia dell'educazione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher dolce_birba di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia dello sviluppo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Bacchini Dario.